L’intolleranza dei predicatori di tolleranza
Siccome i giornalisti hanno (non del tutto immeritatamente) una pessima fama e sono considerati una casta, è sempre complicato parlare della nostra professione. Però l’informazione è un cardine della vita democratica ed è per questo che qui non si parla di noi, ma si parla di tutti. Sul Fatto ci siamo occupati della legge sulla diffamazione, che introduce con un emendamento la possibilità di far ricorso al Garante per la privacy per l’eliminazione dei contenuti ritenuti diffamatori. Ora il Garante non è un giudice, cui spetta la titolarità di accertare se un fatto costituisce o no reato: è davvero pensabile che le decisioni sulla rimozione di un contenuto possano essere demandate a una Authority di nomina politica? È facile immaginare che il ricorso al Garante diventi il grimaldello per i potenti che si sentono diffamati, anche se una sentenza della Corte di giustizia europea del 2014 specifica che le personalità pubbliche non possono (tranne che in pochi casi) ricorrere al diritto all’oblio perché non si può limitare il diritto all’opinione pubblica di essere informata. La legge sulla diffamazione avrebbe dovuto affrontare anche il problema della “querela temeraria” per evitare che – a questo giornale è accaduto più volte – politici e colossi dell’industria chiedano risarcimenti milionari a fronte di articoli sgraditi. Se uno ti cita per 10 milioni di euro, intanto ti porta in giro per tribunali per anni e poi ti fa vivere con la spada di Damocle sulla testa di un potenziale disastro economico. Per questo sono state avanzate proposte per limitare le cause intimidatorie, tra cui l’idea che chi cita per danni, nel caso le sue accuse si rivelino palesemente infondate, lasci una percentuale dei milioni richiesti. Ovviamente di tutto ciò nella nuova legge non c’è traccia.
INTANTO succedono altre cose attorno alla libertà d’espressione. Il presidente dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani, recentemente ha dichiarato: “Servono nuove capacità e nuove tutele su cyberbullismo, fake news ed hate speech: sono le sfide che l’Autorità è chiamata ad assumere con l’aiuto del legislatore, invitato a conferire con urgenza ad Agcom le competenze necessarie ad affrontare le nuove garanzie nelle comunicazioni nell’ecosistema digitale”. Capito “l’ecosistema”? Qualche giorno fa Laura Boldrini ha presentato la relazione conclusiva della Commissione “Jo Cox” dove si è studiato l’odioso fenomeno dell’odio in Rete. Tra le raccomandazioni della commissione alcune sollecitano azioni da parte di “provider e piattaforme di social network” in modo che diventino una specie di polizia preventiva alla Minority report contro l’odio e “notizie false” sul web. In dicembre il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, invocava la nascita di una rete di Agenzie europee per vigilare sulle fake news. Poco prima una ridicola direttiva del Parlamento europeo, in cui si mischiavano propaganda anti europea e propaganda dell’Isis, proponeva di finanziare le fonti che fanno “informazione oggettiva”, cioè pro Ue. Non siamo molto distanti dal ministero della Verità di 1984. Chi deciderà se una notizia è falsa? Dio? E noi potremo ancora confutare la propaganda dei politici, smentire i numeretti che elencano nelle conferenza stampa?
Non da oggi la politica è insofferente al controllo dell’informazione, ma lo diventa sempre più. La ragione è semplice: il malessere sociale è in crescita e tacitare le critiche sembra una soluzione, anche se è solo polvere infilata sotto il tappeto. Questa brutta aria attorno alle opinioni dissonanti, ai fatti non veicolati dall’informazione mainstream, svela una debolezza straordinaria della politica. E una clamorosa contraddizione: si predica contro l’intolleranza e non si tollera il dissenso.