Ankara kaputt: Berlino dice basta all’ira del Sultano
Ai ferri corti Il governo blocca gli investimenti e sconsiglia ai turisti di recarsi in Turchia per la deriva autoritaria di Erdogan
Doppio “giro di vite”: sugli investimenti e sui viaggi. È la risposta della Germania alla Turchia ed a quelle per che molto tempo ha silenziosamente tollerato come provocazioni. Come i presunti “metodi nazisti” rinfacciati ad Angela Merkel o il divieto di visitare la base area per i voli di ricognizione di Incirlik, opposto ai parlamentari tedeschi. Con l’arresto dell’attivista per i diritti umani Peter Steudtner - con accuse di terrorismo giudicate illegittime - la misura è stata superata. Il ministro degli esteri e vice cancelliere Sigmar Gabriel ha interrotto le ferie ed è rientrato a Berlino.
Da dove ha annunciato i “nuovi orientamenti” della politica tedesca nei confronti della Turchia. Ha citato la Nato e l’Europa, della quale ha richiamato i valori che ha chiesto ad Ankara di rispettare: Gabriel ha perfino evocato il progetto della reintroduzione delle pena di morte da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan.
I DIRITTI NEGATI (nessuno rapporto accordato alle rappresentanze diplomatiche) e quelli violati (Gabriel ha definito l’ultimo arresto “assolutamente ingiustificato”) hanno innescato la dura reazione tedesca. Il ministro ha fatto ricorso alla leva economica che finirebbe col costare alla Germania, ma di sicuro danneggerebbe di più la Turchia. Gabriel ha informato che chiederà all’UE di ridiscutere i fondi destinati al paese ed ha avvertito che alle aziende tedesche non verrà più consigliato di investire nel paese. Alcune, del resto, sono addirittura finite su una lista nera dei servizi segreti di Erdogan. Die Zeit ha rivelato l’esistenza di un elenco secondo il quale a colossi come Daimler e Basf, ma anche ad un chiosco del Nord Reno Westfalia e ad altri esercizi, viene contestato di sostenere il terrorismo.
In Turchia operano 6.800 società tedesche il cui contributo all’occupazione ed al Pil è importante. Nel 2015, la Germania aveva esportato merci per oltre 22 miliardi di euro (una parte verso le stesse ditte tedesche) e ne aveva importato per 14.
Per il ministro, dopo quello che è accaduto a Steudtner e ad altri, “i cittadini tedeschi non possono più sentirsi sicuri in Turchia”. Ha esteso a chiunque l’invito di “considerare molto seriamente l’idea di andare in Turchia” ricordando che la Germania è responsabile per la sicurezza dei suoi concittadini. Secondo il ministro, nessuno è al riparo da arresti arbitrari. Dopo il fallito colpo di stato, in Turchia sono stati fermati 22 tedeschi, 9 dei quali sono ancora detenuti. Uno è il corrispondente del quotidiano Die Welt, Deniz Yücel.
ANCHE SE SIMBOLICA, la stretta sul turismo inciderà su un settore già colpito dal crollo degli arrivi dalla Germania. La Turchia piace ai tedeschi perché costa poco, ma dopo lo sventato putsch e gli attentati nel 2016 è stata contabilizzata una flessione di oltre il 30%. L’avvertimento di Gabriel non ha valore “legale” e chi avesse già prenotato e cambia idea deve pagare una penale.
La replica di Ankara non si è fatta attendere. La Germania è stata accusata di una “grande irresponsabilità politica” dal portavoce del presidente. Il quale ha garantito che i tedeschi che si trovano in Turchia e che se rispettano le regole non corrono alcun rischio. A Berlino viene contestata una indebita ingerenza nel sistema giudiziario indipendente del paese.
La situazione è delicata perché anche in Germania è cominciata la campagna elettorale e le opposizioni di Linke e Verdi hanno chiesto azioni ancora più incisive. Anche a tutela della comunità turca “dissidente” che abita in Germania. Non è escluso che dietro la presunta “politica degli ostaggi” di Erdogan si nasconda la determinazione di far rimpatriare esuli che hanno trovato rifugio in Germania dopo il fallito colpo di Stato. Gabriel ha smentito una richiesta di “scambio”.
Numeri pesanti
Sul Bosforo attive 6.800 società tedesche: nel 2015 export per oltre 22 miliardi di euro Chi licenzia centinaia di migliaia di funzionari, soldati e giudici, chi mette in galera 10 mila persone fra giornalisti e attivisti vuole portare indietro le lancette della storia
SIGMAR GABRIEL