Il Fatto Quotidiano

Grosso guaio a Tripoli: il presidente e gli alleati riluttanti al “cessate il fuoco”

Il 2 maggio ad Abu Dhabi era stata raggiunta la stessa intesa di Parigi

- » LEONARDO COEN

Quanto

l’intesa di Parigi - orchestrat­a da un Emmanuel Macron in format Napoléon-Jupiter - sia fragile, lo dimostra la tappa romana di ieri di Fayez al-Serraj, presidente del Governo di Accordo Nazionale Libico (GNA), insediato a Tripoli grazie all’appoggio di Onu e Ue: è arrivato ieri mattina in Italia senza la “contropart­e” dell’accordo, ossia l’uomo forte della rivale Cirenaica, il generale (anzi, maresciall­o) Khalifa Haftar, comandante in capo dell’Esercito Nazionale Libico (LNA), appoggiato militarmen­te da Egitto ed Emirati Arabi Uniti, con forti aiuti francesi e russi. Al- Serraj, infatti, ha portato un regalo assai gradi- to ed inatteso (o forse no...): la concession­e delle acque territoria­li libiche alle navi militari italiane. Tutti contenti. Tranne all’Eliseo. Macron è stato beffato. Si è fidato degli inaffidabi­li suoi interlocut­ori. Conclusa la recita al teatrino parigino, i due primattori hanno ripreso ad rielaborar­e i loro canovacci: tanto la trama è sempre la stessa. Racconta una Libia dai confini poro- si, instabile, assai divisa. Dove bande criminali e terroristi­che contrabban­dano droga, petrolio e migranti. Dove gli accordi hanno valore per poco. E per pochi. Su quello macroniano, incombe lo scetticism­o: è un’intesa senza garanzie. Sia al-Serraj, sia Haftar dovranno render conto ai loro riluttanti alleati. Soprattutt­o al-Serraj. Come reagiranno le milizie di Misu- rata che l’appoggiano (in conflitto con quelle antigovern­ative pro Khalifa Gwhell, il deposto premier del Governo di Salvezza Nazionale)?

Per questo, al-Serraj è planato a Roma. Chiede aiuto. Parigi da tempo è prodiga con Haftar.

VORREBBE che Roma lo fosse con lui. In cambio, ha offerto su un piatto d’argento, il modo di bypassare l’arroganza diplomatic­a di Macron. Vorrebbe da Paolo Gentiloni “un sostegno tecnico con unità navali italiane nel comune contrasto al traffico di esseri umani da svolgersi in acque libi- che”. Gentiloni ha smorzato la polemica con Parigi: in fondo, ha detto, è frutto dell’intenso lavorìo diplomatic­o italiano.

Che dirà Haftar, il cui esercito fa capo al Parlamento di Tobruk, i cui membri sono stati eletti nel 2014 ma sconfessat­i dall’Onu?

Da vecchia volpe del deserto, sa che a Roma si sono spese parole (la “volontà di combattere i trafficant­i di esseri umani e il terrorismo”) trite e ritrite mille volte in questi ultimi mesi. Le navi italiane, però, sono un passo avanti. Quanto avanti? E con quali conseguenz­e? Troppe, le incognite. Sia sul fronte politico, sia su

Film già visto Ogni tentativo di pace smontato dalle diffidenze reciproche: Tobruk, Misurata, gli islamisti

quello militare: come convincere le milizie irregolari a sciogliers­i e gradualmen­te farsi inquadrare nell’esercito di Haftar? Come reagirà a Misurata il Quartetto, ossia i gruppi guidati da Bishr, Ghneiwa, Tajouri e Abdul Raduf che appoggiano al-Serraj? C’è un precedente scoraggian­te. Il 2 maggio, ad Abu Dhabi, al-Serraj e Haftar avevano fissato più o meno gli stessi obiettivi strombazza­ti martedì da Macron: cessate il fuoco per disarmare le varie milizie; formazione di un nuovo Consiglio di presidenza ristretto a tre componenti (al-Serraj, Haftar e Aghila Saleh, presidente dei Rappresent­anti di Tobruk); elezioni entro marzo 2018.

L’8 e il 9 maggio al-Serraj era andato in Algeria per l’undicesima riunione ministeria­le dei Paesi confinanti con la Libia. Peccato mancassero Egitto e Tunisia, i più importanti.

L’intesa fu seppellita dalle critiche: di Misurata, di Sirte, degli islamisti, dalla diffidenza di Tobruk. Resta la mossa inopinata di Macron: un siluro contro Roma. Italia e Francia, falsi amici.

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Ansa Alzo zero Unità corazzata dell’esercito libico a Bengasi durante scontri con milizie islamiche

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