NON VOGLIAMO ALCUN MINISTERO DELLA VERITÀ
Nessuna volontà di censura, nessun ‘bav ag li o’ in vista. La Commissione Jo Cox ‘ sui fenomeni di odio, intolleranza, xenofobia e razzismo’, che ha presentato la settimana scorsa alla Camera la relazione su ‘la piramide dell’odio in Italia’, non ha certo proposto di ridurre spazi di libertà, in rete o fuori. Già nella sua composizione - un deputato per gruppo, esperti, rappresentanti di associazioni e di organismi internazionali - la Commissione ha espresso una forte attenzione al pluralismo. E la lettura della relazione facilmente reperibile sul sito della Camera: può fugare le preoccupazioni alle quali il Fatto Quotidianoha dato voce in questi giorni. La Commissione ha lavorato partendo esattamente dalla stessa premessa di cui parla il professor Azzariti: “la rete è un tubo nero dentro cui passa di tutto: da un lato razzismo e fenomeni d’odio, dall’altra quella che un tempo si chiamava ‘controinformazione’, un bene a cui non si può rinunciare. Si tratta di sostenere l’informazione plurale e impedire le degenerazioni”. Proprio così. Ben sapendo - ulteriore elemento di concordanza - che “il controllo dell’informazione non può mai essere dall’alto”, la Commissione ha evitato accuratamente di proporre organismi governativi che assomigliassero, anche alla lontana, a indesiderati ‘ Ministeri della verità’. Molte delle sue raccomandazioni sono di carattere culturale-educativo, perché c’è piena consapevolezza che è quello il terreno decisivo sul quale provare a combattere il discorso di odio.
IL PROBLEMA però non merita di essere ridotto, come sembra fare Marco Palombi nel suo articolo di domenica, ad una questione di “buona educazione”, alla necessità di “parlar bene”: quasi che la Commissione Jo Cox abbia voluto dilettarsi a dettare un nuovo galateo su come si debba stare composti quando si è seduti alla tavola digitale. Facciamo un paio di esempi per intenderci meglio: le pagine esplicitamente antisemite le dobbiamo considerare una manifestazione della libertà di espressione? E se qualcuno scrive su Facebook “gli immigrati affogateli tutti” o “bruciate i rom” sta esercitando un suo diritto che dobbiamo preoccuparci di tutelare, o invece sta avvelenando il dibattito pubblico con una goccia in più di razzismo ed istigazione alla violenza che è sbagliato tollerare? Come si ricorda non a caso nelle primissime pagine della relazione, la stessa Corte europea dei diritti umani ha precisato co- me la libertà di espressione trovi una limitazione laddove si manifesti il discorso d’odio. Questo è il genere di temi sui quali ha lavorato la Commissione. E nel farlo ha voluto rivolgersi anche ai giganti del web, alle grandi piattaforme dei social media come Facebook, YouTube, Twitter, Instagram, Google. Palombi e Truzzi scrivono che la Commissione Cox mira a farli diventare “la polizia preventiva contro l’odio”, e messa così la cosa suscita ovvia repulsione: perché mai dovremmo dar loro questo potere? Risposta: un potere sconfinato queste imprese ce l’hanno avuto fin qui, quello di rovesciarci addosso ogni tipo di contenuti, anche i più ignobili, e sono state ben contente di non doverli rimuovere perché così non perdevano nemmeno un utente, dunque nemmeno un centesimo di profitto. È richiamandole alle loro responsabilità che se ne limita il potere. Non dovrà essere più consentito loro di far circolare anche i messaggi violenti - video contro disabili, manifestazioni di bullismo, e via dicendo - appellandosi ad una pilatesca estraneità: “Noi siamo semplici autostrade, non è un problema nostro se ci passano anche i pirati della strada”. No, deve essere un problema anche per loro, che ai pirati permettono di correre e colpire. È la limitazione di questi abusi che la Commissione sollecita. Non c’è un solo motivo per temere che debba risentirne la libertà di espressione di noi tutti.
*Portavoce della presidente
della Camera
Nella
relazione finale della Commissione Cox, oltre alle tante riprovevoli espressioni d’odio della famosa piramide, si citano - in modo distorto - opinioni legittime, quand’anche non condivise, come incubatori di razzismo (“l’incitamento a una ‘guerra tra poveri’, legata alla concorrenza per le risorse tra italiani e immigrati, ha come effetto una xenofobia diffusa”) e opinioni (errate) come dati di fatto scientifici: “La concorrenza per le risorse tra le fasce sociali più sfavorite, se può in un certo senso valere per i servizi, non può in ogni caso far dimenticare che gli immigrati svolgono occupazioni per lo più abbandonate o rifiutate dagli italiani”. Ecco, le sottopongo una recente dichiarazione del leader laburista inglese, Jeremy Corbyn: “L’importazione all’ingrosso di lavoratori sottopagati dall’Europa centrale ha distrutto le condizioni di quelli britannici”. Corbyn sta incitando alla xenofobia? Se lo avesse scritto su Facebook, Zuckerberg dovrebbe chiudergli la pagina?