Il Fatto Quotidiano

Tutto chiaro

- » MARCO TRAVAGLIO

Ieri, appresa con comprensib­ile sgomento la notizia che il ministro Enrico Costa si era dimesso, gli italiani hanno scoperto che Enrico Costa era ministro, anche se non hanno capito bene di cosa fosse ministro né soprattutt­o chi diavolo sia Enrico Costa. Siccome i bene informati spiegano che è stato il premier Paolo Gentiloni a indurlo alle dimissioni dopo l’annunciato voto contrario allo Ius Soli e alla relativa fiducia al governo di cui faceva parte, ma gliel’ha fatto dire dal suo leader Angelino Alfano, non si comprende, nell’ordine: perché Alfano sia così imbufalito per le dimissioni del ministro Costa, avendoglie­le chieste lui; perché le definisca “tardive”, visto che sono arrivate appena lui le ha chieste; perché, se le voleva prima, non gliele abbia chieste prima; e cosa gli abbia detto per convincerl­o, visto che Costa è contro lo Ius Soli e Alfano pure, Costa voleva tornare con FI e Alfano pure. Costa, come Alfano, aveva lasciato FI a fine 2013 per non seguire B. all’opposizion­e e aderito a Ndc, il Nuovo Centro Detenuti, malgrado la sua sciagurata incensurat­ezza; poi Renzi l’aveva premiato con due poltrone, sottosegre­tario alla Giustizia e ministro agli Affari regionali.

Ora però che se n’è andato dal governo per tornare in FI, anzi per “costruire un ponte con B. che è fatto per convivere con Renzi”, pare che Costa abbia trovato la porta chiusa, perché B. non ha alcuna intenzione di farlo entrare. Non per dispetto o per antipatia, ché anzi il Costa è persona ammodo. No, B. rifiuta di accogliere tutti i migranti economici salpati sui barconi di Ap (già Ncd) e Ala (i verdiniani) in fuga dai lidi perigliosi del centrosini­stra, perché teme che poi cada il governo Gentiloni. E lui, essendo all’opposizion­e del governo Gentiloni, non ha alcuna intenzione di agevolare la caduta del governo Gentiloni: tant’è che, dopo i voucher, ieri ha votato pure il decreto vaccini e prossimame­nte voterà la manovra. Viceversa Matteo Renzi, che insieme ad Ap, Mdp-Art.1 di Bersani & C. e Campo Progressis­ta di Pisapia appoggia il governo Gentiloni come partito di maggioranz­a relativa, non vede l’ora che il governo Gentiloni defunga per votare a dicembre (che gli porta buono: vedi referendum). Del resto anche Mdp-Art.1 e Campo Progressis­ta, che fino a ieri imputavano a Renzi di non appoggiare abbastanza Gentiloni, meditano di mollare Gentiloni entro settembre: per la truffa sui voucher, per il rinvio dello Ius Soli, per i decreti destrorsi di Minniti e per non dover votare la manovra lacrime e sangue. Pure Alfano ha annunciato che “la collaboraz­ione di governo col Pd è finita”.

Però

resta al governo col Pd, anche perché non c’è un altro Alfano che possa chiedergli le dimissioni. Nel frattempo, si offre come candidato governator­e della Sicilia sia al Pd sia al FI, casomai qualcuno ci caschi: tanto non si butta via niente. Però Gentiloni, avendo contro tutti i partiti della maggioranz­a, dice che il governo è più stabile di prima: è talmente moribondo che potrebbe durare vent’anni. Avevamo conosciuto i governi balneari, di minoranza, della non-sfiducia, delle convergenz­e parallele, della strategia dell’attenzione, delle larghe e delle ristrette intese, ma un governo con l’opposizion­e pro e la maggioranz­a contro ancora ci mancava. Nel Pd, però, ci sono anche Orlando e Franceschi­ni (e, sopra di loro, Mattarella e Napolitano, il presidente finto e quello vero) che tifano Gentiloni e sperano che a dicembre il loro partito perda anche la Sicilia: così Renzi non mangia il panettone a Natale e si può ricandidar­e Gentiloni a premier. Ma Renzi ha pronta la contromoss­a: dopo aver portato il partito dal 25% di Bersani al 40% delle Europee 2014 al 23-24% degli ultimi sondaggi, pensa che il problema non sia lui, ma il nome Pd. Di qui l’ideona di svuotarne non solo le urne, gli iscritti e le casse, ma anche il logo, levando la P di partito e lasciando la D di democratic­o (ma anche di ducetto, desertific­atore, destrorso, dài non fare così e tante altre cose). O di chiamarlo Avanti, come il suo ultimo best-seller, sulla scia dell’En Marche! di Macron, che però non ha mai fatto il premier e le elezioni le ha vinte, mentre lui l’ha fatto per tre anni e di elezioni ne ha perse tre in un anno. Insomma, vuole farsi un partito tutto per sé& famiglia: così, anziché al 23-24%, potrebbe arrivare al 10. Infatti B., che qualcosa più del 10% ancora lo fa, si sta seriamente domandando se sia il caso di perdere le prossime elezioni per inseguire il figlio prediletto, anziché vincerle con gli alleati di sempre (Lega e Fd’I). Intanto cerca un candidato premier: aveva pronto Stefano Parisi, ma poi ci aveva rotto perché quello non voleva allearsi con la Lega dell’estremista Salvini. Ora Parisi e il moderato Salvini si appellano a B. perché si allei con la Lega. La qual cosa allarma Flavio Tosi, già fondatore di “Fare!”, una Lega moderata (ha solo una condanna per istigazion­e all’odio razziale) in tandem con la fidanzata Patrizia Bisinella e alleato del Pd renziano a Verona per piazzare la fidanzata a sindaco e a Roma per sostenere Gentiloni, ma ora impegnato nel controesod­o verso FI per “fare il civico di destra” (qualunque cosa voglia dire). Poi c’è il triste caso di Verdini, che sosteneva Renzi d’intesa con B. che fingeva anche allora di stare all’opposizion­e; poi avrebbe voluto sostenere pure Gentiloni, ma Renzi gli disse che era meglio di no per non rafforzarl­o troppo. E ora passa per traditore di entrambi i fronti, che non se lo vogliono riprendere indietro, gli ingrati. Frattanto Repubblica, con notevole prontezza di riflessi, scopre che Renzi sta sulle palle a tutti, soprattutt­o a sinistra. E lui, per stare simpatico a tutti, pubblica un libro dove insulta tutti, soprattutt­o a sinistra. Ma, a parte questi trascurabi­li dettagli, nella politica italiana è tutto chiaro.

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