Il Fatto Quotidiano

“Mogol mi buttava fuori e in 2 giorni Lucio mi rivoleva”

L’INTERVISTA CLAUDIO BONIVENTO È uno dei produttori cinematogr­afici più riconosciu­ti. Tra alti e bassi...

- » ALESSANDRO FERRUCCI E FABRIZIO CORALLO

Claudio Bonivento si presenta con una breve “carta d’identità” sotto il braccio, come a dire: ho le prove, qualcosa nella vita ho combinato. Sono dieci istantanee “prese a caso. Non ho molte foto, neanche autografi o altri ricordi. Sono così, non archivio i passi della mia esistenza”. Confuso e felice, canterebbe Carmen Consoli, nonostante le tante cadute e le altrettant­e risalite, “come accade per ogni produttore cinematogr­afico: passi periodo buoni, alcuni ottimi, altri pessimi, poi ricominci. L’importante è esserne coscienti e tagliare la testa e la coda delle emozioni”. In linea con la sua vita sinusoidal­e, nel suo curriculum si possono scoprire film di denuncia, pellicole leggere, altre cult e incontri non comuni...

Prima immagine: lei insieme a Woody Allen...

Era il 1980, seguivo I Gatti di Vicolo Miracoli. A un certo punto un’idea folle: proviamo a portare su un palco italiano una sua commedia. Strappiamo un incontro a New York con Jack Rollins (storico produttore del regista), stretta di mano, convenevol­i, gli spieghiamo il progetto.

E...

Ci dà l’ok. Poi indica un signore in fondo alla sala, scriveva a macchina seduto sotto un arco, di spalle. Era Allen. Sembrava una scena di un suo film.

Bene, poi?

Parliamo subito di soldi, noi pronti a ritirarci, e invece spara una cifra bassissima, ma a una condizione: “Dovete portare la commedia al Festival di Spoleto”.

Perfetto...

In teoria. Escono copertine, servizi al telegiorna­le, ma al Festival volevano Allen in persona. Niente da fare.

Però lo avete conosciuto. Infatti è la prima foto: io accanto a uno dei miei miti. E non mi ha deluso, anzi. Nello scatto lei sfoggia un importante orologio d’oro. Acquistato con i primi guadagni, simbolo di una stagione particolar­e, quando mi interessav­a il lusso, le Maserati... Di auto ne ho avute tante e molto belle, ma certe situazioni bisogna viverle durante l’età giusta, ed evitare i giovanilis­mi. Lei era considerat­o il quinto dei “Gatti”. Gli altri quattro descritti da lei.

Umberto Smaila è un uomo estremamen­te intelligen­te; Franco Oppini il più vivace e polemico, ogni tanto il gruppo doveva ridimensio­narlo; Jerry Calà il più imprendito­riale, con lui mi confrontav­o spesso, mentre Nini Salerno era quello che metteva giù le battute, la sua penna sintetizza­va gli umori di tutti.

Fine anni Settanta l’apice del vostro successo.

Una nostra serata a Saint Vincent fece 26 milioni di spettatori sulla Rai; Teatro Tenda di Piazza Mancini a Roma, quasi duemila posti, esaurito per tre settimane.

Vi girava la testa?

Non lo so, non sta a me giudicarlo. Spero di no. Però mi ricordo una serata con Vittorio Gassmann in platea insieme ad Alessandro: il figlio si rotolava dalle risate, mentre lui lo guardava incerto, non capiva il motivo dell’ilarità. La critica spesso vi spezzava...

Morando Morandini ci massacrò. Il suo commento per il nostro secondo film, Una vacanza bestiale, fu: “Be s ti al e anche il film”. Punto. Stop. Lo chiamai per compliment­armi, mi sembrava geniale; lui convinto che lo volessi picchiare.

Abatantuon­o era con voi... Alt! Diego è un fuoriclass­e, uno dei migliori attori italiani del dopoguerra: tutti ricordano Regalo di Natale, ma andate a vedere Un ragazzo di Calabria di Comencini, e poi ne parliamo.

Nel film pure Volontè...

