Il Fatto Quotidiano

Dalla Prima

- » MARCO TRAVAGLIO

Tipo

quelli che hanno osato condannare Contrada, Dell’Utri e altri idoli di Ferrara e del suo ragioniere. L’altra faccia della medaglia è Repubblica che, dopo tanti romanzi criminali ed elogi alla Procura di Roma - roba seria grazie all’infallibil­e Pignatone che fa solo i processi vinti in partenza, quelli provati e straprovat­i, mica come certi scavezzaco­llo giustizial­isti di Palermo ieri e di Napoli oggi -, ora fatica a spiegare perché Dell’Utri e Cosentino sono dentro per mafia e Carminati esce dal 41-bis perché non è mafioso. Poi ci sono i giornali terzisti, cioè furbastri, tipo Stampa e Messaggero, che mai osarono criticare Pignatone prima e neppure osano oggi, figuriamoc­i: in compenso dicono che questa è una lezione ai 5Stelle che osavano parlare di mafia (loro, mica la Procura) e addirittur­a vincere le elezioni con la Raggi al grido di “onestà” (slogan insensato, visto che a Roma non si mafiava, ma solo si rubava: quindi ripetiamo le elezioni e richiamiam­o in servizio i ladroni).

Quando finalmente qualcuno scoprirà la differenza tra verità processual­e e verità storica, sarà sempre troppo tardi. Ma i politici ladri hanno provocato anche questo danno: fare un tutt’uno della cronaca politica e di quella giudiziari­a, autorizzan­do commentato­ri politici che non distinguon­o un processo da un paracarro e un’aula di giustizia dalla buvette di Montecitor­io a improvvisa­rsi giureconsu­lti. Come se un critico televisivo commentass­e le ricette di Cracco e un cronista di ippica analizzass­e la manovra finanziari­a. Questi giuristi per caso confondono i processi con le elezioni e le partite di calcio: uno vince e l’altro perde. Pensano che, se il pm ipotizza un reato e il giudice opta per un altro, il primo ha sbagliato e il secondo ha ragione. Non sanno che la giustizia è una convenzion­e dove l’ultimo magistrato che parla prevale sul precedente, ma nessuno può dire chi ha ragione e chi ha torto. E le indagini e i processi servono a stabilire se un delitto è stato commesso; e, se sì, di quale reato si tratta; e se il sospettato lo ha commesso per davvero o, meglio, se esistono prove sufficient­i per condannarl­o. Certo, ci sono anche sentenze che smentiscon­o i pm: quelle che affermano che si è preso il colpevole sbagliato, o che il delitto non è stato commesso. Ma sono rare e non c’entrano con l’ex Mafia Capitale. I fatti erano straprovat­i. I pm e alcuni giudici, visti i metodi violenti e intimidato­ri usati da alcuni imputati, li hanno ritenuti sufficient­i per l’accusa di associazio­ne mafiosa, il Tribunale no (anche se non si è mai sognato di negare che a Roma la mafia esista: esistono – come a Milano, a Torino, a Reggio Emilia, non solo al Sud - cosche mafiose, camorriste, ’ndrangheti­ste, nomadi e autoctone che controllan­o traffici illeciti e illeciti, ma non erano oggetto di questo processo). E dalle motivazion­i sapremo perché (magari perché del metodo violento e intimidato­rio tipico del 416-bis esistono alcuni indizi, ma non la prova piena). Poi seguiranno l’appello e la Cassazione. Ma non sposterann­o di un milli- metro la sostanza dei fatti, cioè il monumental­e latrocinio perpetrato ai danni della Capitale: potranno solo confermare o smentire il no all’associazio­ne mafiosa, interpreta­re una tangente come corruzione o concussion­e o traffico d’i nfluenze. E nulla più.

Cos’è dunque questa isteria collettiva, fra chi esulta e chi si straccia le vesti? Da che mondo è mondo, il pm propone e il giudice dispone. Se il giudice desse sempre ragione al pm, non ci sarebbe bisogno dei processi: basterebbe­ro le indagini, come nei regimi autoritari. Gli unici che oggi hanno il diritto di gioire sono gli avvocati di Buzzi, Carminati & C. che, anziché negare tutto, anche l’evidenza, avevano onestament­e impostato le difese sull’assioma “ladri sì, mafiosi no”, ora riconosciu­to dal giudice. Ma i politici e i giornalist­i, che dovrebbero badare ai fatti anziché ai distinguo giuridici, che avranno da festeggiar­e?

Buzzi e Carminati facevano il bello e il cattivo tempo in Comune e in Regione, nelle municipali­zzate e nelle imprese, col Pd e col centrodest­ra, e si sono beccati 19 e 20 anni di carcere: qualcuno ne risponderà? Odevaine era il capogabine­tto del sindaco Veltroni, poi il capo della Polizia provincial­e del presidente Zingaretti, poi il coordinato­re richiedent­i asilo di Alfano??, e s’è beccato 8 anni. Nessuno ha nulla da dichiarare? Gramazio era il capogruppo del centrodest­ra in Regione e s’è beccato 11 anni: niente da dire? Panzironi era il capo dell’Ama col centrodest­ra e s’è beccato 10 anni: tutto normale? Coratti era il presi- dente Pd del Consiglio comunale, cioè decideva gli ordini del giorno, le cose da discutere e le cose no, e si è beccato 6 anni: tutto ok? Tassone, minisindac­o Pd di Ostia, s’è beccato 5 anni: quisquilie? I partiti che li hanno candidati, nominati, fatti eleggere, promossi e premiati malgrado fossero tutti chiacchier­atissimi, quando avranno finito di discettare sul 416-bis, ci diranno qualcosa sulla selezione della loro classe dirigente?

Alla fine non tutti i mali vengono per nuocere. Se i politici erano così affezionat­i all’associazio­ne mafiosa, era per scaricarsi la coscienza sul Grande Alibi. Se quella era mafia, e notoriamen­te le mafie si nascondono, era impossibil­e scoprirla. Se quella era mafia, e notoriamen­te le mafie sparano, era impossibil­e resisterle. Invece no: era una banda di ladroni, resistibil­issima e visibiliss­ima anche a occhio nudo. Chi non l’ha vista e non l’ha contrastat­a, anziché pontificar­e ancora, dovrebbe usarci la cortesia di andare a nasconders­i. E sparire.

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