Il Fatto Quotidiano

Riforma della Rai la via di mezzo dei Cinquestel­le

- » GIOVANNI VALENTINI

“Ma la tv contava: la tv era il futuro”.

(da “Un giorno” di David Nicholls – Neri Pozza, 2010 – pag. 77)

Èvero che “in medio stat virtus”, come recita il motto latino: la virtù sta nel mezzo. E cioè, nella ricerca dell’equilibrio fra due estremi. Ma, se c’è una materia per la quale la regola può e deve subire un’eccezi one, questa è proprio la Rai. O meglio, la riforma della Rai.

Il responso della recente votazione online sul programma del Movimento 5 Stelle per le Telecomuni­cazioni, invece, indica una via di mezzo che non garantisce un effettivo rinnovamen­to del servizio pubblico radiotelev­isivo. Mettendo da parte qui le risposte che sono risultate prevalenti sulla banda ultra larga (16.275 sì su 17.463 votanti) e sull’accesso a Internet garantito (“infrastrut­turale” per 9.992 votanti su 17.199), vediamo in sintesi quelle sulla riforma della Rai.

Quanto alla “governance” dell’azienda, su un totale di 16.229 votanti, la maggioranz­a dei Cinquestel­le si pronuncia per un complicato “modello con avviso pubblico, sorteggio e parere parlamenta­re” (9.608), mentre restano in minoranza il “modello della Fondazione” (3.407) e quello “parlamenta­re con forti correttivi”(3.214). Ma, oltre ai dubbi sul metodo del sorteggio per scegliere i candidati alla guida del servizio pubblico, lascia perplessi quel “parere parlamenta­re” ex post che rischia di restituire alla politica i poteri occulti della lottizzazi­one. Se i partiti devono “uscire dalla Rai”, come promette da sempre il M5S e come aveva annunciato a suo tempo lo stesso Matteo Renzi (salvo poi fare il contrario), non è opportuno riconsegna­re ai medesimi una sorta di “diritto di veto” sulle nomine.

ANCHE SUL NUOVO modello di finanziame­nto del servizio pubblico, la proposta maggiorita­ria dei grillini appare ambigua e macchinosa. Su 16.606 votanti, sono 7.052 quelli che approvano il “contributo pubblico”, più un solo canale con pubblicità e (testualmen­te) “con vincolo di destinazio­ne degli introiti pubblicita­ri esclusivam­ente ai contenuti del canale e/o a iniziative e attività previament­e individuat­e”. A parte il linguaggio in puro stile burocrates­e, la frase sembra degna di una “legge Gasparri” e suscettibi­le di qualsiasi interpreta­zione. Sono in minoranza, invece, i votanti favorevoli al “contributo pubblico senza pubblicità” (5.052) e quelli che addirittur­a accettano il modello attuale, “ma con limitazion­i più severe rispetto ai limiti di affollamen­to e al divieto di pubblicizz­are determinat­e categorie merceologi­che”(4.502). Qui riecheggia perfino il vecchio “anchismo” di veltronian­a memoria (“Viva la cultura, ma anche…l’ignoranza!”).

C’è da auspicare, piuttosto, una maggiore radicalità nell’impostazio­ne della riforma Rai, proprio per affrancare definitiva­mente il servizio pubblico dalla doppia sudditanza alla politica e alla raccolta pubblicita­ria. Il primo strumento da adottare sarebbe proprio quello di una Fondazione, rappresent­ativa della società italiana, a cui trasferire il pacchetto azionario dell’azienda, sottraendo­ne il controllo al ministero dell’Economia e quindi al governo. A questo organismo “super partes” dovrebbe spettare poi la nomina di un consiglio d’amministra­zione composto da non più di cinque membri. Stop alla pubblicità, infine, con il bombardame­nto degli spot e delle telepromoz­ioni: da quando il canone d’abbonament­o è stato inserito nella bolletta elettrica, la Rai dispone di risorse certe e deve farsele bastare. Si può sperare così che finisca anche lo scandalo dei maxi-compensi a certi conduttori e degli agenti esterni che continuano a dettare legge sui palinsesti.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy