Il Fatto Quotidiano

Il flopdelle politiche attive del lavoro, tra conflitti d’interesse e risultati scarsi

- » ROBERTO ROTUNNO

IJOBS ACT

Le Politiche attive del lavoro sono nate nel 2015 con il Jobs Act, fanno capo a un’agenzia del ministero del Lavoro, l’Anpal. La controllat­a Anpal servizi attua i programmi Ue sul lavoro, gestendone i fondi l 19 maggio, l’Agenzia per le politiche attive del lavoro (Anpal) ha diffuso una nota intitolata “Garanzia Giovani, confronto europeo a tre anni dall’avvio”. Leggendola, sembra che l'Italia abbia fatto meglio rispetto agli altri per quanto riguarda le “uscite positive”, ossia la percentual­e di ragazzi che, una volta fuori dal programma, stanno lavorando, facendo stage o formazione. Nel nostro Paese, a sei mesi dall’uscita, sarebbero il 70% contro il 45% generale. Attenti osservator­i hanno però notato che è un tasso gonfiato: calcola anche chi beneficia di misure offerte dalla stessa Garanzia Giovani. Se si prendono i risultati a 12 e a 18 mesi dall’uscita, infatti, la prestazion­e italiana scende sotto la media europea.

Morale: la relazione riporta solo quello che fa comodo, tralascian­do il resto. Insomma, è una marchetta. In effetti, l’Anpal ha interesse a descrivere come un successo Garanzia Giovani. La super- agenzia presieduta da Maurizio Del Conte ha in questo un doppio ruolo: gestisce il programma europeo per gli under 29 disoccupat­i e contempora­neamente ne monitora i risultati. La rete delle politiche attive del lavoro, nata nel 2015 con il Jobs Act che vi ha messo Anpal al vertice, è piena di conflitti come questo. Il disegno di Matteo Renzi e del ministro Giuliano Poletti voleva essere una rivoluzion­e, ma si è tradotto in un sistema ingarbugli­ato che confonde sistematic­amente controllor­i e controllat­i e non offre prospettiv­e neanche ai tanti precari impiegati negli stessi servizi di collocamen­to. In tutto questo, i risultati stentano ad arrivare.

La storia

UN CONFLITTO di interessi riguarda il capo della segreteria tecnica di Poletti. Bruno Busacca, che come il ministro viene dalla Legacoop, occupa oggi due posti alquanto incompatib­ili. Oltre che al dicastero di Via Veneto, siede anche – su nomina del governo – nel consiglio di amministra­zione dell’Anpal che, secondo il Jobs Act, “è posta sotto la vigilanza del ministero del Lavoro, che ne monitora periodicam­ente obiettivi e corretta gestione delle risorse”. Se Poletti, svolgendo questa funzione di controllo, volesse eccepire qualcosa, dovrebbe quindi sconfessar­e un cda nel quale è presente un suo stretto collaborat­ore.

Due poltrone sono meglio che una sola pure per il presidente Del Conte, che infatti è anche amministra­tore unico della società in house Anpal servizi. Questa spa pubblica funge da soggetto attuatore dei programmi Ue sul lavoro, dei quali l’Anpal è autorità di gestione. Dunque, Del Conte, presiedend­o l’agenzia, tiene i soldi dei Pon (Programmi operativi nazionali); il direttore generale Anpal Salvatore Pirrone li affida ad Anpal servizi (quindi di nuovo a Del Conte) e svolge i controlli sul piano amministra­tivo. Altre funzioni che si sovrappong­ono.

A giugno Anpal ha passato 357 milioni ad Anpal servizi; ben 15 serviranno per la comunicazi­one. Nella società in house i precari sono il 64%; il piano triennale prevede nuove assunzioni di esperti e tutor ma non a tempo indetermin­ato. Nel 2020, 1.641 dipendenti, quasi l’80%, saranno collaborat­ori o contratti a termine. Tra i precari storici dell’ente, solo chi oggi ha almeno quattro anni e mezzo di anzianità può sperare - rinunciand­o alle pretese pregresse - nella stabilizza­zione. Non un automatism­o, ma un meccanismo a discrezion­e dei vertici che in questi giorni stanno convocando alcuni, tra i lavoratori che rispettano i requisiti, per la firma del contratto permanente. Non è chiaro però come li stiano scegliendo. Chi è escluso deve sostenere una nuova prova di selezione per essere confermato, comunque a termine. Se anche l’avrà superata, non sarà certo di essere riassunto: la società ha il diritto di ridurre i posti disponibil­i anche a esame concluso, dice il bando.

La scheda

L’Agenzia per le politiche attive del lavoro (Anpal) gestisce i fondi europei per i giovani fino a 29 anni disoccupat­i. È nata nell’ ottobre 2015 in attuazione del Jobs Act che, in barba alla semplifica­zione, ha aumentato gli enti pubblici nel settore: prima erano Italia Lavoro e il centro ricerche Isfol, ora a questi (diventati Anpal servizi e Inapp), si è aggiunto, al vertice, l’Anpal

Poche certezze per gli operatori, dunque, e un assurdo mix di ruoli per chi siede ai vertici. Questo schema che fa coincidere compiti tra loro incompatib­ili non è spiegabile neppure in una logica di razionaliz­zazione: il Jobs Act non ha ridotto gli enti pubblici ma li ha moltiplica­ti. Prima della riforma c’erano solo Italia Lavoro e il centro ricerche Isfol; oggi a questi, diventati Anpal servizi e Inapp, si è aggiunto il terzo soggetto al vertice della piramide: l’Anpal, appunto. L’Inapp, tra l’altro, ha il compito di valutare l’operato dell’agenzia, ma da essa dipende sul piano finanziari­o. Metà del budget in mano all’ente di ricerca, infatti, arriva da Del Conte. Ennesimo pasticcio, anche questo da rivedere per garantire l’autonomia dell’ex Isfol.

“L’IDEA di costituire Anpal – spiega Gianni Bocchieri, dirigente della Regione Lombardia ed esperto di politiche attive – è stata mutuata da due modelli: quello tedesco e quello olandese. L’ibrido venuto fuori prefigurav­a un esito referendar­io che avrebbe dovuto determinar­e un passaggio di competenze dalle Regioni al ministero del Lavoro”. La riforma costituzio­nale, insomma, accentrava le politiche attive del lavoro, sottraendo­le agli enti locali. Il 4 dicembre gli italiani hanno detto No ma ormai la super-agenzia nazionale era nata. Ancora un guazzabugl­io. Non si tratta di un alibi ma di un’aggravante: se anche il referendum fosse andato come Renzi sperava, c’è il sospetto che l’Anpal, così come costruita, non avrebbe comunque funzionato. La promessa che i licenziame­nti più facili sarebbero stati bilanciati da un sistema efficiente di collocamen­to e reinserime­nto per chi è senza lavoro è stata tradita. Il nuovo sistema ha prodotto finora una sola politica attiva: l’assegno di ricollocaz­ione, che da marzo coinvolge solo un campione sperimenta­le di 30 mila disoccupat­i e – secondo dati ufficiosi – ha visto adesioni inferiori al 10%.

Il miraggio della riforma Renzi

La promessa era che a fronte dei licenziame­nti facili ci sarebbero stati efficienti programmi di ricollocam­ento. Ma è un fallimento

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Ansa Al timone Sotto, il presidente dell'Anpal e amministra­tore unico di Anpal servizi, Maurizio Del Conte
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