La ’ndrangheta voleva uccidere Calipari, ma Graviano disse no
1994 I due carabinieri Garofalo e Fava uccisi a Scilla parte del progetto eversivo di mafie unite e 007 “sporchi” Poi Berlusconi entrò in politica
’N drangheta, Cosa nostra, massoneria, politica e 007 deviati. Primi anni ’90. Fine della Prima Repubblica e “attacco allo Stato” con l’obiettivo di destabilizzare il Paese alla ricerca di un interlocutore che poi fu trovato nel nascente partito di Forza Italia, fondato da Silvio Berlusconi il 26 gennaio 1994. C’è tutto questo e il progetto di uccidere il superpoliziotto Nicola Calipari nell’inchiesta ’n
drangheta stragista, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e dalla Dna. E, dopo 23 anni, ci sono i mandanti dell’omicidio dei due carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi a colpi di fucile e di mitragliatrici Beretta M12 il 18 gennaio 1994 sulla A3 Salerno- Reggio Calabria, all’altezza di Scilla.
Su richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e del magistrato della Dna Francesco Curcio, il gip ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare eseguita ieri dalla mobile di Reggio: il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano è già detenuto al 41 bis dal 1994, è stato arrestato ieri il capo ’ndrina di Melicucco Rocco Santo Filippone, legato alla cosca Piromalli di Gioia Tauro.
UN NOME, quello di Filippone, che ai più dice poco. In realtà, con Graviano, il boss Giuseppe De Stefano e ai Piromalli, zio
Rocco avrebbe dato il via alla stagione delle stragi. Poche settimane prima dell’omicidio di Fava e Garofalo, infatti, il 1° dicembre 1993, si è consumato un altro agguato sulla superstrada jonica dove rimasero miracolosamente illesi il carabiniere Vincenzo Pasqua e l’appuntato Silvio Ricciardo. Il 1° febbraio 1994 furono gravemente feriti l’appuntato Bartolomeo Musicò e il brigadiere Salvatore Serra. Episodi che, fino a ieri, sembravano sganciati tra loro e che, invece, sono legati a doppia mandata con la tentata strage dell’Olimpico, con le bombe esplose a Roma in via Fauro, San Giovanni in Laterano e Velabro, a Firenze in via dei Georgofili e a Milano in via Palestro.
Una “Cosa sola” faceva le stragi che, negli anni 90, hanno accompagnato l’Italia nella fase di transizione tra la Prima e la Seconda Repubblica. A dimostrazione dei rapporti tra palermitani e calabresi, nelle carte dell’inchiesta c’è anche il progetto di attentato all’ex capo della mobile di Cosenza Nicola Calipari, poi passato ai Servizi e ucciso nel 2005 in Iraq da soldati statunitensi durante la liberazione della giornalista del manifesto Giuliana Sgrena. Le cosche di Cosenza avevano chiesto di uccidere il dirigente della polizia durante una sua trasferta a Palermo. Graviano li avrebbe convinti a desistere.
Una “Cosa sola” manovrata dai boss siciliani e dai mammasantissima della ’ndrangheta che hanno insanguinato il Paese in nome di un disegno criminale unitario e concordato durante i summit tenuti a Mi- lano e in Calabria. Li avrebbe organizzati Filippone, boss di 77 anni, molti dei quali trascorsi con l’obiettivo di non finire in galera. Un basso profilo che è riuscito a mantenere per lungo tempo grazie anche alle sue “entrature” nel mondo della magistratura. Lo spiega lo storico pentito Pino Scriva che ai pm della Dda ricorda quando fece il suo nome “al l’a llo ra procuratore di Palmi Giuseppe Tuccio”, il magistrato in pensione oggi imputato nel processo Gotha: “Mi guardò – è il verbale di Scriva – e mi disse: ‘Rocco Filippone è amico di un mio amico di Reggio Calabria’. Capii al volo che zio Roc
co poteva dormire sonni tranquilli”. Come gli altri attentati che rientrano nelle stragi di Cosa nostra, anche gli agguati della ’ndrangheta ai carabinieri sono stati rivendicati dalla “Falange armata” che,ricorda il procuratore Federico Cafiero De Raho, “rievoca la partecipazione dei Servizi deviati che cercano di interferire nella vita del Paese”. L’idea sarebbe stata partorita da “alcuni appartenenti a strutture deviate dello Stato, il cui nucleo forte era costituito da una frangia del Sismi e, segnatamente, da alcuni esponenti del VII Reparto cosiddetti Ossi ”. Si tratta di “settori dei servizi di sicurezza” che rispondevano agli ordini di Licio Gelli e che erano ispirati dalla “Gladio a dall’anticomunismo”.
LA SQUADRA MOBILE ha eseguito perquisizioni in Calabria, Sicilia, Campania, Marche e Valle d’Aosta. Si è presentata anche alla porta di Bruno Contrada, l’ex numero due del Sisde condannato per concorso in associazione mafiosa (il 7 luglio la Cassazione
Senza sequestri Perquisita l’abitazione di Bruno Contrada alla ricerca di “legami” con Faccia di mostro
ha revocato gli effetti della condanna). A casa dell’ex poliziotto non è stato sequestrato nulla. I pm cercavano indizi sul suo rapporto con Giovanni Aiello Faccia di mostro, ex agente ritenuto vicino ai Servizi, indagato per induzione a rendere false dichiarazioni al l’autorità giudiziaria. Di Aiello, parla il pentito Nino Fiume nell’estate 2013 scappato dalla località protetta. Quando fu catturato, mesi dopo, al pm Lombardo disse di essere stato avvicinato da soggetti spacciatisi per carabinieri a conoscenza delle sue precedenti dichiarazioni su Faccia di mostro, rese al sostituto della Dna Gianfranco Donadio. Uno di loro gli disse di “stare attento dato che avevo parlato di Aiello di cui non avrei, invece, dovuto parlare”.
NELLE CARTE
Le cosche di Cosenza chiesero di uccidere Calipari, capo della mobile, in trasferta a Palermo