Altro che Jim Messina, Matteo copia il Duce
Archetipi La propaganda renziana riprende quella fascista: dall’ossessione per le buone notizie al comportarsi come in un film
Ese il modello principale della propaganda di Matteo Renzi non fossero gli spin doctor anglosassoni, della cui influenza sul segretario Pd molto si è parlato, ma politici nostrani, in questa disciplina ferratissimi, a partire da Benito Mussolini? Il giornalista de “La Stampa”, Fabio Martini dedica un’analisi alla “fabbrica delle verità” nel nostro paese, a partire dal fascismo per arrivare a Grillo. “Mussolini, duce e persuasore occulto” si intitola il primo capitolo. E quello sull’ex premier, “L’ottimismo a tutti i costi”. A leggere alcuni stralci - che qui pubblichiamo - tratti dalla parte sul Ventennio, le somiglianze tra la propaganda del dittatore e quella di Renzi saltano agli occhi. Dall’attenzione ossessiva alle “buone notizie”, all’attitudine a presentare ogni evento politico come un film (non a caso in uno dei paragrafi su Renzi, Martini ricorda la “telecamera del governo” che produceva immagini esclusive quando lui era a Palazzo Chigi). Uno però, è durato vent ’ anni, l’altro chissà.
Propaganda e regimi autoritari
La lunga storia della comunicazione di governo – da Mussolini a Renzi, passando per De Gasperi, Fanfani e Berlu- sconi – dimostra che edulcorare, impaurire, criminalizzare può funzionare, anche quando si eccede. Ma la storia racconta pure che per penetrare nell’im magina rio collettivo, e restarci, la propaganda deve essere impastata, almeno un po’, di verità. L’alterazione costante della realtà è qualcosa che alla lunga finisce per scontrarsi con la forza delle cose. Convive meglio con i regimi autoritari.
Al bando le cattive notizie
La prima centrale operativa delle veline del duce è l’Ufficio stampa, che dalla primavera del 1924, dunque prima del delitto Matteotti, aveva iniziato a diramare un numero, pur ristretto, di ordini alla stampa. Ma l’attività si intensifica alla fine degli anni Venti, con un proliferare di disposizioni quotidiane che ogni tanto viene rafforzato da dispacci riepilogativi e stringenti.
Eloquente la circolare diramata nei primi anni trenta da Gaetano Polverelli, in quel momento capo dell’Ufficio stampa, scandita in 37 punti, uno dei quali aveva carattere al tempo stesso pro- grammatico e perentorio: “Eliminare le notizie allarmistiche, pessimistiche, catastrofiche, deprimenti”. Difficile compendiare meglio la filosofia ispiratrice delle veline: i giornali (ma di riflesso anche la radio e i cinegiornali) sono chiamati a cancellare qualsiasi traccia conflittuale nel racconto della vita quotidiana degli italiani. Nel tentativo di restituire ai cittadini un sentimento tranquillizzante: quello di vivere in un paese pacificato e sereno dal punto di vista sociale e dell’ordine pubblico, un paese diverso e migliore rispetto alle altre grandi nazioni europee.
Per dar corso a questo vasto programma, negli ordini ai giornali si insiste in particolare su tre costanti, stabili nel corso degli anni: oltre al drastico ridimensionamento dello spazio dedicato alla cronaca nera, occorrerà soffocare qualsiasi notizia che alluda a un peggioramento delle condizioni economiche e sociali, rimuovere qualsiasi riferimento a eventi, anche banali, come il maltempo, che possano produrre turbamento o anche pericolose “eccitazioni”. In particolare l’attenzione ai fatti della cronaca nera resterà u- na costante quasi ossessiva, che inizia agli albori del regime e proseguirà fino agli ultimi giorni. Ancora il 3 marzo 1943, in una situazione bellica molto critica, Polverelli (nel frattempo diventato ministro della Cultura popolare) troverà il tempo per chiedere, di nuovo, che la cronaca nera sia ridimensionata: in quel caso confinandola sui giornali locali. Nel perseguire questa linea “ansiolitica”, la misura più drastica è rappresentata dall’ordine di vietare la pubblicazione dei necrologi e delle notizie sui suicidi.
Ciak, il Duce gira il film
Protagonista frequente dei cinegiornali e dei documentari è proprio il duce. In assenza, in Italia, di un sovrintendente unico alla propaganda, Mussolini di fatto divenne regista e interprete di un copione, secondo uno spartito magistralmente descritto dallo storico del cinema Gian Piero Brunetta: “Per vent’anni Mussolini fu il Divo capace di dominare l’immaginazione degli italiani, il sovrano della scena politica e spettacolare nazionale, una sorta di mattatore onnipresente e onnipote nte ”, abile nel rivestire tanti ruoli, “in un lunghissimo assolo che lo vide esibirsi nei luoghi più diversi e indossare prima gli abiti borghesi, fino alla tuba e al frac, i costumi da bagno, la tuta da aviatore e la divisa da cavallerizzo, i caschi da motociclista o l’ab bigliam ento sportivo da tennista, e poi tutti i tipi di divise militari”.
Il libro