Un genio. Uno preparato, e lo dico al di là della bravura. Ho prodotto uno dei suoi ultimi lavori ( Una storia semplice), ma allora non era idolatrato dal cinema, non era così cercato e voluto. Spesso bandito perché considerat­o politicizz­ato.

Vinse il Leone alla carriera. Lui felice, ma senza esagerare. E mi fece smaltire: vado a prenderlo all’aeroporto di Venezia, l’aereo atterra, scendono in passeggeri. Uno, due, dieci, venti, cento... Lui non c’è. Chiudono le porte. Disperato urlo ai miei collaborat­ori: “No, non può averlo fatto!”. Poco dopo si riapre la porta, e appare tranquillo e sorridente: “Ti sei cagato sotto, eh...” Lei ha prodotto pellicole di serie Ae B...

I film non sono catalogabi­li. Vogliamo parlare di quelli di Totò? Dove vanno inseriti? Uno dei suoi maggiori successi è “Soldati 365 all’alba”.

Un risultato non scontato, con una serie forte di impediment­i, chiamiamol­i così.

Tradotto?

L’esercito non ci facilitò su nulla, e mi riferisco alle location: la caserma utilizzata è un ex manicomio abbandonat­o vicino Trieste; poi le stellette sulle divise sono a sei punte, qualche amico mi aveva avvertito di stare attento ai “simboli”, ci aspettavan­o al varco per accusarci e bloccare il film.

Quale accusa le rivolgono maggiormen­te...

Ne dovrei dire troppe.

Una...

Il caratterac­cio.

In questi ultimi anni, cosa le sarebbe piaciuto produrre? Perfetti sconosciut­i, bravo Geneovese; poi Jeeg Robot, veramente geniale; e il primo tempo de La mafia uccide d’estate di Pif.

Solo il primo tempo...

Lui è come Bolt, è bravo nei 100 e 200 metri, gli manca il passo sulla distanza.

Ha lanciato tanti attori: conta più la costanza o la tecnica?

Orson Welles diceva: “Tecnica quattro ore, qualità tutta la vita”. Se mi dicono di un regista “è bravo, sa girare” mi incacchio. Il confine non è saper girare, ma saper raccontare.

Un esempio? Monicelli ha raccontato come pochi l’Italia e senza un primo piano. E anche Comencini e Risi. Altro successo: “La Scorta”.

Nasce da una vicenda personale. Ero fermo al semaforo, centro di Roma, arrivano due auto, mi superano e si piazzano di traverso. Li mando a quel paese. Uno di loro scende con la paletta, un energumeno, inizia a sbattere sul mio vetro, grida, aveva gli occhi appannati, saturi di adrenalini­ci. E lei?

Terrorizza­to, però ho fissato nella testa lo sguardo del poliziotto, mi sono domandato il perché del suo livello di stress. È nato il film. Angelo Infanti tra gli attori presenti...

Poverino. Una persona meraviglio­sa. Con lui eravamo molto amici, e poi lo considerav­o uno dei più bravi della sua generazion­e, quando po- tevo lo coinvolgev­o. Con La

scorta lo chiamo, gli racconto il copione, e lui: “Fai te, fai te, non voglio sapere nulla, decidi il ruolo. Mi fido”. E io: “No, ti conosco, se non ti sta bene ti incavoli e li t ig hi a m o ”. Lui insiste. Gli assegnamo la parte della spia, un infame, lui legge, mi richiama: “Io sta parte de merda non la faccio!”. Come previsto...

Appunto. Era il suo stile: ha preferito ottenere molte meno pose, meno soldi e visibilità con un personaggi­o minore, ma più consono, e nel contratto era scritto che doveva stare sempre con noi. Almeno lo controllav­amo. Era così necessario?

Sì. Ma lasciamo perdere, era una persona speciale.

“La Scorta” sollevò alcune polemiche...

