Tutto a posto: ripartono i lavori all’outlet sostenuto da Tiziano
Il centro commerciale di lusso, per cui Renzi senior ha fatto il consulente, ha avuto il via libera dalla conferenza dei servizi dopo un anno e mezzo di stop
Due enormi scheletri di cemento. Abbandonati da diciotto mesi. Ma da ieri l’outlet di Sanremo ha ottenuto il via libera della conferenza dei servizi: i lavori possono ripartire. Un’opera che ha il sostegno bipartisan della politica. Ma non solo: aprirà proprio a fine 2018, a pochi mesi dalle elezioni. E a Sanremo c’è già chi scalda i motori: si annunciano 250 posti di lavoro. Oro per chi cercherà di raccogliere consenso e voti.
Questo non è un outlet qualunque, e non soltanto per le merci di lusso che si venderanno nei quasi 5mila metri quadrati di esposizione: “Alla presentazione del progetto in Comune venne una delegazione. E c’era anche quel signore… nessuno sul momento me lo presentò”, racconta il sindaco Alberto Biancheri (centrosinistra). L’uomo era Tiziano Renzi, padre dell’allora premier, consulente di una delle società realizzatrici.
QUELLA PRESENZA ha trasformato il progetto in un caso politico. Ha buttato benzina sul fuoco delle polemiche dei negozianti preoccupati: “L’outlet ci toglierà lavoro. I clienti arriveranno con i bus e non passeranno nel centro della città che morirà”.
Il sindaco è tranquillo: “Abbiamo avuto assicurazioni che l’outlet non creerà danno. Anzi. I proprietari si sono impegnati a coinvolgere Sanremo”. Le promesse sono grandiose: fino a un milione di visitatori l’anno. Un progetto che ancor prima della definitiva approvazione doveva sembrare molto sicuro, se c’era chi aveva già stampato le brochure. Si parlava del golf, del casino, degli alberghi. E dell’outlet, anche se era ancora sulla carta.
Ma la storia è stata più complessa. Nelle intenzioni dovrebbe essere la seconda perla di una catena di centri commerciali extralusso, dopo il successo del The Mall di Leccio Reggello (Firenze). I protagonisti della partita sono la holding francese Kering e un gruppo di imprenditori riconducibili al mondo degli affari fiorentino (il broker Luigi Dagostino, la famiglia Moretti, l’imprenditore Andrea Bacci e, in un primo momento, l’ultimo presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi). Insieme a loro, una serie di società cipriote, lussemburghesi e pa- namensi di cui è difficile conoscere i proprietari. Oltre che nella città ligure, avevano deciso di costruire anche a Fasano (Brindisi). In Liguria e Puglia il modus operandi è lo stesso: incontrano i sindaci e presentano il progetto, puntando su sviluppo economico e occupazione. Quasi in contem- poranea acquistano i terreni e creano le società per gestire il tutto. Della delegazione che tra il 2014 e il 2015 incontra i sindaci faceva parte anche Tiziano Renzi, nel ruolo di consulente per il marketing. A Fasano nessuno fiata, ma a Sanremo la pre- senza di Renzi senior non fu gradita e rappresentò il primo intralcio.
LO SI È SCOPERTO quasi tre anni dopo, nelle carte relative all’inchiesta che, di fatto, ha contribuito a bloccare i lavori: quella della procura fiorentina sul fallimento della Coam di Bacci, che doveva realizzare materialmente gli outlet. L’ex presidente della Luc chese calcio, inoltre, era stato iscritto nel registro degli indagati - sempre a Firenze - per una vicenda di fatture false e ricorso abusivo al credito.
Nel mirino dei pm proprio i rappresentanti delle società coinvolte nel business degli outlet: Amedeo Moretti Cuseri, il manager di Kering Remi Leonforte, Dagostino e lo stesso Bacci. Gli ultimi due sono stati soci di Tiziano Renzi (che non è indagato): Bacci – uomo di fiducia del figlio Matteo quando era presidente della Provincia e sindaco di Firenze, nonché colui che gli ha ristrutturato casa a Pontassieve – nella Raska (primi anni 90), Dagostino nella Party Srl fino agli inizi del 2016. Il broker pugliese, poi, in una recente intervista ha fornito un dettaglio sul progetto ligure: “I francesi sono arrabbiati, ma siccome hanno investito già 25 milioni finiranno i lavori, di certo il progetto sarà ridimensionato”. A provocare la rabbia dei francesi sarebbe stato Carmine Rotondaro, ex consulente fiscale e responsabile immobiliare del gruppo. Kering avrebbe scoperto irregolarità nella com praven dita dell’outlet.
Secondo la società, il terreno e le prime strutture sarebbero costati 3,5 milioni per essere rivenduti da una società estera a Kering per 10. Ancora Dagostino: “Credo che dietro questa società ci fosse Rotondaro”. A cui, nel gennaio scorso, la procura di Milano – che indaga per reati fiscali – ha sequestrato 7 milioni. Ma adesso si riparte. Gli opuscoli sono già pronti.
Incroci fiorentini La costruzione era stata bloccata pure dall’indagine sul fallimento della Coam del renziano Bacci