Ora milioni di volontari saranno sotto il cappello del governo
Una fondazione avrà il controllo sui fondi pubblici e privati: l’ha voluta un finanziatore di Renzi
Un esercito. Quello di cui parliamo è un esercito sparso lungo tutta la penisola, isole comprese: oltre 301mila associazioni non profit in cui lavorano (dati Istat) 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti diretti e 271mila esterni. È il cosiddetto Terzo settore. Quello che forse il lettore non sa è che tra poco sopra questo esercito starà un unico ente guidato, con ogni probabilità, da un solo generale: ci si riferisce alla Fondazione Italia Sociale (FIS) e all’uomo che l’ha proposta, Vincenzo Manes. Chi era costui? Cavaliere del Lavoro, imprenditore nella siderurgia con la KME, filantropo e, quel che rileva ai nostri fini, consigliere di Matteo Renzi e finanziatore della sua Fondazione Open, quella della Leopolda.
LA FONDAZIONEItalia Sociale sta per essere istituita (lo Statuto è alla firma del Quirinale, che pare avere qualche perplessità) dopo essere stata introdotta - grazie a un contestato emendamento del governo Renzi - nella Riforma del Terzo Settore approvata un anno fa e di cui in questi giorni l’esecutivo ha emanato i decreti attuativi. Per come è stata disegnata dallo Statuto, questa Fondazione è uno strano ircocervo, un po’ pubblico e un po’ privato, non profit ma con qualche spruzzata di profit; il suo compito sarà reperire risorse da distribuire alle associazioni - in particolare quelle piccole e piccolissime, che hanno difficoltà nel fund raising – lavorando dalla sua sede di Milano. Nell’italiano dello Statuto è scritto così: “Sostenere, mediante l’apporto di risorse finanziarie e di competenze gestionali, la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del Terzo settore”. I criteri per assegnare le risorse? Vaghissimi. Insomma, a chi dare i soldi e per cosa verrà deciso in piena autonomia.
Al vertice ci sarà un comitato di gestione di 10 membri: uno lo sceglie Palazzo Chigi, uno il Tesoro e un altro, che sarà il presidente, il ministero del Lavoro. Quest’ultimo nome è dato praticamente per certo dagli addetti ai lavori: il presidente sarà proprio Vincenzo Manes. Gli altri 7 membri saranno designati dal “Collegio dei partecipanti”, cioè chi metterà i soldi nella Fondazione (che si tratti di aziende non profit o profit non importa). Un solo consigliere, invece, spetta al Consiglio del Terzo settore. I compiti operativi, infine, saranno appannaggio del segretario generale: tutte le cariche saranno a titolo gratuito, tranne qualche eccezione “nella misura determinata dal Comitato di Gestione”.
E qui lo strano ircocervo FIS prende forma: giuridicamente si tratta di un ente di diritto privato, dotato di piena autonomia statuaria e gestionale, ma il fondo di gestione iniziale da un milione di euro lo mette lo Stato e la struttura sarà vigilata dal ministero del Lavoro e dalla Corte dei Conti. E ancora: la Fondazione potrà ricorrere alla collaborazione sia con enti non profit, che profit (anche privati) per reperire le risorse, mentre all’art. 4 dello Statuto è stabilito che FIS potrà partecipare o concorrere alla costituzione di altre forme associative pubbliche e private, “comunque volte al perseguimento degli scopi della Fondazione”. Anche a livello di operazioni finanziarie, alla Fondazione è concesso ampio margine per muoversi come crede: potrà eseguire operazioni bancarie e finanziarie, stipulare contratti con enti pubblici e privati per lo “svolgimento delle proprie attività”, impiegare le risorse anche per il “funzionamento della Fondazione stessa e per la realizzazione dei suoi scopi”. Affermazione un po’ vaga quando si parla (anche) di soldi pubblici.
COME DETTO, le associazioni (che in Italia operano in tutti i campi: dall’assistenza sociale alla sanità, dallo sport alla cultura) dovranno riuscire a ottenere dalla Fondazione - che si candida, grazie alla sua natura di ente “para-governativo”, ad attrarre la gran parte dei fondi pubblici e delle donazioni private al volontariato - i soldi necessari ai loro progetti. Come? Non si sa. Quello che è certo, è che il futuro delle iniziative e degli stessi enti dipenderà dalle decisioni della Fondazione: se finanziare (quanto e dove) l’assistenza domiciliare o una sagra di paese lo deciderà la FIS voluta dal renziano Manes.
Le opposizioni in Parlamento hanno espresso più di una perplessità. Alla Camera i deputati del M5S in commis-
Lo strano ircocervo Ente di diritto privato, ma coi vertici nominati dall’esecutivo e sotto il controllo di Poletti
sione Affari Sociali hanno scritto un loro parere di minoranza sullo Statuto: “Tale Fondazione non soddisfa alcuna esigenza di trasparenza e di regolazione del Terzo settore”, né è chiaro come mai al posto di un ente “dal dubbio profilo giuridico” non sia stata istituita “un’Agenzia indipendente”. Pure in Senato c’è chi ha avanzato dubbi. Tra gli altri, la senatrice di Articolo 1 Mdp, Maria Grazia Gatti: la norma sulla divisione dei fondi è “troppo lacunosa nel prevedere le condizioni di accesso degli enti del Terzo settore al sostegno della Fondazione”. Per la senatrice, si presta “facilmente ad equivoci” anche la possibilità per la FIS di compiere operazioni bancarie, finanziarie, mobiliari e di richiedere sovvenzioni e mutui, soprattutto visto che potrà operare con soggetti profit, “mettendo in discussione il carattere non lucrativo della fondazione”.
L’ULTIMO ostacolo sono le Regioni. Molti governatori, racconta una fonte, non erano convinti dello Statuto della Fondazione, ma alla fine è rimasto solo il Veneto (Lombardia e Liguria, che pure erano contrarie, non si sono presentate) a dire no in Conferenza Stato-Regioni ai decreti attuativi: per legge, però, ne basta uno solo a far mancare l’intesa. “È chiaro che non hanno tenuto conto in nessun modo dell’esito del referendum del 4 dicembre: vogliono continuare sulla strada dell’accentramento, dimostrando che per loro non esistiamo”, ha dichiarato l’assessore veneto Manuela Lanzarin: “Si vuole accentrare il potere nelle mani della Fondazione, quando si tratta di scelte che spettano alle Regioni. C’è persino l’ipotesi di un fondo unico a cui tutte le fondazioni regionali dovranno trasferire i soldi”.