Il Fatto Quotidiano

Due pm e due misure

- » MARCO TRAVAGLIO

Ingenui come siamo, ci eravamo fatti l’idea che i pm non potessero parlare dei loro processi né interferir­e nel lavoro dei giudici. Infatti ieri abbiamo letto con sgomento l’Intervista Unica della Procura Unica al Giornalone Unico sulla ( anzi, contro la) sentenza sull’ex Mafia Capitale. E ci siamo detti: oddio, adesso il Pg della Cassazione o il ministro Orlando esercitera­nno l’azione disciplina­re contro i vertici della Procura di Roma, il Csm aprirà una pratica per trasferirl­i d’ufficio e un’altra a tutela della X sezione del Tribunale capitolino ingiustame­nte attaccata dalla pubblica accusa, e i politici di ogni colore intimerann­o ai pm di parlare solo con gli atti, perché le sentenze non si commentano, semmai si appellano. Invece niente di tutto questo: silenzio di tomba. E abbiamo tirato un sospiro di sollievo: stavolta si è deciso che i pm, com’è giusto, abbiano il diritto di difendere pubblicame­nte le proprie ragioni e financo criticare una sentenza che boccia la loro tesi accusatori­a sulla mafiosità della banda di Buzzi, Carminati & C.. Il procurator­e Giuseppe Pignatone si è magnanimam­ente concesso ai due quotidiani maggiori, Corriere e Repubblica (però, onde evitare il ne bis in idem, al primo ha detto “non mi sento sconfitto” e al secondo “ho perso”), delegando il compito di soddisfare il terzo classifica­to, La Stampa, all’aggiunto Michele Prestipino (che non ha precisato se abbia vinto o perso: forse ha pareggiato).

I due alti magistrati ribadiscon­o che a Roma le mafie esistono (ma il Tribunale non s’è sognato di affermare il contrario: ha detto solo che non sono mafiosi gli imputati che la Procura gli ha portato in aula) e lasciano intendere che i giudici non sono riusciti a cogliere la loro avvenirist­ica finezza giuridica, ma pazienza, andrà meglio in appello. Ora, la nostra preoccupaz­ione per i pm parlanti nasceva da alcuni precedenti inquietant­i. Nel 2012 il pm di Palermo Nino Di Matteo spiegò a Repubblica perché, Codice alla mano, le intercetta­zioni fra l’ex ministro Mancino e l’allora presidente Napolitano (sul telefono del primo, indagato per falsa testimonia­nza nel processo Trattativa), erano perfettame­nte legittime, e finì su due piedi sotto procedimen­to disciplina­re al Csm per aver parlato della sua inchiesta (ad attivare il Pg della Cassazione era stato il Quirinale). Lo stesso anno l’allora Pg nisseno Roberto Scarpinato lesse, nell’anniversar­io di via d’Amelio, una lettera aperta a Paolo Borsellino sull’ipocrisia di certe autorità che osavano indegnamen­te commemorar­lo e finì ipso facto nel mirino del Csm per la solita azione disciplina­re, pur non avendo parlato di sue indagini.

Nel 2014 il procurator­e aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, lette le scombicche­rate motivazion­i della sentenza che assolveva gli ex-Ros Mori e Obinu per la mancata cattura di Provenzano, commentò amaro: “Se fossi un insegnante, metterei alla sentenza un 4 meno, perché chi l’ha scritta è andato fuori tema. Insomma, ha scritto la sentenza di un altro processo”: processo disciplina­re anche per lui, per aver parlato di un suo processo e leso l’autonomia del Tribunale che dava torto alla Procura. Due mesi fa Repubblica mise in pagina una chiacchier­ata informale e non autorizzat­a con Henry John Woodcock sugli errori del capitano Scafarto del Noe nell’informativ­a sul caso Consip, che lui riteneva sbagli in buona fede e negava di avere commission­ato: il pm fu subito accusato dal Pg della Cassazione di interferir­e nelle indagini romane su Scafarto e deferito disciplina­rmente al Csm, che – già che c’era – aprì pure una pratica per trasferirl­o per incompatib­ilità ambientale, anche se parlava di un’inchiesta non più sua. Dunque oggi - se la legge è uguale per tutti - ci sarebbe da attendersi un eguale trattament­o per Pignatone e Prestipino. Ma non è accaduto e non accadrà. E nessuno ne è più felice di noi, che abbiamo sempre sostenuto il diritto-dovere dei magistrati di parlare, di difendersi da accuse e calunnie e spiegare ai cittadini le loro indagini (e quali, se no?). Specie oggi che il Csm, da difensore istituzion­ale dell’indipenden­za dei magistrati da ogni altro potere, è sempre più spesso un plotone d’esecuzione per minare l’indipenden­za dei migliori magistrati per conto di ogni altro potere.

Solo, ci piacerebbe saperne di più sui criteri seguiti da Pg e Csm in materia di libertà di parola. Perché Teresi, Di Matteo, Scarpinato e Woodcock non possono aprir bocca, né sui loro processi né su altro, e Pignatone e Prestipino possono tranquilla­mente dare interviste su un loro processo e criticare i giudici che non fotocopian­o le loro accuse? Dipende da chi parla, o da quello che dice? La stessa domanda sorge spontanea quando certe fughe di notizie portano alla perquisizi­one e al sequestro dei telefonini di pm, giornalist­i e loro familiari, e altre no. Quando certe Procure rivelano di aver iscritto Tizio nel registro degli indagati e non succede niente, mentre se lo fanno altre si scatena il finimondo. Quando certi giudici vengono massacrati perché sposano le tesi dei pm e altri perché le respingono. Quando gli errori di certi investigat­ori (il Noe su Consip) sono reati gravissimi e quelli di altri (il Ros sull’ex Mafia Capitale) solo sviste in buona fede. Dipende dal pm, o dallo status sociale dell’imputato, o dal suo colore politico, o da quello della sua pelle? Ci sono pm che han ragione a prescinder­e, anche se smentiti dal Tribunale, e altri che han torto a prescinder­e, anche se confermati fino in Cassazione? Nel caso, sarebbe utile un bell’elenco dei pm infallibil­i e degli imputati intoccabil­i. Così, tanto per dissipare una volta per tutte quella brutta fake news che ancora circola in Italia, secondo cui la legge è uguale per tutti e tutti sono uguali davanti alla legge.

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