Aru si arrende sull’Izoard Froome ormai vede Parigi
18esima tappa, vince Barguil, il britannico conferma la gialla
Fabio Aru pedala nella pancia del gruppo, quasi a mimetizzarsi. Davanti, s’intravede la gola che porta al Col du Vars, anticamera spossante del lunare Izoard. Il totem delle Alpi ciclistiche. Qui, per la prima volta in 114 anni, il Tour arriva in cima, a 2362 metri, e lassù si ferma: la diciottesima tappa finisce tra monti che sembrano frantumati. Per arrivarci bisogna superare una desolante pietraia che hanno battezzato Casse Déserte, il deserto spaccato: i vecchi del Queyras dicono che ci abitano le streghe.
ARU PEDALA e scuote ogni tanto la testa. Segno di inquietudine. Ha in fuga quattro uomini: Grivko, Khozataiev, Valgren e Lutsenko. I fantasmi dei giorni scorsi addirittura in testa. Parrebbe la disperata voglia di rimescolare le carte, di attaccare e di rimontare la classifica. Insomma, un disegno tattico: mandare avanti la truppa per poi aspettare Aru e scortarlo fino al traguardo, come fanno gli scherani della maglia gialla. Ma Fabio rumina pensieri amari: quelli dell’Astana potevano pensarci prima, non ora che ha un principio di bronchite.
L’Izoard è leggenda del ciclismo. Il Tour l’ha affrontato 35 volte.
Il Giro otto: l’Italia è a due passi. Ha esaltato le imprese di Bottecchia, Bartali, Coppi, Bobet e Thévenet. Lungo la salita, sulla Casse Déserte, i francesi hanno posto due lapidi, una accanto all’altra: a sinistra, quella di Fausto Coppi, a destra quella di Louison Bobet, l’unico che superò tre volte in testa il colle. È l’omaggio alla storia di uno sport che e- salta i grimpeur, gli scalatori. I poeti del pedale: le salite sono sofferenza, dolore, spesso solitudine: quella di chi vince. Quella tremenda di chi perde. Densità drammatica. Si parte da Briançon, si passa da Barcellonette. Dietro, c’è l’orizzonte perduto del Galibier. Dove Fabio ha lasciato il podio virtuale. Dove ha rivelato pesanti indizi di crisi. A parole, nel raduno di partenza, Aru promette revanche. Rivincita. Ma lo tradisce l’espressione del volto. E quella dei suoi. L’Astana sa che sono soltanto parole. Che bisogna negoziare una resa onorevole. La superiorità della Sky di Froome è schiacciante, quasi imbarazzante.
La corsa, come sempre, s’infiamma nell’ult ima m ez z’ora. L’astano Alexei Lutsenko, rimasto in testa sino a 6 chilometri e mezzo dall’arrivo, è raggiunto dal colombiano Darwin Atapuma: il 20 luglio è festa nazionale in Colombia. Alexei si rialza: come se dovesse rilevare Aru. Il gruppetto della maglia gialla è ridotto all’osso: la salita dell’Izoard è un setaccio implacabile. Aru sopravvive in coda. Pedala male, di spalla. Si ripete il copione del Galibier. Froome, il padrone del Tour, è attento come un sismografo: registra ogni scossa della corsa. Decide se è innocua o se invece è il caso di intervenire. Così, lascia andar via Warren Barguil, il 25enne bretone che ha vinto la maglia a pois, gra- zie a Lutsenko, transitato per primo sul Vars. Così, il kazako ha sottratto punti preziosi ai concorrenti. Ma quando scatta Dan Martin, Froome reagisce.
Chi soffre è Aru. Il sardo boccheggia. Fatica a rientrare. Il ritmo si è fatto infernale. Aru non lo regge. Crolla quando Mikel Landa, luogotenente di Froome, sprinta: in salita pare una moto. Romain Bardet tentenna, prima di rilanciare. Froome lo placca con irrisoria facilità. Rigoberto Uran è al traino.
BARGUIL è eccezionale. Come il 14 luglio, sui Pirenei. Riacchiappa tutti. Pure Atapuma. Intanto Froome contrattacca, nel punto in cui la strada è in leggera contropendenza. Sorprende Bardet e Uran. Si spremono per raggiungere il boss che intanto ha ritrovato Landa. L’eroico Barguil vince. Trionfo. Gloria perpetua. Francesi in deliquio. Vincerà il Tour. Non quest’anno: ma ha cuore, talento, simpatia. Si profila una grande rivalità con Bardet, terzo all’arrivo: con l’abbuono e qualche metro guadagna 6 secondi su Uran e lo scavalca in classifica.
Aru arriva un minuto dopo Froome, Bardet e Uran. Perde il quarto posto, glielo prende Landa. Fabio finge di essere soddisfatto: essere quinto al Tour è già molto, si consola. Omero dice che gli dei tessono tragedie perché gli umani possano cantarle.
ULTIMA MONTAGNA Si ripete il copione del Galibier: il sardo boccheggia e finisce quinto in classifica a 1’ 55’’. Sorprendente Bardet, francesi in delirio