Il primo sesso con l’odore di pecorino
ull’Ape che portava formaggio per andare da Marta
Avevo
detto a tutti che partivo per vedere Dario Fo: 121 km di strade deserte mi separavano dal Teatro Nuovo di Nuoro. Davano Mistero Buffo. Non potevo perdermelo. Ero andato anche io sulla strada, per molti tratti ancora bianca, a “cercare passaggi”. Erano già le 7 del mattino e lo spettacolo sarebbe incominciato alle 11. Qualcuno sarebbe passato, non avevo nessun dubbio. Ma il problema non erano le macchine: erano le strade.
Jack Kerouac, io l’avevo sempre invidiato, non tanto per il suo girovagare quanto perché aveva sempre una macchina o un vagone su cui saltare. Quello non aveva voglia di fare una beatissima fava? Zacchete! Montava sul primo vagone merci e si face- va scarrozzare su e giù per l’America. Ma la Sardegna era tutta un’altra roba. Se fosse nato lì, altro che On the r oa d : avrebbe scritto Where is the road?
“Qualcuno passerà” pensavo, continuando a camminare per l’Orientale Sarda, la mia personalissima, polverosissima Route 66.
“C osa fai per strada?”. La voce del mandriano di vacche mi sorprese dopo i primi 10 km percorsi a passo svelto. Avevo ai piedi le Bober Gomma, micidiali scarpette di tela quasi trasparente, contrabbandate come “leggerissime” ma che avevano il potere di raddoppiare la temperatura esterna. Fuori c’erano 30 gradi? All’interno, tra l’alluce e l’illice, circa 60, nonostante non fosse ancora giugno inoltrato.
“Vado a Nuoro”. “A Nuoro? A piedi? Matto sei?”. “Vado a passaggi”. “A passaggi? Da stamattina manco una macchina è passata. Scappato di casa, sei? Ma quanti anni hai?”.
TROPPE DOMANDE ; troppo poco sardo, il mandriano. Continuai a camminare in silenzio, ma lui mi disse: “Se aspetti dieci minuti, passa uno che porta il pecorino a Nuoro per venderlo alla fiera. Quello te lo dà il passaggio”. I sardi sanno essere simpatici quando ti risolvono i problemi senza che tu gli chieda di farlo.
L’Ape Piaggio arrivò scarriolante con molto anticipo. La fermò con un gesto deciso della mano e parlottò col conducente.
“Aiò, salta nel cassone. In cabina non ci stai. Ti porto io a Nuoro. Mettiti tra le pecore e guardami il pecorino, che nelle curve si sposta il carico”.
Mi sentivo Gesuino Kerouaccu, in versione sarda, sul cassone di un’Ape, con un quintale di pecorino da ancorare nelle curve e due pecore che, immaginavo, avrebbero dovuto essere le sue vallette, visto che conoscevo le tecniche di vendita degli imbonitori di paese. Cosa non si fa, per la cultura.
Ma piantiamola con ‘ sta storia della cultura! Di Dario Fo non me ne fregava niente. Era Marta che volevo rivedere, la mia Marta, il mio primo bacio. L’avevo conosciuta due anni prima. Mia madre aveva avuto la TBC, per la vita di stenti che conduceva, e io andavo ogni domenica a portarle la biancheria pulita. Non potevo entrare, non me la facevano vedere. Troppo alto il rischio di contagio. Stavo seduto, in attesa di poter, almeno, percepire la sua presenza. Fu in queste ore di attesa interminabile che conobbi Marta. An- dava anche lei lì, a trovare sua madre. Ma lei poteva farlo quasi tutti i giorni, poteva anche abbracciarla, visto che ormai era in via di guarigione. Aveva 17 anni, uno in più di me, e quel genere di viso sul quale ti saresti aspettato di leggere un’espressione del tipo “Se solo mi rivolgi la parola ti do una testata, brutto pecoraio”.
E, invece, fu lei a rivolgermi la parola: “Vieni da un paesello, vero?”. “Si vede tanto?”. “Un po’, ma sei carino”.
Stavo per svenire. Una ragazza con un volto così bello che diceva a me che ero carino? E gli occhi azzurri? Si vedeva dalla quantità industriale di “coccodrilli” sulle magliette multicolori che sfoggiava ogni volta, che povera non lo era mai stata e che la tubercolosi, per sua mamma, era stata un incidente di percorso.
“Fa il medico, la mia mamma, rischi del mestiere. E la tua mamma?”. “Lavora in campagna e mio padre l’aiuta”. “Che bello! Avete la campagna. È vostra?”. “Sì, certo”.
Mentivo: erano tutti e due disoccupati e facevano i braccianti a giornata. Io ero il terzo, lo stagista gratuito che si portavano dietro per convincere il possidente ad ingaggiarli, grazie a quella casereccia promozione commerciale che, negli anni a venire, avrebbero chiamato 3x2.
SI TELEFONAVAa“gettoni”, allora. O scrivevi la letterina d’amore, esponendoti all’eterno ridicolo, o chiamavi dal posto telefonico pubblico. Non mi sono mai fatto mancare niente nella vita: io feci tutt’e due le cose. Marta mi aveva baciato. Fu la domenica in cui dimisero sua madre. Nessuno ci vide. Venne verso di me e io le proposi la guancia. Lei cercò le labbra. Non avevo mai baciato una ragazza e non sapevo dove mettere la lingua. Optai per l’Est ma lei mi aveva preceduto. Puntai a Ovest ma lei mi inseguì. Il Nord fu drammatico: mi raggiunse anche lì. Mi rifugiai al Sud. Tanto lì, già allora, non ci sarebbe mai andato nessuno. Infatti, non mi trovò e smise. Mi diede il suo indirizzo e il suo numero di telefono, di sole 4 cifre. Avere il telefono in casa era roba da ricchi. Lei lo aveva.
Furono giorni torridi, in tutti i sensi. Io lavoravo solo per chiamarla. Spendevo tutto in gettoni. Maturai un’esperienza tale nel petting telefonico da inserirlo sempre in tutti i miei curri
cula ridicula, alla voce :“Competenze altamente qualificate”.
Certo, feci taluni errori marchiani dettati dall’inesperienza, tipo quella volta chele proposi una fantasia dentro unovile, legata e ammanettata, e lei mi disse: “Amore sono bagnatissima”. E io: “Scusami, non sapevo che a Nuoro stesse piovendo”.
“Domani sono da sola. C’è Dario Fo, ma è una palla micidiale. Se riesci a venire stiamo insieme. Ti faccio dormire a casa mia”.
Arrivai che erano già le 11 passate. Il conducente fu gentile e mi scaricò davanti al tea- tro. Andai dritto verso casa di Marta e… “Ma che puzza! Ma da dove sei uscito?”.
Il mio esordio nel mondo del sesso non fu all’essenza di rosa bulgara. Quasi tre ore sull’Ape, avevano fatto di me un ovile deambulante. Ero mortificato, umiliato. “No, no, scusa, ora ho capito. Che porco che sei… l’hai fatto per rendere credibile la fantasia che mi piaceva. Mica puoi farlo dentro un ovile con le scarpe da città e i pantaloni con le pinc es… profumato con l’ acqua di colonia…”.
Questa era Marta, la prima donna della mia vita, così brava, ma così brava, da farmi credere che il mio tanfo pestilenziale fosse frutto di una sorta di metodo
Stanisl avskij in salsa barbaricina.
Li abbiamo sempre tenuti per noi i nostri crucci, e abbiamo sempre riso del male nel mondo. Ora darei tutta la mia vita e tutti i miei premi per poterla stringere, solo per un minuto e sentirla dire che anche lì, dove è ora, ci sono i telefoni a gettone e che non è vero che i morti non possano comunicare coi vivi. Ché dal teatro ho imparato che il vero “Mistero Buffo”è quello della vitae dell’amore, che nessuna morte riuscirà mai a vincere.
“Aiò! Tieni d’occhio gli animali” Con la scusa di andare a vedere Dario Fo, strappai un passaggio sull’Orientale barbaricina a un brusco venditore ambulante
FANTASIE EROTICHE
La prima donna della mia vita fu così brava da farmi credere che il mio tanfo fosse frutto del metodo Stanislavskij