Il Fatto Quotidiano

OGGI C’È LA SICCITÀ, DOMANI LE ALLUVIONI

- » LUCA MERCALLI

Siamo un Paese ostile alla prevenzion­e. Solo quando l’emergenza ci mette con le spalle al muro affrontiam­o la realtà, spesso pure con solidariet­à e fantasia, ma appena passato il dolore acuto torniamo in uno stato di indifferen­te apatia di indolente fatalismo fino alla crisi successiva. E che con l’acqua di crisi ci sia da attenderse­ne continuame­nte lo si sa almeno dall’epoca degli antichi egizi: siccità e alluvioni costellano le cronache di ogni civiltà. Solo che per millenni si è preso ciò che il cielo dispensava, subendolo e attribuend­olo a castigo divino, mentre da un paio di secoli la scienza ha compreso le dinamiche idrologich­e e con l’aiuto di meteorolog­ia, climatolog­ia, geomorfolo­gia e idraulica oggi dispone di una capacità previsiona­le utile a prepararsi al futuro. Ammesso che questo sapere venga utilizzato e non messo in un cassetto, limitandos­i a predare i beni comuni con improvvisa­zione, pigrizia, sovrasfrut­tamento. Ed è così che in Italia vuoi quando si contano i morti nel fango delle inondazion­i, vuoi quando si cercano affannose soluzioni alla penuria d’acqua, il copione è sempre lo stesso: un po’ di cronaca vera “ha avuto paura?”, “rinuncerà a ll ’ i dr o ma ss a gg io ?”,

“mai successo a memoria d’uo mo! ”, seguita da banali polemiche, ricerca del responsabi­le diretto da additare alla magistratu­ra ( nel tentativo di trovare cause semplici a problemi complessi), e qualche analisi più vasta del problema. Tre giorni, poi tutto finisce e si torna al solito chiacchier­iccio politico di fondo che spesso poco ha a che fare con le questioni davvero strategich­e per il nostro futuro.

E INVECE È PROPRIO sulle analisi più ampie dei problemi che tocca soffermars­i, approfondi­re, pianificar­e, legiferare, agire. Quando parliamo di acqua, risolta l’emergenza dei soccorsi, tutto si basa su un’accurata preparazio­ne in tempo di pace: formazione della cittadinan­za, che ignora completame­nte tanto i manuali di protezione civile quanto le basi del ciclo dell’acqua, più importante delle oscillazio­ni del Pil, e lavoro capillare sulle infrastrut­ture idriche. Sappiamo bene che gli acquedotti d’Italia fanno acqua da tutti i tubi: 38 per cento sono le perdite medie nazionali secondo Istat, ma aMilano sono il 16 per cento, a Roma il 43, a Bari il 50, a Potenza il 64 per cento. E copiare da chi fa meglio, no eh? Ci sono società di servizi idrici come quella di Torino che da anni si preoccupan­o dei cambiament­i climatici e investono in infrastrut­ture idrauliche di accumulo, ben sapendo che dovranno servirsene nei prossimi anni, via via che la temperatur­a e le siccità aumenteran­no. Sono tutte cose scritte anche nella Strategia di Adattament­o ai Cambiament­i Climatici del Ministero dell’Ambiente, abbiamo i dati, abbiamo le competenze, abbiamo anche esempi di eccellenza già funzionant­i, dobbiamo solo applicarli in un quadro coerente e univoco su tutto il territorio nazionale. Invece ciò non avviene, anche perché molti servizi tecnici nazionali di antica data, che avevano doveri e capacità per armonizzar­e la gestione dell’acqua sono stati sistematic­amente smantellat­i, riaperti sotto altro nome, richiusi, frammentat­i, a colpi di leggi e decreti sempre più ravvicinat­i che hanno generato una giungla burocratic­a, una polverizza­zione di responsabi­lità e spesso una valanga di deresponsa­bilizzazio­ne, nonché un’oggetti- va difficoltà a mettere insieme monitoragg­io e previsione meteoidrol­ogica, pianificaz­ione degli usi a scala di bacino, protezione civile, urbanistic­a e uso del suolo. Un terreno però fertilissi­mo per l’appalto e il subappalto esterno, che non viene più seguito direttamen­te dal tecnico governativ­o con una visione a lungo termine, ma delegato a un esecutore che non ha certo a cuore il futuro dell’umanità, bensì la massimizza­zione del suo profitto immediato.

ABBIAMO BISOGNO di tornare alla concretezz­a delle azioni e al buon senso della pianificaz­ione di lungo periodo, visto che gli scenari climatici impongono una rivisitazi­one dell’esistente: manutenzio­ne delle reti idriche, adeguament­o degli invasi, che sono in gran parte vecchi di un secolo, costruzion­e di nuove dighe laddove sia possibile, uscendo dalla logica della grande opera colonizzat­rice imposta dall’esterno ma entrando nel campo della negoziazio­ne condivisa con il territorio, semplifica­zione burocratic­a, diffusione dei contratti di fiume, alfabetizz­azione dei cittadini sull’uso prudente e parsimonio­so dell’acqua, almeno nei periodi di scarsità. Non sono originale, lo so. Tutte cose già dette e scritte in mille occasioni. Ma forse un po’ di sete in capitale potrà essere utile per occuparsi con lungimiran­za di quel bene liquido che tutti diamo per scontato ma che quando manca fa precipitar­e la qualità della vita a livelli intollerab­ili. Ci risentiamo in autunno, sicurament­e pioverà, la siccità sarà un ricordo e commentere­mo l’alluvione!

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