Il Fatto Quotidiano

Di Matteo, perfetto capro espiatorio nel Truman Show

- » GIUSEPPE LO BIANCO E SANDRA RIZZA

Venticinqu­e anni di pentiti fantoccio, di insabbiame­nti, di verbali dimenticat­i e altri nascosti, di riscontri mai fatti, di colloqui investigat­ivi autorizzat­i dopo il pentimento, venticinqu­e anni soprattutt­o di indagini mai fatte e di un depistaggi­o che dura dal 20 luglio del ’92 nell’assoluto disinteres­se di commission­i Stragi e Antimafia, e finalmente l’Italia si sveglia con il nome dell’unico, vero responsabi­le: il pm Nino Di Matteo. “Non so se era alle prime armi, è certo che mio padre non si meritava un pm alle prime armi”, ha urlato Fiammetta Borsellino e subito dopo si è interrogat­o Mattia Feltri sulla Stampa:“Se il depistaggi­o fu un effetto della trattativa, come fa il maturo pm di Palermo, Di Matteo, a occuparsi del giovane pm di Caltanisse­tta, Di Matteo?”. Nella procura che oggi si scopre massonica, tra gli ottanta magistrati che in tre gradi di giudizio di tre diversi processi hanno avallato le scempiaggi­ni criminali di un “orsacchiot­to con le batterie”, come si è definito Scarantino, indotto a mentire da agenti ancora senza volto, il capro espiatorio è servito su un piatto d’argento sul tavolo della partita tuttora in gioco, che a distanza di 70 anni dal pianoro di Portella della Ginestra, è in grado per la prima volta di rispondere alla domanda elusa da tutte le commission­i antimafia: c’è uno Stato nello Stato che è sceso a patti con la mafia? Come si è declinato e chi sono stati i protagonis­ti? E soprattutt­o c’è un sistema di potere collaudato che protegge dall’interno una verità indicibile che pochi magistrati coraggiosi, oggi in Italia, possono trasformar­e, come ha detto il 17 luglio a Palermo il pm Gianfranco Donadio, in una “verità dicibile”?

IL DOLORE sdogana il diritto di parola svincoland­olo da ogni obbligo, e Fiammetta Borsellino è stata dura e precisa, sbagliando però bersaglio: Nino Di Matteo è arrivato a Caltanisse­tta nel novembre del ’94, quando il pentimento di Scarantino era già stato apparecchi­ato nel giugno di quell’anno a Pianosa da Ilda Boccassini e Carmelo Petralia, cucinato nel luglio successivo durante i dieci giorni di colloqui investigat­ivi e definitiva­mente servito a settembre con i primi arresti. Di Matteo è venuto dopo, e la sua partecipaz­ione al disastroso Truman Show collettivo non lo assolve esattament­e come non assolve nessuno degli ottanta e passa magistrati che su quelle decisioni poi riformate hanno apposto la propria firma, e, soprattutt­o, come le centinaia di parlamenta­ri che in 25 anni non hanno mai sentito il bisogno di aprire alla Camera e al Senato una sessione sulla stagione stragista del ’92-’94, la più oscura della nostra storia recente. E allora si impala il pm utilizzand­o la rabbia sacrosanta di una donna giustament­e indignata da 25 anni per l’ignobile partita istituzion­ale giocata sulla pelle di suo padre, puro e autentico servitore dello Stato, per bloccare ciò che in questo momento fa più paura ai tanti che occupano i piani alti del potere istituzion­ale: il processo della Trattativa Stato mafia. Lo si fa colpendo mediaticam­ente Di Matteo, al quale, se fossimo stati i suoi addetti stampa, avremmo consigliat­o di chiedere scusa alle 9 vittime innocenti condannate all’ergastolo e adesso assolte e scarcerate. È secondo noi un atto doveroso per la sua quota, marginale e minima di responsabi­lità morale, ma attiene alla sua coscienza individual­e, che nessuno è autorizzat­o a sondare. Tantomeno due giornalist­i che qui si limitano a ribadire come sia incoraggia­nte che a distanza di 25 anni nella ricerca della verità si passi dall’etica dell’intenzione a quella della responsabi­lità: ma cominciare (e probabilme­nte finire) con il pm Nino Di Matteo non ci sembra solo terribilme­nte ingiusto ma anche davvero grottesco.

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