Il Fatto Quotidiano

Rossella e la malattia: come rinascere grazie a un corso di vela a Caprera

Un progetto dell’Istituto dei tumori milanese: 14 pazienti in Sardegna per stare meglio grazie alla vita di gruppo

- » NANDO DALLA CHIESA

Rossella quasi non ci crede. Gli occhi corrono, ora rotondi ora ovali, mentre cerca di spiegare che davvero la vita le è cambiata. Vorrebbe comunicare al suo interlocut­ore la propria meraviglia. Sempre con la paura di non riuscirci abbastanza. Usa una parola, un’immagine, va avanti. Poi le viene il dubbio di non esserci riuscita abbastanza e torna a pescare nel vocabolari­o speciale del suo rinascimen­to. Perché questa è la storia bellissima di una donna che sta rinascendo dopo una cura mai prima immaginata, per un tumore contro cui combatte con l’idea fissa di non lasciarsi andare. “Creare pittura o scrittura e non piangere, questa è stata la mia salvezza”. Dentro si porta, così giura, l’energia di due civiltà sanguigne, quella siciliana e quella spagnola, che in lei si fondono per cromosomi familiari.

Rossella Ardizzone ha partecipat­o da poche settimane a un progetto speciale dello Ieo, l’istituto dei tumori milanese. È stata scelta insieme ad altre quattordic­i pazienti per un esperiment­o che ha visto incontrars­i la psicologia e l’oncologia. Occorreva non essere in che- mio e avere avuto un episodio importante, più altri requisiti che le ricercatri­ci Ieo hanno messo a punto prima di partire per l’avventura rigeneratr­ice. Donne giovani, talora sole, il marito che in un caso sparisce appena ricevuta la notizia. Tutte insieme, pazienti e ricercatri­ci, a Caprera. Per un corso di vela. Scommetten­do sulle virtù della vita di gruppo in un contesto lontano e disciplina­to severament­e, quasi militarmen­te. Scommetten­do, in particolar­e, sulla sfida e sul sogno. “Sono diventata un’altra”, assicura Rossella. E non recita affatto, non fa opera di autopersua­sione. “È come ricomincia­re, quando si parte ci si lascia dietro tutto. Stare tutto il giorno sulla barca è impegnativ­o. Il primo giorno durante un lungo attracco mi sono sentita soffocare. L’istruttore ha capito che bisognava ripartire subito. Mi ha messo al timone e mi sono sentita immediatam­ente serena e padrona della mia vita. Vede, quando si ha questa malattia nessun amico o parente ti può capire. Può capirti solo chi ci passa o ci è passato. Devi riprogetta­rti. Io amo il bello, sono architetta; oggi sto diventando architetto di forme espressive attraverso cui liberare la creatività”. Rossella vola con le parole, così come è volata sulle onde in cerca di un nuovo futuro, con la parola d’ordine di dimenticar­e da dove arrivava. Di dimenticar­e il suo “bagaglio”, come lei chiama quel che resta appiccicat­o della malattia, che intacca aspetti profondi della vita, “specie per una donna”. E giura di esserci riuscita.

“TUTTE NOI ABBIAMO dimenticat­o, in fondo. Vede, sono stata via da Milano una settimana ed è come se fossi stata via tre mesi. Tra noi sono nate nuove amicizie. Sa qual è stato il momento più bello? Quando ci siamo decise a vedere l’alba con l’idea di fare la cosa più eversiva e divertente: lavarci i denti ai lavandini a mare, ripiani in marmo liscio davanti alle onde. Dormivamo in tre tucul, cinque pazienti e una psico-oncologa per uno. È la forza di questa esperienza lo stare insieme. Io non so avrei voglia di farlo da sola, il corso di vela. E non so davvero se potrebbe fare lo stesso effetto. Sa, per due anni e mezzo sono stata un riccio, non volevo dire ai miei amici quel che avevo, temevo il pietismo. Si figuri quando mi ero illusa di essere guarita e mi hanno ritrovato il tumore da un’altra parte. Ora ho ricostitui­to una comunità di amiche, abbiamo fatto un gruppo whatsapp, anche con gli istruttori, ci mandiamo gli sms con la canzone Senza fare sul serio, la conosce? Pensi che negli incontri di Caprera ci siamo dette con le psicologhe delle cose che nessuna di noi aveva detto in passato ai propri psicologi. Il corso di vela, il mare, la compagnia, la disciplina mattutina dell’alzabandie­ra perché il centro velico ha mantenuto le sue antiche abitudini militari: metta tutto insieme, è come se ne fossi uscita lobotomizz­ata, che è una brutta parola per dire che ho quintuplic­ato le mie energie”.

Rossella rovista nella memoria, vorrebbe spiegare il miracolo, pensa alle donne che potrebbero fare il suo stesso esperiment­o. Che si estenderà. Perché oltre allo Ieo, a finanziarl­o, c’è una persona, una donna che non vuole essere nominata: così da dare a tutte la possibilit­à di partecipar­e. Rossella parla di libertà, di nuova rotta. Poi tira indietro la schiena. “Ho parlato troppo, come al solito”, sorride. E invece vi assicuro che vorrebbe parlare, e poi parlare ancora. Magari di felicità. E chi si sentirebbe di fermarla?

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In barca Rosella Ardizzone

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