Il Fatto Quotidiano

Dublino, la Corte Ue conferma le regole contestate dall’Italia

L’asilo rimane al paese d’ingresso. La Corte però bacchetta Slovacchia e Ungheria sui ricollocam­enti

- » WANDA MARRA

Se l’Italia sperava nella decisione della Corte europea di ieri per rivedere il Regolament­o di Dublino 3 è stata delusa. Nonostante l’aspetto straordina­rio della crisi migratoria sulla rotta dei Balcani, in una sentenza la Corte Ue stabilisce che per l’esame delle richieste di asilo è competente lo Stato d’ingresso e non quello in cui la richiesta è presentata, in applicazio­ne, appunto, del regolament­o di Dublino. I ricorsi erano stati presentati da un cittadino siriano e da due famiglie afghane contro l’Austria e la Slovenia e erano sostenuti dalla Croazia.

A essere contestato, l’utilizzo dell’articolo 13, il cardine del Regolament­o che è alla base di Dublino, secondo il quale quando è accertato “che il richiedent­e ha varcato illegalmen­te, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienz­a da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente”: è la base giuridica per dire che ciascun Paese deve farsi carico di chi arriva sul suo suolo. Quella che in pratica, costringe Italia (e Grecia) ad accogliere il grosso degli arrivi. Il ricorso sostiene che le parole “attraversa­mento clandestin­o” nel Regolament­o non sono applicabil­i.

I RICORSI riguardava­no le richieste di protezione internazio­nale avanzate a Austria e Slovenia, una volta che i ricorrenti erano arrivati a Lubiana e Vienna dopo aver attraversa­to Siria, Turchia e il mar Egeo e, percorrend­o la rotta balcanica, dopo aver attraversa­to la Croazia. I ricorrenti hanno impugnato la decisione delle autorità dei Paesi di arrivo, secondo i quali non avrebbero dovuto far richiesta di protezione internazio­nale a loro, ma alla Croazia.

Come anticipato dal Fatto quotidiano , l’Avvocatura generale dello Stato italiano, appoggiand­o i ricorsi, si rifaceva all’articolo 31 della Convenzion­e di Ginevra, che stabilisce che illegalmen­te o irregolarm­ente significa “senza autorizzaz­ione”. Cosa che non si potrebbe dire di quelli che arrivano in Italia, perché al momento in cui sbarcano sul territorio italiano, vengono portati negli hotspot e poi identifica­ti: dunque, un’autorizzaz­ione ce l’avrebbero.

Ma la Corte non ha accolto tale interpreta­zione. E ha stabilito che è la Croazia a dover “esaminare le domande di protezione internazio­nale delle persone che hanno attraversa­to in massa la sua frontiera nel 2015-2016”. Non vi è quindi nessuna deroga possibile in virtù dell’eccezional­e ondata migratoria. E con questo, il tentativo anche dell’Italia di provare a scardinare Dublino 3 partendo dalle vie giuridiche non ha avuto effetto.

LA CORTE però, dovrebbe salvare l’attuale piano d’emergenza sulle ricollocam­enti – 160 mila richiedent­i asilo in Italia e Grecia devono essere ripartiti tra i soci dell’Unione – messo in discussion­e dai paesi dell’Est Europa.

L’avvocato generale Ue Yves Bot ha infatti proposto ai giudici di respingere i ricorsi presentati da Slovacchia e Ungheria contro il ricollocam­ento dei migranti. Parere non vincolante, ma normalment­e seguito dalla Corte. E proprio ieri la Commission­e europea ha fatto sapere che darà un mese di tempo a Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria per prendere le loro quote di richiedent­i asilo accolti da Italia e Grecia. Altrimenti, sostiene, saranno a loro volta deferiti in Corte. Il che rappresent­a un primo passo verso le sanzioni.

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Ansa Filo spinato Scene di ordinaria amministra­zione al confine fra Marocco e Ceuta, enclave spagnola

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