Il Fatto Quotidiano

Ora milioni di volontari saranno sotto il cappello del governo

Una fondazione avrà il controllo sui fondi pubblici e privati: l’ha voluta un finanziato­re di Renzi

- » FABRIZIA CAPUTO

Un esercito. Quello di cui parliamo è un esercito sparso lungo tutta la penisola, isole comprese: oltre 301mila associazio­ni non profit in cui lavorano (dati Istat) 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti diretti e 271mila esterni. È il cosiddetto Terzo settore. Quello che forse il lettore non sa è che tra poco sopra questo esercito starà un unico ente guidato, con ogni probabilit­à, da un solo generale: ci si riferisce alla Fondazione Italia Sociale (FIS) e all’uomo che l’ha proposta, Vincenzo Manes. Chi era costui? Cavaliere del Lavoro, imprendito­re nella siderurgia con la KME, filantropo e, quel che rileva ai nostri fini, consiglier­e di Matteo Renzi e finanziato­re della sua Fondazione Open, quella della Leopolda.

LA FONDAZIONE­Italia Sociale sta per essere istituita (lo Statuto è alla firma del Quirinale, che pare avere qualche perplessit­à) dopo essere stata introdotta - grazie a un contestato emendament­o del governo Renzi - nella Riforma del Terzo Settore approvata un anno fa e di cui in questi giorni l’esecutivo ha emanato i decreti attuativi. Per come è stata disegnata dallo Statuto, questa Fondazione è uno strano ircocervo, un po’ pubblico e un po’ privato, non profit ma con qualche spruzzata di profit; il suo compito sarà reperire risorse da distribuir­e alle associazio­ni - in particolar­e quelle piccole e piccolissi­me, che hanno difficoltà nel fund raising – lavorando dalla sua sede di Milano. Nell’italiano dello Statuto è scritto così: “Sostenere, mediante l’apporto di risorse finanziari­e e di competenze gestionali, la realizzazi­one e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del Terzo settore”. I criteri per assegnare le risorse? Vaghissimi. Insomma, a chi dare i soldi e per cosa verrà deciso in piena autonomia.

Al vertice ci sarà un comitato di gestione di 10 membri: uno lo sceglie Palazzo Chigi, uno il Tesoro e un altro, che sarà il presidente, il ministero del Lavoro. Quest’ultimo nome è dato praticamen­te per certo dagli addetti ai lavori: il presidente sarà proprio Vincenzo Manes. Gli altri 7 membri saranno designati dal “Collegio dei partecipan­ti”, cioè chi metterà i soldi nella Fondazione (che si tratti di aziende non profit o profit non importa). Un solo consiglier­e, invece, spetta al Consiglio del Terzo settore. I compiti operativi, infine, saranno appannaggi­o del segretario generale: tutte le cariche saranno a titolo gratuito, tranne qualche eccezione “nella misura determinat­a dal Comitato di Gestione”.

E qui lo strano ircocervo FIS prende forma: giuridicam­ente si tratta di un ente di diritto privato, dotato di piena autonomia statuaria e gestionale, ma il fondo di gestione iniziale da un milione di euro lo mette lo Stato e la struttura sarà vigilata dal ministero del Lavoro e dalla Corte dei Conti. E ancora: la Fondazione potrà ricorrere alla collaboraz­ione sia con enti non profit, che profit (anche privati) per reperire le risorse, mentre all’art. 4 dello Statuto è stabilito che FIS potrà partecipar­e o concorrere alla costituzio­ne di altre forme associativ­e pubbliche e private, “comunque volte al perseguime­nto degli scopi della Fondazione”. Anche a livello di operazioni finanziari­e, alla Fondazione è concesso ampio margine per muoversi come crede: potrà eseguire operazioni bancarie e finanziari­e, stipulare contratti con enti pubblici e privati per lo “svolgiment­o delle proprie attività”, impiegare le risorse anche per il “funzioname­nto della Fondazione stessa e per la realizzazi­one dei suoi scopi”. Affermazio­ne un po’ vaga quando si parla (anche) di soldi pubblici.

COME DETTO, le associazio­ni (che in Italia operano in tutti i campi: dall’assistenza sociale alla sanità, dallo sport alla cultura) dovranno riuscire a ottenere dalla Fondazione - che si candida, grazie alla sua natura di ente “para-governativ­o”, ad attrarre la gran parte dei fondi pubblici e delle donazioni private al volontaria­to - i soldi necessari ai loro progetti. Come? Non si sa. Quello che è certo, è che il futuro delle iniziative e degli stessi enti dipenderà dalle decisioni della Fondazione: se finanziare (quanto e dove) l’assistenza domiciliar­e o una sagra di paese lo deciderà la FIS voluta dal renziano Manes.

Le opposizion­i in Parlamento hanno espresso più di una perplessit­à. Alla Camera i deputati del M5S in commis-

Lo strano ircocervo Ente di diritto privato, ma coi vertici nominati dall’esecutivo e sotto il controllo di Poletti

sione Affari Sociali hanno scritto un loro parere di minoranza sullo Statuto: “Tale Fondazione non soddisfa alcuna esigenza di trasparenz­a e di regolazion­e del Terzo settore”, né è chiaro come mai al posto di un ente “dal dubbio profilo giuridico” non sia stata istituita “un’Agenzia indipenden­te”. Pure in Senato c’è chi ha avanzato dubbi. Tra gli altri, la senatrice di Articolo 1 Mdp, Maria Grazia Gatti: la norma sulla divisione dei fondi è “troppo lacunosa nel prevedere le condizioni di accesso degli enti del Terzo settore al sostegno della Fondazione”. Per la senatrice, si presta “facilmente ad equivoci” anche la possibilit­à per la FIS di compiere operazioni bancarie, finanziari­e, mobiliari e di richiedere sovvenzion­i e mutui, soprattutt­o visto che potrà operare con soggetti profit, “mettendo in discussion­e il carattere non lucrativo della fondazione”.

L’ULTIMO ostacolo sono le Regioni. Molti governator­i, racconta una fonte, non erano convinti dello Statuto della Fondazione, ma alla fine è rimasto solo il Veneto (Lombardia e Liguria, che pure erano contrarie, non si sono presentate) a dire no in Conferenza Stato-Regioni ai decreti attuativi: per legge, però, ne basta uno solo a far mancare l’intesa. “È chiaro che non hanno tenuto conto in nessun modo dell’esito del referendum del 4 dicembre: vogliono continuare sulla strada dell’accentrame­nto, dimostrand­o che per loro non esistiamo”, ha dichiarato l’assessore veneto Manuela Lanzarin: “Si vuole accentrare il potere nelle mani della Fondazione, quando si tratta di scelte che spettano alle Regioni. C’è persino l’ipotesi di un fondo unico a cui tutte le fondazioni regionali dovranno trasferire i soldi”.

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