LE RIVOLTE CHE MANDANO QUESTA ITALIA IN FRANTUMI
Si espande la frantumazione italiana, in alto e in basso, nelle istituzioni e tra i cittadini, fra chi ha diversi livelli d’autorità e chi comunque non vuole più stare al gioco, e non intende seguire né le leggi né l’orientamento sociale e crede sempre più fermamente in un fai da te che rompe, in molti punti cruciali, non solo l’unità fisica del Paese (territorio e istituzioni) ma anche il desiderio e la possibilità dei cittadini di vivere insieme. Pesa la rivolta delle regioni.
IN APPARENZA alcune regioni secessioniste (Lombardia, Veneto) vogliono diventare “regioni a statuto speciale”. Ovvero tenersi le tasse che incassano, in modo che il benessere del Nord non possa raggiungere il Sud. Ma intanto le regioni a Statuto speciale (Trento e Bolzano, Valle d’Aosta, Sicilia) vogliono molto di più di quello che già hanno. E vogliono mano libera in tutti i tipi di decisione. Comunque la tendenza si estende (la regione Emilia fa sapere di condividere la spinta secessionista di Lombardia e Veneto). Intanto è cominciata la rivolta dei sindaci. Da quando non è più un leader con storia partitica e prestigio politico a guidare l’Anci (associazione dei Comuni italiani), i sindaci si ribellano, rifiutano limiti e doveri, vogliono decidere in proprio per buone ragioni (l’espandersi di basi militari straniere) e per cattive ragioni (assecondare il razzismo in crescita dei loro cittadini e rifiutare ogni ospitalità ai migranti). Comunque oppongono barriere di “no” infastiditi ed estranei alla accettazione del Paese comune che aveva finora segnato la storia italiana. Una secessione impetuosa ha contrapposto Italie diverse sullo Ius Soli, ovvero la cittadinanza immediata ai bambini stranieri nati in Italia. Ho detto secessione invece di opposizione, perché fin dagli eventi accaduti nelle aule delle due Camere, si è constatato che quelle due Italie non vogliono vivere insieme. Alle spalle della secessione Ius soli c’è la secessione migranti, (“il Paese scoppia”) sempre più vasta, e ormai sempre meno incline ad ac- cettare leggi e decisioni comuni. È un liquido velenoso che ha intriso l’Italia. Torrenti impetuosi dividono anche luoghi e gruppi che apparivano soltanto in cerca di garanzie e di correzioni, prima di piantare bandiere di rifiuto assoluto e di impegno alla rivolta fisica che, del resto, si è già verificata in molti casi, anche contro mamme e bambini. Ma quando gli spacchi sono profondi, si esprimono anche in altri modi. Quasi all’improvviso è cominciata la rivolta contro le Ong, (le Organizzazioni non governative fondate sul coordinamento dell’iniziativa volontaria) su cui è caduta all’improvviso un’accusa tra le più illogiche e meno dimostrabili: salvano migranti dal rischio di annegare, per conto di interessi finanziari oscuri. Le Ong si trovano di fronte alla più inaspettata delle domande: “Voi salvate. Ma chi vi paga?”. E la più fondamentale delle attività umane (morale ma anche istintiva, l’atto di salvare) viene sospettata di essere un business, con finalità impossibili da definire. Quando un esperto di numeri, titolare nazionale del compito di verificare i numeri, Tito Boeri (Inps), si è assunto il compito di dimostrare che, comunque, gli immigrati non sono a carico degli italiani, ma è ve- ro il contrario, e lo ha dimostrato (gli italiani traggono beneficio dalla presenza di migranti che lavorano) è scoppiata la rabbia della ormai larghissima maggioranza di italiani che, nutrita di notizie false, vede comunque il pericolo negli stranieri, esattamente come nelle canzoni fasciste (tutte esaltazioni della frontiera) che i sopravvissuti di allora ancora ricordano. Questi sopravvissuti ricordano anche l’orrore crudele e razziale del fascismo al potere, ma non devono più dirlo adesso.
TI SPIEGANO, anche un po’rudemente, che l’omicidio sistematico degli oppositori e la deportazione di “razze” estranee in adeguati vagoni-bestiame, oggi devono essere considerati espressioni di libera opinione con cui è bene non interferire. Ed è raccomandato rispetto, se qualcuno desidera celebrare quel passato.
A questo punto comincia a rivelarsi la più vasta delle spaccature, quella contro gli esperti, tecnici, storici e scienziati di ogni tipo. La rete conosce, e dunque tutti i cittadini conoscono, le risposte giuste, e non c’è bisogno delle varie caste di un presunto sapere superiore. Forse questo spiega perché un numero sempre più alto di ragazzi italiani non vuol saperne dell’università, abbassando ancora il livello italiano dei giovani laureati. Gli esperti non sono altro che detentori di potere. Perché sottomettersi? Resta la vera domanda: che futuro può avere un Paese così frantumato?