Leosini: “Pino la Rana si porta nella tomba il segreto su Pasolini”
UNASTORIA SBAGLIATA Pelosi aveva 59 anni: era malato di cancro
Pino Pelosi, detto “La Rana” per quella bocca che si allargava sotto i riccioli neri che incorniciavano la sua faccia da ragazzo di borgata, se ne è andato a 59 anni portando con sé l’ultimo segreto sul delitto Pasolini. Non un segreto da poco, ma il nome dell’uomo che l’ha davvero ucciso.
Ragazzo di borgata, ma anche ragazzo di vita, di lui resterà per sempre quell’immagine immortalata la notte del 2 novembre 1975 quando Pier Paolo morì, massacrato a colpi di bastone da un ragazzino di 17 anni, gracile quanto lui era robusto, che avrebbe così reagito alle brutali avanc es dello scrittore. Per poi investirlo dopo essere salito sulla sua stessa auto ed essere passato e ripassato sul corpo martoriato fino a stritolarlo.
QUELLA NOTTE“Pino la Rana” accettò di assumere l’immagine dell’assassino perfetto nel perfetto omicidio di un intellettuale omosessuale, vittima dei suoi vizi segreti. Uno schizzo di fango che con il movente dell’omicidio serviva a macchiare la fama del poeta, a delegittimare il grande scrittore e regista che dalle pagine del Corriere della Sera fustigava i responsabili delle trame che insanguinavano l’Ita lia della P2, Cefis, Gelli, i generali golpisti che lui diceva di conoscere anche se non aveva le prove. Con quel superbo “Io so” che aveva fatto di lui il bersaglio perfetto di un delitto che fin dall’inizio apparve avvolto da molti misteri.
Pelosi se ne è andato la scorsa notte a 59 anni per un tumore che lo aveva aggredito proprio quando la vita sembrava aver messo a posto i conti. Dopo la nascita del figlio, oggi quindicenne, aveva messo la testa a posto, aveva detto basta ai furtarelli che in più occasione lo avevano riportato in carcere, da dove era uscito nel 1982 dopo aver scontato la pena del grande delitto. Da tempo aveva rilevato un vecchio bar nello storico quartiere Testaccio. Nel 2005 nel programma Rai, Ombre sul Giallo di Franca Leosini, per la prima volta aveva ritrattato: “Non sono stato io, non ero solo, c’erano altri tre. Uno è ancora vivo”.
Gli altri due erano i fratelli Borsellino, si scoprì poi, due fascistelli della Tiburtina di origine siciliana che spacciavano nei bar della zona. Ma il nome del terzo uomo non lo ha fatto neppure al pm di Roma Francesco Minisci, titolare della nuova inchiesta. Dopo le parziali ammissioni di Pelosi, a sollecitare nuovi accertamenti era stato l’avvocato Ste- fano Maccioni, legale di Guido Mazzoni, cugino di Pasolini.
Da quella notte erano passati 30 anni, la magistratura aveva nuovi strumenti scientifici per far luce sul delitto che nonostante la piena confessione di “Pino La Rana”, dopo l’arresto sul lungomare Duilio dove era stato fermato mentre guidava contromano l’Alfa di Pasolini, presentava contraddizioni insanabili. La relazione finale dei carabinieri del Ris, presente nell’inchiesta archiviata nel 2015, evidenziava che sulla maglia di lana indossata quella notte da Pelosi, oltre al Dna dello scrittore, c’è un altro Dna misto a quello di Pasolini e un terzo Dna integro estrapolato da una traccia verosimilmente ematica. E proprio quest’ultima traccia apparterebbe all’assassino di cui Pelosi ha taciuto il nome.
A UCCIDERE PASOLINI, secondo Pino, sarebbero state dunque tre persone, come ha ribadito il 1° dicembre del 2014. Stessa versione data nel dicembre 2011 in un incontro pubblico con Walter Veltroni: “Il killer è ancora vivo”. La morte di Pelosi non chiude l’inchiesta proprio per la presenza di nuovi protagonisti anche se ancora senza nome e ciò contrasta con la sentenza della Cassazione del 1979, secondo la quale Pelosi aveva agito da solo. Dell’esistenza di questo terzo uomo aveva parlato il regista Sergio Citti, grande amico di Pier Paolo che proprio nel 2005 aveva girato un documentario sulla morte di Pasolini. “È molto protetto, neppure il figlio naturale che aveva cercato di rintracciarlo è riuscito a mettersi in contatto con lui”. Negli anni la trama si è arricchita. La testimonian- za di Dell’Utri sulle pagine scomparse del manoscritto Petrolio, cui lo scrittore stava lavorando in quei mesi, portano sulle tracce del delitto politico i cui mandanti, destinati a restare nell’ombra, avrebbero armato la mano dei giovani fascisti “che parlavano siciliano”. Si parlò poi delle pizze scomparse dalla Istituto Dear sulla Tiburtina, tra queste scene tagliate dal film Salomè. L’ipotesi convinceva invece Franco Citti, fratello di Sergio, che al pm confidò: “Quella sera Pier Paolo si recò all’Idroscalo con molti soldi in tasca, forse portò Pelosi con sé perché non voleva andare da solo”. A suo dire Pier Paolo e Pino si conoscevano da tempo.
Dice l’avvocato Nino Marazzita che nel processo rappresentava la parte civile: “Pelosi non ha mai detto come si sono svolti i fatti. Cercavo di fargli dire se con lui c’era o no Johnny lo zingaro, diceva che non c’era ma non mi convinceva. Quando era minorenne e io lo interrogavo vedevo odio e paura nei suo occhi. Poi sono passati anni, decenni... e l’ultima volta mi ha abbracciato e baciato, ormai mi considerava uno di famiglia. Spero che non abbia fatto una morte troppo dolorosa”.
Il 2 novembre 1975 L’incontro a Termini, poi l’omicidio a Ostia, ma misteri e ombre sono ancora lì