Il Fatto Quotidiano

Quelli che... hanno munto la lupa da destra a sinistra

I 98 mila euro in contanti per Gramazio, la promessa di 150 mila per Coratti, eccetera: ecco che cosa resta

- » VALERIA PACELLI @PacelliVal­eria

“Se la mucca non mangia non può essere munta” dice va Sa lvat ore Buzziin una delle tante intercetta­zioni dell’inchiesta denominata Mafia Capitale, se ancora così si può chiamare. Ed è questo quel che resta all’indomani della sentenza che non ha riconosciu­to l’esistenza di un’associazio­ne di stampo mafioso “originale” e “originaria” nel territorio romano: ossia un sistema corruttivo che trasversal­mente foraggiava la politica di destra e di sinistra. Era un meccanismo quindi, che dopo 240 udienze celebrate in venti mesi, al ritmo di quattro a settimana, la X sezione del tribunale di Roma ha deciso non essere altrettant­o mafioso. Nella capitale, secondo i togati, quindi esistono due associazio­ni a delinquere semplici: una più piccola, che aveva il suo quartier generale nel benzinaio di corso Francia e che viveva di estorsioni; l’altra dedita alla corruzione. Ed è questa la parte più corposa che resta in piedi del lavoro enorme svolto in questi anni dalla procura capitolina, che nello stesso tempo è stata anche la prova tecnica di un nuovo metodo investigat­ivo. In dieci milioni di carte, quattro milioni di pagine di brogliacci, 80 mila intercetta­zioni, i pm avevano provato a spiegare quello che per loro era un tessuto sociale, mafioso, e mai raccontato nella capitale. Di questo impianto non resta la mafia, ma solo le corruzioni e altri reati, e le pene sono esemplari.

Il figlio del senatore ora ai domiciliar­i

Tra i politici condannati c’è Luca Gramazio, figlio dell’ex senatore Domenico, ex consiglier­e comunale con la giunta di Gianni Alemanno e consiglier­e regionale forzista nella Regione Lazio. Gli è stata inflitta una pena a 11 anni di reclusione contro i 19 e mezzo chiesti dalla procura. Secondo i magistrati, Gramazio aveva posto “al servizio d el l ’ organizzaz­ione le sue qualità istituzion­ali” sv o lgendo “una funzione di collegamen­to tra l’org aniz zazione, la politica e le istituz io ni ”. Neanche per lui ha retto l’accusa di 416 bis. È stato condannato per una turbativa d’asta nell’ambito della gara del servizio Cup delle Aziende Sanitarie della Regione Lazio e per una corruzione. Citava il capo di imputazion­e: “Riceveva costanteme­nte erogazioni e promesse di utilità a contenuto economico da Buzzi, che agiva di concerto con Massimo Car- minatie Testa, tra le altre: 98 mila euro in contanti in tre tranches; 15 mila euro con bonifico per finanziame­nto al comitato Gramazio; l’assunzione di 10 persone, cui veniva garantito nell’interesse di Gramazio uno stipendio”.

Dai neri ai rossi, corruzioni e turbative

Anche Giordano Tredicine del Pdl (mai incluso nell’associazio­ne a delinquere), è stato condannato a 3 anni perché – stando all’iniziale capo di imputazion­e – “nella sua qualità di consiglier­e de ll ’ Assemblea capitolina ufficiale, per porre la sua funzione di consiglier­e comunale al servizio dei soggetti economici riconducib­ili al gruppo di Buzzi, riceveva promesse ed erogazioni continuati­ve di denaro e altre utilità a contenuto patrimonia­le”.

E non manca la sinistra. Sempre per fatti di corruzione a Mirko Coratti( Pd), l’ex presidente dell’Ass em bl ea capitolina, che ha annunciato già ricorso, è stata inflitta una pena a sei anni contro i quattro e mezzo chiesti dall’accusa. Secondo il capo di imputazion­e in cambio della messa a disposizio­ne della propria funzione, avrebbe ricevuto, in concorso con altri, “la promessa di 150 mila euro, 10 mila erogati alla associazio­ne Rigenera” e “l’assunzione alla 29 Giugno di una persona” da lui indicata. L’ex minisindac­o del municipio di Ostia (poi sciolto per mafia) Andrea Tassone, invece, è stato condannato a 5 anni, mentre l’ex consiglier­e comunale dem Pierpaolo Pedettia 7 anni, il primo solo per una corruzione, il secondo era accusato anche di una turbativa d’asta.

Nel caso di Tassone e Coratti, il loro difensore Filippo Dinacci spiega: “Pr emesso che le sentenze si rispettano, mi preme di rilevare che la corruzione è un reato funzionale e non vi è alcuna prova che i miei due assistiti abbiano commesso atti contrari ai doveri d’ufficio né che abbiano intercedut­o presso pubblici ufficiali terzi che hanno adottato l’at t o ”. Secondo il codifensor­e di Tassone, Antonio Ugo Palma, a tutto ciò si aggiunge l’assenza probatoria di una dazione illecita. Tredicine, Coratti, Tassone e Pedetti non sono mai stati inclusi, neanche nell’impostazio­ne dei pm, nella presunta associazio­ne.

I funzionari non più a libro paga

E poi ci sono i casi dei pubblici ufficiali ritenuti dalla procura a libro paga di quella che definivano Mafia Capitale, Carlo Pucci e Franco Pa nz ir oni . Anche nei loro confronti è caduta l’a ccu sa di 416 bis. Panzironi, in passato vicino all’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno e ex amministra­tore delegato della municipali­zzata dei rifiuti romana (Ama), è stato condannato a 10 anni di reclusione contro i 21 richiesti dalla procura. Anche per lui resta un’accusa di corruzione: avrebbe ricevuto tra le altre cose “utilità consistent­i” in “finanziame­nti, non inferiori a 40 mila euro, alla fondazione Nuova Italia”, di cui era socio fondatore, consiglier­e e segretario generale. E pure è stato condannato a sei anni per una corruzione l’ex dirigente di Eur spa Pucci. È la Roma delle mazzette, dunque, non quella di coppola e lupara, per dirlo con una semplifica­zione.

Così due giorni fa hanno tirato un sospiro di sollievo anche i principali imputati di questo processo, Massimo Carminati e Salvatore Buzzi ( il primo condannato a 20 anni, il secondo a 19 per associazio­ne a delinquere semplice e altri reati), che hanno visto le loro difese avere la meglio sul 416 bis.

Ora bisognerà aspettare il 20 ottobre, quando verranno depositate le motivazion­i dei giudici di primo grado. I pm Paolo Ielo, Michele Prestipino, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, coordinati dal procurator­e capo Giuseppe Pignatone, che si preparano a fare ricorso, vogliono capire come il tribunale motiverà la decisione di non applicare il 416 bis alla luce anche delle pronunce, quella del gip ma in particolar­e della Corte di Cassazione, che avevano confermato l’i mpianto accusatori­o. Sentenze che avevano fatto sembrare l’inchiesta molto più solida, fino alla stangata di due giorni fa.

Due associazio­ni Criminalit­à semplice: quella del benzinaio e quella corruttiva

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