Valdir Peres, il portiere stroncato da una tripletta
Povero Valdir Peres, il portiere stroncato da una tripletta irripetibile e da un Paese che tende sempre a sovradimensionare il calcio. È morto domenica a 66 anni per un infarto. Forse il suo cuore non ha potuto reggere alla grandine di ferocia piovutagli addosso in 35 anni vissuti da reietto. Di lui, dopo il 5 luglio 1982, si sa poco. Un finale di carriera decoroso, qualche esperienza da allenatore. Poche interviste. Una vita da sopravvissuto: da mai perdonato. Ieri Calciomercato.com titolava: “Addio a Valdir Peres, il portiere più odiato dai brasiliani”. Ma non è esatto: a Valdir Peres, vero nome Waldir Peres de Arruda, è stato negato anche il diritto di primeggiare nell’odio generato. È stato riserva anche in questo: il secondo portiere nella formazione dei brasiliani più detestati. Impossibile raggiungere Moacyr Barbosa, ritenuto colpevole della finale mondiale buttata via nel 1950. In casa, contro l’Uruguay. Valdir Peres non è stato “il più odiato” perché nella sua esistenza non c’era alcun anelito a primeggiare e perché fu “solo” uno dei protagonisti di una sconfitta non in una finale, ma in uno strano interregno tra girone eliminatorio e semifinale. Spagna 82. Stadio Sarrià di Barcellona: lo hanno demolito vent’anni fa, come fu demolita la carriera di Valdir Peres.
PER I BRASILIANIfu la Tragedia del Sarrià, per noi un capolavoro inspiegabile. Quel Brasile era mirabile, ma era come la grappa: testa e coda non erano certo paragonabili a una quantità di talento smisurata. Soprattutto a centrocampo. Era il “futbol bailado” di Telè Santana, poi progressivamente abbandonato proprio per colpa di quella sconfitta. Era il Brasile di Zico, di Falcao, di Socrates, di Eder, di Junior, di Cerezo. Aveva vinto tutte le partite precedenti e con l’Italia sarebbe stato sufficiente un pareggio, ma non era squadra da calcoli. La Seleçao pagò anche quell’approccio, tanto meravigliosamente estetizzante quanto concretamente scellerato. La testa era Serginho, centravanti per nulla all’altezza dei compagni. La coda era il portiere, cioè Valdir Peres, spelacchiato come la sua nemesi fortunata Taffarel, che dodici anni dopo si sarebbe vendicato eccome con l’Italia. Secondo portiere ai Mondiali del 1974 e 1978 dietro Leao, promosso con merito nell’82. Aveva 31 anni e ne dimostrava 89. Era la sua grande occasione e andò tutto male. Malissimo. Già alla partita inaugurale, contro l’Unione Sovietica, esordì con una papera marchiana. Socrates ed Eder ribaltarono il risultato. Il Brasile rullò tutti gli avversari successivi fino all’Italia. La stampa carioca scrisse che era il Brasile più bello di sempre, che Valdir Peres aveva i riflessi di una scamorza ma che quel Brasile poteva comunque fare a meno anche del portiere. Poi arrivò la tripletta di Paolo Rossi, fino a quel giorno disastroso, e tutte le colpe caddero su Valdir Peres. Anche se, di colpe specifiche, quel 5 luglio 1982 ne ebbe poche. Da allora non è più stato convocato in Nazionale. Non era un portiere straordinario, ma neanche un bidone. Negli anni Settanta, con il San Paolo, aveva vinto tutto. Quattro campionati paulisti, una Copa do Brasil, un titolo nazionale. Nel 1975 primo portiere a riuscirci, vinse il Pallone d’oro brasiliano ( Bola de ouro). Nel 1978 fu protagonista nella finale del Brasileirao, forse il suo capolavoro. Tutto cancellato o quasi, come i colpi di coda post-Sarrià. Per esempio la vittoria del “Pernambucano” 1990 a 39 anni. Poco prima di smettere, anche se in realtà aveva smesso da tempo: lo avevano fatto smettere gli altri. Pablito. Il suo Paese. Il destino. E altri demoni.