Sono stato accusato di camminare sui cadaveri. Era il pe-

L’abbiamo incontrato a New York per un lavoro: era seduto sotto un arco. Scriveva. Sembrava una scena dei suoi film

WOODY ALLEN Per la sceneggiat­ura de ‘La dolce vita’ ha dovuto lottare con Fellini. Federico non intendeva dargliela

MARCELLO MASTROIANN­I

riodo degli attentati. Comunque l’idea di quel film è stata spolpata: ha aperto quindici anni di produzioni tv, è stato una sorta di prototipo. La television­e impara...

Il piccolo schermo ha dato molto al cinema, ma ora sta esagerando nel ricevere. Oggi non passa quasi nulla, l’ultimo film è stato faticosiss­imo promuoverl­o. “Il permesso - 48 ore fuori” ha ottenuto ottime critiche.

Sì, ma sarebbe stato impossibil­e realizzarl­o se non mi a-

vessero dato una mano gli sceneggiat­ori, Amendola, Argentero, la troupe e la Eagle: si sono tagliati il cachet, scelta rarissima. Questo è il cinema oggi. Ci rendiamo conto? È un momento così basso?

Possibile che nel palinsesto televisivo c’è una sola trasmissio­ne di cinema, e piazzata a notte fonda sulla Rai? In tv si parla solo di giardinagg­io, si discerne di cucina, di cucina, di cucina... E oggi, se non sei dentro i meccanismi televisivi, non conti nulla. Un attore quarantenn­e che la convince...

Mi piace Vinicio Mar-

chioni (con lui protagonis­ta in 20 sigarette), è un Montgomery Clift nostrano, mi emoziona lo stile. E poi?

Luca Marinelli, un fuoriquota, è come Abatantuon­o, è uno di quelli che può piacerti o meno, ma non puoi discutere la qualità assoluta. Ci fermiamo qui?

È bella la strada intrapresa da Ficarra e Picone, copioni ben scritti, loro sono persone modeste e spiritose, sanno valorizzar­e le loro qualità. Torniamo alle fasi della sua vita: trent’anni, che età è?

Prendi tutto quello che puoi.

Agisci. Metti in piedi. Smonti. Ricominci. Quaranta...

Ti viene voglia di cominciare a raccoglier­e qualcosa, poi ti rendi conto di essere ancora giovane e ti ributti nella mischia, rischi ancora. In questo forse ho esagerato. In carriera, quante idee le hanno rubato?

Qualcosa, ma preferisco non ricordare.

Lei quante ne ha scippate?

Mai! Comunque tra loro sono più solidali gli attori e gli autori, mentre tra produttori c’è un clima differente. Per fortuna le idee non mi sono mai mancate, annuso l’aria. Da sempre?

Con Altri uomini, prima opera come regista, ho raccontato quasi solo quello che ho visto, il mio quartiere a Milano, le sue liturgie, le amicizie, i silenzi consigliab­ili; uno dei frequentat­ori del bar-ritrovo era Renè Vallanzasc­a (rapinatore degli anni Settanta), ed era in parte già il Renè con tutte le sue attitudini criminali. Quella era la sua periferia milanese, poi c’era quella romana narrata da Caligari... Mi piaceva il mondo che raccontava. Amavo il suo riflesso interiore. E il trattament­o riservato a Non essere cattivo in occasione dell’Oscar, è l’emblema di quello che dicevo prima: l’in dif ferenza. Sono contento per Sollima... Cosa c’entra Sollima?

Ha fatto bene ad andare via, a girare all’estero, perché è

il Italiapiù bravo.ci sono Lui personesa nararre. convin- In testiere,di svolgeresi gasano, bene sproloquia-questomeno,sto Viale eppure del non tramonto.hanno mai viRiprendi­amo: a cinquant’ anni? Dovresti essere già arrivato, invece ti rendi conto che devi ricomincia­re tutto daccapo. Sessanta...

Sono due da trenta.

Torniamo alle foto: Bob Hoskins...

Voleva formare un gruppo musicale composto da me, Denny De Vito e Phil Collins. Sosteneva che ci somigliava­mo tutti, a me la batteria... Lei e Leo Ferrè...

Un tipo strano. Divertente come pochi. Lo frequentav­o nel periodo dello scimpanzè. Il celebre Pépée..

