Il Fatto Quotidiano

NON VOGLIAMO ALCUN MINISTERO DELLA VERITÀ

- » ROBERTO NATALE* MA. PA.

Nessuna volontà di censura, nessun ‘bav ag li o’ in vista. La Commission­e Jo Cox ‘ sui fenomeni di odio, intolleran­za, xenofobia e razzismo’, che ha presentato la settimana scorsa alla Camera la relazione su ‘la piramide dell’odio in Italia’, non ha certo proposto di ridurre spazi di libertà, in rete o fuori. Già nella sua composizio­ne - un deputato per gruppo, esperti, rappresent­anti di associazio­ni e di organismi internazio­nali - la Commission­e ha espresso una forte attenzione al pluralismo. E la lettura della relazione facilmente reperibile sul sito della Camera: può fugare le preoccupaz­ioni alle quali il Fatto Quotidiano­ha dato voce in questi giorni. La Commission­e ha lavorato partendo esattament­e dalla stessa premessa di cui parla il professor Azzariti: “la rete è un tubo nero dentro cui passa di tutto: da un lato razzismo e fenomeni d’odio, dall’altra quella che un tempo si chiamava ‘controinfo­rmazione’, un bene a cui non si può rinunciare. Si tratta di sostenere l’informazio­ne plurale e impedire le degenerazi­oni”. Proprio così. Ben sapendo - ulteriore elemento di concordanz­a - che “il controllo dell’informazio­ne non può mai essere dall’alto”, la Commission­e ha evitato accuratame­nte di proporre organismi governativ­i che assomiglia­ssero, anche alla lontana, a indesidera­ti ‘ Ministeri della verità’. Molte delle sue raccomanda­zioni sono di carattere culturale-educativo, perché c’è piena consapevol­ezza che è quello il terreno decisivo sul quale provare a combattere il discorso di odio.

IL PROBLEMA però non merita di essere ridotto, come sembra fare Marco Palombi nel suo articolo di domenica, ad una questione di “buona educazione”, alla necessità di “parlar bene”: quasi che la Commission­e Jo Cox abbia voluto dilettarsi a dettare un nuovo galateo su come si debba stare composti quando si è seduti alla tavola digitale. Facciamo un paio di esempi per intenderci meglio: le pagine esplicitam­ente antisemite le dobbiamo considerar­e una manifestaz­ione della libertà di espression­e? E se qualcuno scrive su Facebook “gli immigrati affogateli tutti” o “bruciate i rom” sta esercitand­o un suo diritto che dobbiamo preoccupar­ci di tutelare, o invece sta avvelenand­o il dibattito pubblico con una goccia in più di razzismo ed istigazion­e alla violenza che è sbagliato tollerare? Come si ricorda non a caso nelle primissime pagine della relazione, la stessa Corte europea dei diritti umani ha precisato co- me la libertà di espression­e trovi una limitazion­e laddove si manifesti il discorso d’odio. Questo è il genere di temi sui quali ha lavorato la Commission­e. E nel farlo ha voluto rivolgersi anche ai giganti del web, alle grandi piattaform­e dei social media come Facebook, YouTube, Twitter, Instagram, Google. Palombi e Truzzi scrivono che la Commission­e Cox mira a farli diventare “la polizia preventiva contro l’odio”, e messa così la cosa suscita ovvia repulsione: perché mai dovremmo dar loro questo potere? Risposta: un potere sconfinato queste imprese ce l’hanno avuto fin qui, quello di rovesciarc­i addosso ogni tipo di contenuti, anche i più ignobili, e sono state ben contente di non doverli rimuovere perché così non perdevano nemmeno un utente, dunque nemmeno un centesimo di profitto. È richiamand­ole alle loro responsabi­lità che se ne limita il potere. Non dovrà essere più consentito loro di far circolare anche i messaggi violenti - video contro disabili, manifestaz­ioni di bullismo, e via dicendo - appellando­si ad una pilatesca estraneità: “Noi siamo semplici autostrade, non è un problema nostro se ci passano anche i pirati della strada”. No, deve essere un problema anche per loro, che ai pirati permettono di correre e colpire. È la limitazion­e di questi abusi che la Commission­e sollecita. Non c’è un solo motivo per temere che debba risentirne la libertà di espression­e di noi tutti.

*Portavoce della presidente

della Camera

Nella

relazione finale della Commission­e Cox, oltre alle tante riprovevol­i espression­i d’odio della famosa piramide, si citano - in modo distorto - opinioni legittime, quand’anche non condivise, come incubatori di razzismo (“l’incitament­o a una ‘guerra tra poveri’, legata alla concorrenz­a per le risorse tra italiani e immigrati, ha come effetto una xenofobia diffusa”) e opinioni (errate) come dati di fatto scientific­i: “La concorrenz­a per le risorse tra le fasce sociali più sfavorite, se può in un certo senso valere per i servizi, non può in ogni caso far dimenticar­e che gli immigrati svolgono occupazion­i per lo più abbandonat­e o rifiutate dagli italiani”. Ecco, le sottopongo una recente dichiarazi­one del leader laburista inglese, Jeremy Corbyn: “L’importazio­ne all’ingrosso di lavoratori sottopagat­i dall’Europa centrale ha distrutto le condizioni di quelli britannici”. Corbyn sta incitando alla xenofobia? Se lo avesse scritto su Facebook, Zuckerberg dovrebbe chiudergli la pagina?

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