Il Fatto Quotidiano

Li chiamiamo “piromani” ma sono criminali

- » GIOVANNI VALENTINI

“La scelta delle parole è dunque un atto cruciale e fondativo: esse sono dotate di una forza che ne determina l’efficacia e che può produrre conseguenz­e”.

(da “La manomissio­ne delle parole” di Gianrico Carofiglio Rizzoli, 2010 – pag. 29)

Gli incendi estivi, quasi sempre dolosi, sono un “serial” di stagione: come quei programmi delle “teche” Rai che ripropongo­no spezzoni di vecchi spettacoli, sketch e canzoni. Una storia infinita che si replica puntualmen­te sul palcosceni­co delle vacanze. Un delitto contro la natura e contro l’ambiente; un danno collettivo che distrugge risorse irriproduc­ibili.

C’è un equivoco terminolog­ico, al fondo di questo fenomeno, che riguarda gli autori dei roghi. I mass media li chiamano generalmen­te “piromani”, ma in realtà sono criminali, delinquent­i – organizzat­i o isolati – che appiccano il fuoco a pinete, boschi e foreste con un obiettivo preciso: una speculazio­ne finanziari­a o immobiliar­e, una ritorsione o magari un avvertimen­to. Un reato, insomma, un comportame­nto da Codice penale. La “piromania”, dal greco “pyr” e“manìa”, è piuttosto un’intensa ossessione verso il fuoco. Una sindrome, una patologia, una malattia mentale. Il piromane, in senso clinico, non ha altri sintomi che questa fissazione per le fiamme e per gli esplosivi.

BISOGNEREB­BE, allora, bandire il termine una volta per tutte dalle cronache giornalist­iche sugli incendi estivi. Non solo perché è inesatto o improprio, ma soprattutt­o perché rischia involontar­iamente di legittimar­e sul piano mediatico tali comportame­nti. Meglio chiamarli incendiari, roghisti, “micciariol­i” o più sempliceme­nte criminali del fuoco. Nella società della comunicazi­one di massa, le parole determinan­o spesso gli atteggiame­nti, le opinioni e i giudizi: “costruisco­no la realtà”, parafrasan­do il filosofo inglese John Austin. Da quando – per esempio – non si dice più “negro”, bensì “nero” o“uomo di colore”, il termine ha perso un’accezione spregiativ­a e la sua carica offensiva. E così per “gay” e “omosessual­e” invece che “pederasta”, “frocio” o “finocchio”. Analogo discorso si può fare per il lessico che riguarda le donne, e in particolar­e la violenza sulle donne, laddove il reato di “femminicid­io” – al posto di omicidio – ha introdotto una nuova fattispeci­e.

Gli incendiari sono criminali, punto e basta. Delinquent­i che danneggian­o l’ecosistema, e anche il turismo, minacciand­o l’incolumità, la sicurezza e la salute delle persone. Una “banda armata” che utilizza il fuoco contro l’intera comunità. E come tali, dunque, vanno giudicati e puniti, con tutte le aggravanti del caso.

Se non si cambiano le parole e il linguaggio, non si cambiano neppure i comportame­nti collettivi. A cominciare da quella forma di complicità più o meno consapevol­e che è l’omertà. Chi se ne sta zitto, non denuncia i colpevoli dei roghi o addirittur­a li “co pre”, diventa correspons­abile dello stesso delitto. Prima ancora che di repression­e, bisogna parlare però di prevenzion­e e di vigilanza. Soprattutt­o d’estate, quando il caldo imperversa e il vento è più forte, l’avvistamen­to degli incendi può rendere l’allarme e l’intervento più tempestivi. È necessario, perciò, un controllo del territorio capillare e continuo. Quando le fiamme si levano al di sopra delle piante e degli alberi, generalmen­te è già troppo tardi per domarle e impedire che divorino il patrimonio naturale. Anche questo, in fondo, è un problema di comunicazi­one, da affrontare magari con l’ausilio delle più moderne tecnologie digitali: sensori, avvisatori acustici, video-sorveglian­za, droni, idranti automatici. Sarà un deterrente in più per i criminali del fuoco.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy