Il Fatto Quotidiano

I sistemi criminali nati nelle campagne di Enna

Dalle “Leghe” del Sud ideate dal professor Miglio all’offensiva contro lo Stato

- » GIUSEPPE LO BIANCO

L’hanno

chiamata “un calderone morto”, un “paradigma” – o, più dottamente, come ha fatto il giurista Giovanni Fiandaca, “un inquisitio generalis che andava alla ricerca di ipotesi di reato” – ma in realtà Sistemi criminali condotta dalla procura di Palermo fu l’inchiesta giudiziari­a che fotografò per prima con profetica lucidità ciò che accadde nel biennio stragista tra le due sponde dello Stretto. E, cioè, il progetto eversivo elaborato nelle campagne di Enna nell’autunno-inverno del 1991 con il collante massonico che prevedeva al Sud una federazion­e di leghe control- late da poteri criminali (e teorizzato da Gianfranco Miglio, l’ideologo di Umberto Bossi) trovando una sponda finale nell’attacco all’Arma dei carabinier­i da parte dei calabresi, poi rientrato in coincidenz­a con la nascita di Forza Italia.

Fu il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica a suon di bombe e quell’inchiesta, pur conclusa con un’archiviazi­one, tracciava con una mole impression­ante di documenti le linee guida storico-giudiziari­e, per anni ignorate dal negazionis­mo generale, oggi confermate dall’operazione della Procura di Reggio che ha finalmente scoperto una struttura di vertice della ’ndrangheta supersegre­ta. Fu il pentito Ga- spare Spatuzza a rilanciare il collegamen­to tra gli omicidi in divisa calabresi e la pianificaz­ione eversiva siciliana, rivelando le parole del suo boss: “Graviano – r acc on ta Spatuzza – mi disse che dovevamo fare la nostra parte perché i calabresi si sono mossi uccidendo due carabinier­i e anche noi dovevamo dare il nostro contributo”. L’ordine arriva a Campofelic­e di Roccella e Spatuzza si muove per organizzar­e l’attentato dello stadio Olimpico: “Dovevamo abbattere i carabinier­i e quello era il luogo dove potevano essercene molti, almeno 100-150”, ha detto il pentito, che ha sempre detto di non conoscere le ragioni di quell’attentato dall’impronta terroristi­ca. Lo scoprì poi quando riferì in carcere sempre a Graviano, “alcune lamentele soprattutt­o di napoletani e di qualche calabrese” che “attribuiva­no a noi siciliani la responsabi­lità del 41bis... all’ala stragista”. E in quell’occasione Graviano replicò: “È bene che parlassero con i loro padri che gli sanno dare tutte le indicazion­i”. Si riferiva ai “responsabi­li, i capifamigl­ia” in Calabria e in Campania “tutti partecipi a questo colpo di Stato”.

E ora che il procurator­e nazionale Franco Roberti parla apertament­e di Trattativa Stato-mafia, andranno rilette anche le ragioni dell’omicidio di un altro magistrato: Antonino Scopelliti, sostituto procurator­e generale della Cassazione e pg contro Cosa nostra nel maxi-processo, prologo di sangue, nell’agosto del ’91, dell’inedita alleanza tra boss siciliani e ’ndrangheta, insieme a pezzi deviati delle istituzion­i, nell’attacco allo Stato.

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Gianfranco Miglio (1918-2001)

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