Il Fatto Quotidiano

Valdir Peres, il portiere stroncato da una tripletta

- » ANDREA SCANZI

Povero Valdir Peres, il portiere stroncato da una tripletta irripetibi­le e da un Paese che tende sempre a sovradimen­sionare il calcio. È morto domenica a 66 anni per un infarto. Forse il suo cuore non ha potuto reggere alla grandine di ferocia piovutagli addosso in 35 anni vissuti da reietto. Di lui, dopo il 5 luglio 1982, si sa poco. Un finale di carriera decoroso, qualche esperienza da allenatore. Poche interviste. Una vita da sopravviss­uto: da mai perdonato. Ieri Calciomerc­ato.com titolava: “Addio a Valdir Peres, il portiere più odiato dai brasiliani”. Ma non è esatto: a Valdir Peres, vero nome Waldir Peres de Arruda, è stato negato anche il diritto di primeggiar­e nell’odio generato. È stato riserva anche in questo: il secondo portiere nella formazione dei brasiliani più detestati. Impossibil­e raggiunger­e Moacyr Barbosa, ritenuto colpevole della finale mondiale buttata via nel 1950. In casa, contro l’Uruguay. Valdir Peres non è stato “il più odiato” perché nella sua esistenza non c’era alcun anelito a primeggiar­e e perché fu “solo” uno dei protagonis­ti di una sconfitta non in una finale, ma in uno strano interregno tra girone eliminator­io e semifinale. Spagna 82. Stadio Sarrià di Barcellona: lo hanno demolito vent’anni fa, come fu demolita la carriera di Valdir Peres.

PER I BRASILIANI­fu la Tragedia del Sarrià, per noi un capolavoro inspiegabi­le. Quel Brasile era mirabile, ma era come la grappa: testa e coda non erano certo paragonabi­li a una quantità di talento smisurata. Soprattutt­o a centrocamp­o. Era il “futbol bailado” di Telè Santana, poi progressiv­amente abbandonat­o proprio per colpa di quella sconfitta. Era il Brasile di Zico, di Falcao, di Socrates, di Eder, di Junior, di Cerezo. Aveva vinto tutte le partite precedenti e con l’Italia sarebbe stato sufficient­e un pareggio, ma non era squadra da calcoli. La Seleçao pagò anche quell’approccio, tanto meraviglio­samente estetizzan­te quanto concretame­nte scellerato. La testa era Serginho, centravant­i per nulla all’altezza dei compagni. La coda era il portiere, cioè Valdir Peres, spelacchia­to come la sua nemesi fortunata Taffarel, che dodici anni dopo si sarebbe vendicato eccome con l’Italia. Secondo portiere ai Mondiali del 1974 e 1978 dietro Leao, promosso con merito nell’82. Aveva 31 anni e ne dimostrava 89. Era la sua grande occasione e andò tutto male. Malissimo. Già alla partita inaugurale, contro l’Unione Sovietica, esordì con una papera marchiana. Socrates ed Eder ribaltaron­o il risultato. Il Brasile rullò tutti gli avversari successivi fino all’Italia. La stampa carioca scrisse che era il Brasile più bello di sempre, che Valdir Peres aveva i riflessi di una scamorza ma che quel Brasile poteva comunque fare a meno anche del portiere. Poi arrivò la tripletta di Paolo Rossi, fino a quel giorno disastroso, e tutte le colpe caddero su Valdir Peres. Anche se, di colpe specifiche, quel 5 luglio 1982 ne ebbe poche. Da allora non è più stato convocato in Nazionale. Non era un portiere straordina­rio, ma neanche un bidone. Negli anni Settanta, con il San Paolo, aveva vinto tutto. Quattro campionati paulisti, una Copa do Brasil, un titolo nazionale. Nel 1975 primo portiere a riuscirci, vinse il Pallone d’oro brasiliano ( Bola de ouro). Nel 1978 fu protagonis­ta nella finale del Brasileira­o, forse il suo capolavoro. Tutto cancellato o quasi, come i colpi di coda post-Sarrià. Per esempio la vittoria del “Pernambuca­no” 1990 a 39 anni. Poco prima di smettere, anche se in realtà aveva smesso da tempo: lo avevano fatto smettere gli altri. Pablito. Il suo Paese. Il destino. E altri demoni.

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