Cattaneo lascia Telecom, via dopo venerdì
Confermata l’uscita dell’ad, che ora lavorerà in proprio. Buonuscita da almeno 10 milioni
Adesso
Flavio Catteno farà l’imprenditore in proprio, o almeno così ha raccontato in questi giorni di attesa mentre discuteva la buonuscita da Tim, Telecom Italia. L’a nnuncio è arrivato ieri sera: lunedì il comitato nomine e remunerazioni discuterà la “proposta di definizione cons en s u al e ” del rapporto tra Tim e Cattaneo.
L’ARGOMENTO è delicato: quando Cattaneo è stato promosso da consigliere di amministrazione ad amministratore delegato, il 30 marzo 2016, ha ottenuto un compenso elevato e difficile da calcolare. Oltre a 1,4 milioni come base, ha strappato uno “special award”, cioè un piano di bonus e stock option spalmato tra 2016 e 2019 dal valore potenziale di oltre 55 milioni di euro, almeno 40 destinati a Catta- neo e gli altri a manager da lui indicati. Il contratto dava diritto a Cattaneo di ottenere quasi 40 milioni in caso di licenziamento.
I negoziati con la proprietà, cioè il gruppo Vivendi di Vincent Bolloré, erano in corso da giorni. L’accordo dovrebbe essere tra i 10 e i 20 milioni di euro. Parecchio, ma Cattaneo ha standard elevati: secondo i calcoli di Business Insider, tra bonus di ingresso, stock option e compensi nel solo 2016 il manager ha incassato da Tim 15,8 milioni.
Cattaneo è un manager costoso e dal carattere spigoloso, ma dalla Rai a Terna a Ntv (i treni Italo, dove è ancora in cda) a Telecom è anche uno di risultati. A maggio Tim ha celebrato conti trimestrali molto positivi: ricavi a 4,8 miliardi di euro (+8,5 per cento), margine operativo (Ebitda) di 2 miliardi in crescita del 16 per cento e debiti in calo. E allora perché la rottura?
Negli ultimi anni in Telecom non ci sono mai stati rapporti sereni tra azionisti e manager. O perché l’azionariato era confuso e fluido - prima i soci italiani in fuga (Mediobanca, Intesa, Generali), poi gli spagnoli di Telefonica mai del tutto convinti e infine i francesi di Vivendi - o perché i capi azienda erano espressione di soci ormai decaduti. Dal 2014 il primo azionista è la Vivendi di Vincent Bolloré, oggi al 24 per cento: il finanziere bretone aveva dei piani sull’Italia che riguardavano l’i ntreccio tra Telecom e Mediaset, finora però ha concluso poco, perché la scalata al gruppo tv è fallita. Dopo due anni con Marco Patuano al vertice, manager di un’altra epoca Telecom, Bolloré ha avallato la successione: Cattaneo ad, Giuseppe Recchi alla presidenza come garante della transizione (e con deleghe pesanti, tipo la comunicazione), sostituito da poco da Arnaud De Puyfontaine di Vivendi.
CATTANEO ha portato risultati finanziari, Bolloré non ha molto di cui lamentarsi da quel punto di vista. Ma Telecom è anche passata all’oppo- sizione del governo: quando Matteo Renzi ha deciso che non poteva più affidarsi al gruppo telefonico per i suoi progetti di banda larga da avere subito e alle sue condizioni, ha puntato sull’Enel di Francesco Starace.
Tim e Cattaneo non si sono arresi, lo scontro sulla banda larga è arrivato al punto che l’Antitrust ha messo sotto accusa Telecom che denunciava di essere vittima di pratiche scorrette (bandi Infratel su misura di Enel). Nel frattempo sia la Consob che l’Antitrust, dopo l’Ag c om , hanno iniziato a pretendere chiarimenti sul ruolo di Vivendi: un conto è essere il primo azionista, altro orientare la gestione in modo da avvantaggiare il controllante a danno del controllato (esempio: cedere quote di Persidera, società dell’infrastruttura del digitale tv, solo per colpa della partecipazione di Vivendi in Mediaset).
L’ultima goccia è stato il tentativo di Bolloré di imporre un manager Vivendi, Amos Genish come direttore generale, esautorando Cattaneo. Ora Genish arriverà, De Puyfontaine rimarrà alla presidenza mentre Giuseppe Recchi, oggi vicepresidente, prenderà la carica di ad dividendo le deleghe con gli altri due. Cattaneo resterà fino a venerdì per presentare la trimestrale.
Lo scontro Rottura totale con Vivendi Recchi nuovo ad: si dividerà le deleghe con Amos Genish