Il Fatto Quotidiano

Viaggio malinconic­o tra ciò che resta delle Feste dell’Unità

REPORTAGE In giro per le (ex) regioni rosse Da Poggibonsi a Budrio, dove il Pd ha perso per la prima volta: “Il partito non esiste più, si viene qui per cenare”

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La cartolina dalle feste d el l’Unità in Toscana arriva da Castelfior­entino: un palco vuoto con la foto di Enrico Berlinguer e la scritta “Bentornato futuro”. Di fronte, tre signore anziane sedute di spalle.

Oppure le parole di Francesco Cibecchini, Giovane Democratic­o di 25 anni: “Qui siamo agli sgoccioli, piange il cuore”. È di Poggibonsi, metà strada tra Siena e Firenze, paesino di 30mila abitanti in cui sono ancora rossi “di brutto”: il Pd non va mai sotto al 60%. Francesco ha 25 anni, fa l’impiegato in un centro Tim e invece di andare in vacanza serve la pizza alla Festa. Chi glielo fa fare? Ride: “Torna tra qualche giorno che intanto cerco la risposta”. Racconta: “La prima birra l’ho servita a 5 anni alla festa di Rifondazio­ne comunista, sono nel Pd dal 2009. La festa era un’altra cosa, sta svanendo. Continuo a venire per il rispetto degli altri volontari, malgrado tutto siamo una comunità”.

Le grandi città e i piccoli centri

A Milano la Festa dell’Unità è un flop: un deserto ai banchetti e ai dibattiti. A Roma quella grande, che si faceva a luglio, non esiste più: se ne riparla a settembre. Bologna ha lanciato la festa “dinamica”, cioè senza nemmeno un confronto politico. A Genova i commercian­ti del centro storico hanno scritto una lettera al Comune contro la festa di fine agosto: “Danneggia le attività e fa concorrenz­a sleale”.

Si dirà: non è una notizia, la grande liturgia laica del Partito è in crisi da lustri. Anche nei paesini rossi, tra la Firenze di Renzi e la Bologna della Ditta, dove era una cosa sacra. Si va avanti per tradizione, ma sembra di ascoltare ovunque lo stesso racconto: il partito scompare, la comunità perde pezzi, ma si raccoglie lo stesso; un rituale senza sacerdoti. Le feste, da fuori, sono sempre quelle: i tendoni delle cucine, i tavoli con le tovaglie di carta; il palco per la musica dal vivo, le coppie che ballano e le sedie di plastica ammucchiat­e intorno. Le bancarelle, gli scivoli gonfiabili, i tappeti elastici per bambini e (ogni tanto) l’area per i dibattiti. I “compagni” sono quasi sempre anziani.

Tra la Siena di Mps e la Firenze renziana

Di mercoledì a Poggibonsi le sedie vuote sono larga maggioranz­a. Mauro Bossini è uno dei volontari del bar. Il Pd è ancora di sinistra? Fa una smorfia buffa. “Il partito è cambiato tanto – dice – e la festa pure. Ogni anno è più piccola, ma di gente ne viene ancora. Non solo compagni”. Piero e Stella sono compagni eccome, da una vita. “Siamo come il gatto e la volpe”, dice lei. Perché Stella è fedele alla linea, il marito invece Renzi non lo può vedere: “Ma come si fa a pensare che ci si può alleare con chiunque?”. Liliana Pampaloni e Paolo Marchetti, pure loro pensionati, hanno saltato il fosso: “Basta col Pd, votiamo Bersani. Ma ha deluso pure lui, perché le battaglie si fanno da dentro al partito”.

Di giovani ce n’è pochissimi, tre ragazze sono sedute vicino al palco dei concerti. Giulia Conti viene da Certaldo. “Sono qui per cantare”, si schernisce. E le amiche? “Per ascoltare lei”. Canta Hallelujah di Jeff Buckley, una manciata di secondi, poi cede all’imbarazzo. “La sinistra – dice – non esiste più da quando c’è Renzi. Io ero nei Giovani Democratic­i di Certaldo, ma lì si è sgretolato tutto”.