Sì, è storia, oggi sembra incredibil­e, eppure era tutto vero: lui ci dormiva e poi come è noto, per gelosia la moglie ha ucciso l’animale. Con lui sono

stato arrestato. Per colpa di Pépée?

No. Un giorno mi chiede di accompagna­rlo a Parigi in macchina, quindi recupero un’auto, partiamo, chilometri e chilometri, come bagaglio una cartella nella quale aveva ammassato un paio di pantaloni e due Lacoste. Arriviamo a Ventimigli­a. Ci fermano... Non lo riconoscon­o?

Macché. Scatta la perquisizi­one, e dura molto, fino a quando Leo domanda: “Scusi, ma cosa cercate?”, “Quelli come voi si portano le bombe appresso”, la risposta seria. “Coglione, io le bombe le ho nel

cervello, non nella borsa”. Fermati. E chiusi nella camera di sicurezza. Come siete usciti?

Ho dovuto chiamare mio padre, Leo si rifiutava di avvertire qualcuno in Francia, aveva pure rifiutato la Legion d’Onore... I suoi primi passi sono con Mogol e Battisti...

Ero per Lucio. Mogol mi licenziava il venerdì, Battisti mi riassumeva il lunedì perché si fidava di me, ero il suo ragazzo di bottega. In quel periodo i fotografi, le riviste e gli avversari cinematogr­afici mi hanno offerto la qualunque per ottenere informazio­ni. Come ha iniziato?

In generale con il ruolo d’autista: è capitato e capita alla maggior parte dei produttori, è il miglior modo per entrare in confidenza con le star. Oltre a Ferrè, seguivo Aznavour, poi diventato un amico. E con Mogol e Battisti?

Bussando alla porta a vetri della Numero Uno. Allora poteva accadere l’impossibil­e con modalità semplici e possibili. Da quelle stanze è passato il meglio della musica italiana, avevamo anche dieci pezzi in classifica e nelle prime dieci posizioni. Monopolio del gusto...

In quel periodo è nata una generazion­e straordina­ria, da Edoardo Bennato e Eugenio Finardi; da Ivan Graziani a Gianna Nannini. La Nannini giovanissi­ma...

Avrà avuto sedici anni, maglietta bianca e jeans, tirava cazzotti ovunque. Siamo ai suoi quasi settant’anni...

Inizi a segnare le varie voci della vita, il piacere di voler lasciare qualcosa; rifletti su chi non c’è più, salvi i ricordi... Uno di questi ricordi, è...

Marcello Mastroiann­i. Con lui ho costruito un bel rapporto, specialmen­te negli ultimi anni di vita; e a forza di frequentar­lo ho capito la sua idea del genere umano: non menefreghi­sta ma possibilis­ta. Un po’ felliniano...

Può essere. Raccontava spesso la discussion­e con Fellini per la sceneggiat­ura de La

dolce vita. Federico non voleva dargliela. Lui insisteva. Poi una sera Fellini lo invita al ristorante: “Marcello vieni, ti do tutto”. Si siedono, ordinano, qualche convenevol­e. Finiti i rituali, Mastroiann­i chiede la stesura. Fellini non si scompone, prende dalla giacca un foglio piegato in quattro, lo stende: “A te”. Cos’era?

La sceneggiat­ura! Un disegno di Flaiano o Fellini stesso, Mastroiann­i con la camicia aperta, in giacca. Vestito come il suo personaggi­o del film. Bella lezione di vita. A lei questa “lezione” cosa ha insegnato?

Che i film non si spiegano...

E buonanotte ai suonatori. Twitter: @A_Ferrucci © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Inizi con Mogol e Battisti Giulio mi licenziava ogni venerdì, Lucio mi assumeva il lunedì. Si fidava di me, ero il suo ragazzo di bottega

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Con il gruppo comico; a sinistra Woody Allen; sotto Leo Ferré; a destra Bob Hoskin
Insieme ai “Gatti” Con il gruppo comico; a sinistra Woody Allen; sotto Leo Ferré; a destra Bob Hoskin

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