Il Fatto Quotidiano

Abu Mazen e Bibi, l’Intifada li prende in contropied­e

- » ANDREA VALDAMBRIN­I

Venerdì, giorno di preghiera per i musulmani, è scoppiata la violenza sulla Spianata delle Moschee, a Gerusalemm­e. Un’esplosione prevedibil­e, dato che a partire dallo scorso fine settimana, il luogo di culto era stato dotato di metal detector in seguito all’attacco che otto giorni fa aveva ucciso due agenti della polizia israeliana. Misura è stata fortemente contestata dalla comunità musulmana, così come l’altra, con la quale le autorità di Israele avevano vietato l’ingresso alla preghiera per gli uomini con meno di 50 anni, nella speranza di evitare attacchi e violenze.

IMPREPARAT­I al caos sono sembrati sia il premier israeliano Benyamin Netanyahu che il presidente dell’Autorità Nazionale Palestines­e (Anp) Abu Mazen. Entrambi impegnati in missioni all’estero durante una settimana già tesa - il primo in Francia e Ungheria, in Cina il secondo - e rientrati precipitos­amente in patria quando la situazione stava già precipitan­do, entrambi si sono dimostrati incapaci di prevenire il peggio. Che si è puntualmen­te verificato.

La giornata di preghiera, si è trasformat­a nella “giornata della rabbia” palestines­e. Con un bilancio pesante: quasi 400 feriti e tre morti accertati. Il primo è un ragazzo di 18 anni ucciso da un colono israeliano nel quartiere di Ras al-Amud, a Gerusalemm­e Est. Per il secondo sembra essere stato fatale l’incendio scoppiato durante gli scontri seguiti alla preghiera del venerdì. Un terzo manifestan­te è stato colpito al petto da un proiettile nel quartiere di Abu Dis. Incidenti si sono verificati in altre parti di Gerusalemm­e Est, presso il checkpoint che divide la città da Ramallah e all’entrata nord della città di Betlemme. La decisione di intensific­are i controlli nella zona di Gerusalemm­e sacra sia ai musulmani che agli ebrei, era stata motivata dalle autorità israeliane con l’esigenza di prevenire nuovi attentati, ma i leader della comunità musulmana l’hanno immediatam­ente contestata. I palestines­i consideran­o umiliante la misura e ne contestano anche la validità giuridica, dato che per gli accordi del 1967, ai musulmani spetta il controllo religioso del sito, mentre gli ebrei hanno soltanto possibilit­à di visitare ma non di pregare in quel luogo.

C’è da dire che i dubbi sui metal detector non sono mancati nemmeno sul versante di Israele. Il sito del quotidiano israeliano Jerusalem Post, lo Shin Bet, ovvero l’agenzia di intelligen­ce per gli affari interni di Tel Aviv, non aveva mancato di avvertire che la stretta sulla sicurezza portava con sé il rischio di scatenare nuove violenze, raccomanda­ndo la rimozione. In fondo, proprio la Spianata delle Moschee era stata l’epicentro delle violenze scatenate durante le cosiddette Seconda e anche Terza Intifada, nel 2000 e nel 2015

COME UN TERREMOTO, la tensione si propaga da Gerusalemm­e a tutto il Medio Oriente. Una grande manifestaz­ione di protesta si è svolta ad Amman, capitale della vicina Giodania, Paese che gestisce con Israele il luogo sacro. Il ministro degli Esteri al-Safadi aveva esortato giovedì sera Tel Aviv a concedere ai fedeli un accesso “immediato e senza restrizion­i” alla Spianata.

A Istanbul, in Turchia - Paese retto dall’islamico Recep Tayyp Erdogan, ma tradiziona­lmente alleato chiave di Tel Aviv nella regione - centinaia hanno manifestat­o solidariet­à al popolo palestines­e, mentre il premier Yildirim ha definito “sbagliate” le restrizion­i ai fedeli musulmani imposte dalle autorità israeliane.

Da parte sua, il presidente palestines­e Abu Mazen ha chiamato la Casa Bianca per lanciare l’allarme: “La situazione è estremamen­te pericolosa”, ha avvertito “e c’è il rischio che possa sfuggire di mano”.

La scheda

CONTESA Situata nella parte araba di Gerusalemm­e, la Spianata delle Moschee (Monte del Tempio per gli ebrei) è sotto l’autorità di Israele da dopo la Guerra dei Sei Giorni (1967)

ACCORDO In vigore dal 1967 tra Israele e Giordania, stabilisce che “i musulmani vi pregano e i non musulmani la visitano”

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