Castelfior­entino è 40 minuti più a nord, alle porte del capoluogo. La festa è vivace, c’è mezzo paese. Al bar si fa la fila per gli amari, ma il dibattito suscita meno entusiasmo: si parla di legalità con Annamaria Torre, figlia di Marcello, il sindaco ammazzato dalla camorra di Cutolo nel 1980; ascoltano in tutto 22 persone.

Loretta e Anna sono due amiche di 82 anni, super renziane. Per loro il segretario ha ragione sui migranti, ha ragione sul lavoro, ha ragione sulle alleanze (“chi l’ha detto che va con Berlusconi?”). Si sente l’aria di Firenze. Però lamentano: “La festa prima era un’altra cosa, ora si viene solo a mangiare”. Claudio Carlucci è un consiglier­e comunale, con una lunga barba canuta e l’aria da hippie: “Le feste sono un po’ più piccole ma son belle, qui il Pd è una cosa seria”. E la sinistra? “Siamo un partito di sinistra che si è saputo adattare.” E i migranti da “aiutare a casa loro”? “Serve una soluzione, se non hai le fettine di prosciutto davanti agli occhi”. Eivoucher? Si spazientis­ce: “Dai basta. ‘Un ne scrive tante robe, che ti vengo a ricercare”.

Correndo per la rossa Emilia Romagna

In Emilia il Pd ha perso tutti i ballottagg­i dell’ultima tornata. Cinque a zero. Una delle sconfitte è arrivata a Budrio, la città dove il killer “Igor” ha ucciso un barista e iniziato una psicosi colletti-

va. È la prima giunta non rossa da quando esistono le elezioni. La festa è nella frazione di Mezzolara. Zanzare e Mazurka: la band parte con Casadei e deraglia sulla commercial­e, finisce con Alvaro Soler. Bruno, 60 anni, metalmecca­nico: “Qui ormai si viene per abitudine e tradizione, nei partiti non crede più nessuno. I migranti sono un problema? “Beh, lei che dice?”. Roberto, pensionato, è poco sereno: “Li brucerei tutti”. I politici? “Vendono fumo. Da ragazzo ero nella Fgci (i giovani comunisti, n dr ), ora penso liberament­e”. Tra i volontari in cucina c’è l’ex sindaco di Budrio, Carlo Castelli. È stato autista di bus, funzionari­o del Pci, consiglier­e in Regione e a Bologna, due volte primo cittadino. “Al ballottagg­io molti dei nostri si sono astenuti perché odiano Renzi. Dice sempre: ‘io, io, io’. Eravamo abituati a dire ‘noi’”.

Le metropoli

A Milano poca gente, a Genova negozianti in rivolta, a Bologna non fanno i dibattiti

Chi resiste Francesco, 25 anni: “Ora è un pianto, ma si tenta di tenere in vita il senso di comunità”

Però “anche questa festa l’abbiamo portata a casa, è venuta bene”. Ora va in vacanza qualche settimana, “poi a settembre ci si vede con gli altri compagni e si fa il punto, magari facciamo la rivoluzion­e”, ride. Lascia il partito? “La rivoluzion­e si fa, non si annuncia”.

L’ultimo giro è a Castel Maggiore, ancora nel bolognese. C’è la sindaca del Pd, Belinda Gottardi: “Qui vengono per i tortellini, sono i migliori della zona: abbiamo volontari gourmet”. C’è pure il dibattito: “Alla festa di Bologna non ne fanno più, noi pensiamo ci sia ancora tanto di cui parlare”.

L’ultima battuta è di un anonimo volontario coi baffi bianchi e gli occhi azzurri, dietro il tavolo della cucina: “Giornalist­a, io ho rispetto dei partigiani e combatto ancora per salvare qualcosa di quello che rimane”.

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