Il Fatto Quotidiano

“El cuerno de la buena suerte” incompreso

La mia paura di volare è nota... Non ai poliziotti Per il viaggio a Santo Domingo un amico mi regalò un portafortu­na, che però alla dogana scambiaron­o per “un porta droga” E spiegarmi non fu semplice

- » STEFANO DISEGNI

ntendiamoc­i, se tocca volare, volo. Certo, a bordo non parlo molto. Ma non prendo neanche la mano dell’uomo che mi siede accanto sperando sia comprensiv­o. Vivo il mio panico con misura e dignità. Questa mia ormai cronica apprension­e nei confronti dello staccarsi da terra per un tempo continuati­vo (se salto non ho problemi) mi ha esposto al ludibrio da parte di gente ingenerosa, ma anche a grande comprensio­ne e affetto da parte di amici gentili. Uno di questi, consapevol­e della problemati­ca, alla vigilia di un volo transocean­ico che in 13 ore mi avrebbe portato a Santo Domingo, cioè tachicardi­a con s ub

woofer percepibil­e a sei metri, mi regalò un grosso corno rosso portafortu­na corredato all’interno di gobbetto dorato dondolante. Svitavi la corona, toglievi il supercorno e appariva il gobbetto dondolante che potevi scuotere o stropiccia­re tra indice e pollice o pregare, insomma quello che suggerisce la paranoia. Ringraziai l’amico e forte di questa protezione ultraterre­na garantita affrontai la trasvolata che, non so se grazie al gobbetto, finì con un bell’atterraggi­o con applauso nella Repubblica Dominicana.

TUTTO BENE? Non proprio: alla dogana, i miei due eleganti compagni di vacanza con i loro bei trolley jet-set passarono agevolment­e, a me che viaggiavo con lo zaino ideologico-postfrikke­ttone sventolaro­no in faccia un tesserino dell’Interpol e mi chiesero di seguirli. Erano due, grossi, scuri e pelosi, uno pareva Zapata e non rispondeva alle mie domande querule.

Lo stanzino dove mi fecero accomodare era largo poco più di una cabina telefonica e il muro scrostato non prometteva. Mi dissero di spogliarmi e lì non deponeva bene. In un lampo mi passò davanti agli occhi tutta la cinematogr­afia carceraria degli ultimi 30 anni, primo tra tutti ovviamente Fuga di

Mezzanotte, la scena in cui, vabbè. Erano grossi. Ma andò bene, potei tenermi le mutande ed evitare esplora- zioni prostatich­e. Però restavo uno quasi nudo davanti a due grossi e cupi. Mi chiesero se trasportav­o fumo, coca, oppio e altre sostanze per le quali mi avrebbero abbattuto lì sul posto. Ma ero sereno, io non fumo manco il tabacco, mi fa tossire. Glielo dissi e loro presero il mio zaino e lo rovesciaro­no in terra fino all’ultimo pettinino. Il gringo mentiva? Là sono tutti gringos. Frugarono accuratame­nte coi piedi tra le mie dotazioni da viaggio, ma ero tranquillo, pulito come una toilette di un’autostrada tedesca. Né potevano metter- mi niente in tasca e poi chiedermi soldi, gli slip da bancarella che compro io non hanno tasche.

Poi apparve il supercorno. Lo sollevaron­o con stupore e cautela dipinti sotto quelle sopraccigl­ia, che Elio al confronto è uno glabro. Sospettosi mi chiesero cosa fosse. Ora, io lo spagnolo lo mastico un po’, arrivai pertanto a illustrare più o meno decentemen­te i concetti di

timór de lo avión e el cuerno de la buena suerte cuentra el timór de lo avión.

Per intenerire aggiunsi mentendo che era un regalo de mi madre( lo so, suona più romano che madrileño). Uno dei due si stava per accontenta­re o forse s’era rotto i coglioni, insomma vidi un fuggevole lampo di umanità in quegli occhi di secondino, quando l’altro, agitando el cuerno sentì che era cavo e che qualcosa si muoveva al suo interno. Mi diede un’occhiata del tipo “se non t’abbiamo inculato prima, lo facciamo adesso” e cominciò a svitare mentre l’altro portava la mano alla fondina. Ma ero tranquillo, io. No droga. Gobbetto. Esattament­e quello che l’orco n°2 mi sventolò sotto il naso chiedendom­i che cazzo era (questo lo capii).

Ho già detto che lo spagnolo lo mastico, ma “il gobbo porta fortuna, se tocchi la gobba non ti succede niente” era troppo per le mie conoscenze dell’iberico. Si tu

tuca( Raffa, grazie!) la gueba

(la gueba ?) non sortiva alcun’effetto, contra la mala

suerteera ok, ma sempre alla gobba del gobbo del cazzo dovevo tornare, là in mutande, con quei due bruti che man mano mutavano espression­e, dal minaccioso, al perplesso, alla commiseraz­ione. Sulle loro fronti basse apparve come una lu- minosa al neon “Questo italiano è un coglione”.

MORMORANDO qu a lc os a che capii benissimo buttarono via il gobbetto dorato semovibile e se ne andarono, lasciandom­i mezzo nudo nel bugigattol­o a raccattare libri, dentifrici e calzini.

Quando uscii dall’ae roporto trovai i due col trolley ad aspettarmi, seccati perché ci avevo messo tanto. Gli raccontai l’accaduto e tirarono un sospiro di sollievo, perché loro, eleganti, non ideologici, nei bei trolley jet-set un par de canne ce l’avevano. E quegli infami risero.

I controlli in aeroporto Frugarono tra le mie cose, apparve il supercorno. Lo sollevaron­o con stupore dipinto sotto le sopraccigl­ia, che Elio al confronto è uno glabro STEFANO DISEGNI

‘Si tu tuca (Raffa, grazie!) la gueba (la gueba?)’ non sortiva alcun effetto con quei due bruti dalla fronte bassa

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