I sistemi criminali nati nelle campagne di Enna
Dalle “Leghe” del Sud ideate dal professor Miglio all’offensiva contro lo Stato
L’hanno
chiamata “un calderone morto”, un “paradigma” – o, più dottamente, come ha fatto il giurista Giovanni Fiandaca, “un inquisitio generalis che andava alla ricerca di ipotesi di reato” – ma in realtà Sistemi criminali condotta dalla procura di Palermo fu l’inchiesta giudiziaria che fotografò per prima con profetica lucidità ciò che accadde nel biennio stragista tra le due sponde dello Stretto. E, cioè, il progetto eversivo elaborato nelle campagne di Enna nell’autunno-inverno del 1991 con il collante massonico che prevedeva al Sud una federazione di leghe control- late da poteri criminali (e teorizzato da Gianfranco Miglio, l’ideologo di Umberto Bossi) trovando una sponda finale nell’attacco all’Arma dei carabinieri da parte dei calabresi, poi rientrato in coincidenza con la nascita di Forza Italia.
Fu il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica a suon di bombe e quell’inchiesta, pur conclusa con un’archiviazione, tracciava con una mole impressionante di documenti le linee guida storico-giudiziarie, per anni ignorate dal negazionismo generale, oggi confermate dall’operazione della Procura di Reggio che ha finalmente scoperto una struttura di vertice della ’ndrangheta supersegreta. Fu il pentito Ga- spare Spatuzza a rilanciare il collegamento tra gli omicidi in divisa calabresi e la pianificazione eversiva siciliana, rivelando le parole del suo boss: “Graviano – r acc on ta Spatuzza – mi disse che dovevamo fare la nostra parte perché i calabresi si sono mossi uccidendo due carabinieri e anche noi dovevamo dare il nostro contributo”. L’ordine arriva a Campofelice di Roccella e Spatuzza si muove per organizzare l’attentato dello stadio Olimpico: “Dovevamo abbattere i carabinieri e quello era il luogo dove potevano essercene molti, almeno 100-150”, ha detto il pentito, che ha sempre detto di non conoscere le ragioni di quell’attentato dall’impronta terroristica. Lo scoprì poi quando riferì in carcere sempre a Graviano, “alcune lamentele soprattutto di napoletani e di qualche calabrese” che “attribuivano a noi siciliani la responsabilità del 41bis... all’ala stragista”. E in quell’occasione Graviano replicò: “È bene che parlassero con i loro padri che gli sanno dare tutte le indicazioni”. Si riferiva ai “responsabili, i capifamiglia” in Calabria e in Campania “tutti partecipi a questo colpo di Stato”.
E ora che il procuratore nazionale Franco Roberti parla apertamente di Trattativa Stato-mafia, andranno rilette anche le ragioni dell’omicidio di un altro magistrato: Antonino Scopelliti, sostituto procuratore generale della Cassazione e pg contro Cosa nostra nel maxi-processo, prologo di sangue, nell’agosto del ’91, dell’inedita alleanza tra boss siciliani e ’ndrangheta, insieme a pezzi deviati delle istituzioni, nell’attacco allo Stato.