Dalla Prima
Edopo
averlo sponsorizzato invano due anni fa alla Procura di Milano (quand’era ancora al ministero), l’ha candidato a Napoli in barba al tanto strombazzato “congruo periodo di decantazione”. Solo due consiglieri di Area, Aprile e Morosini, sono rimasti coerenti e han votato De Raho con Unicost e due dissidenti di MI. Il laico 5Stelle Zaccaria e il togato davighiano Morgigni si sono astenuti. Tutti gli altri si sono espressi per Melillo, con un bel Patto del Nazareno che ha riunito attorno a una “toga rossa” i partiti e le correnti di destra e di sinistra: Pd e FI, Area e MI. Con l’aggiunta del primo presidente e del Pg della Cassazione, Canzio e Ciccolo, che avrebbero fatto meglio ad astenersi: se non sono ancora ai giardinetti, come tutti gli altri loro colleghi coetanei prepensionati dal decreto Renzi-Orlando-Melillo, è grazie a un altro decreto Renzi-Orlando-Melillo che li ha esentati “ad personam” dal riposo anticipato. Una schifezza che fece dire a Davigo: “Il governo si sceglie i magistrati contro la Costituzione”. Ricapitolando: Melillo collabora col ministro di Renzi al decreto che abbassa da 75 a 70 anni l’età pensionabile dei suoi colleghi (compreso lo sgradito procuratore di Napoli Colangelo); poi collabora col ministro di Renzi al decreto che salva dal precedente 12 supertoghe più uguali delle altre fra cui Canzio e Ciccolo; infine Canzio e Ciccolo votano Melillo procuratore di Napoli al posto di quello che lui ha collaborato a prepensionare.
Non contento, Canzio dichiara: “Basta fatwe e tentativi di delegittimare magistrati che decidono di contribuire al buon funzionamento dello Stato senza entrare in palazzi o caste. Le accuse di carriere parallele, come tutti i pregiudizi ideologici, sono sempre affette da ottusità. Come in passato è avvenuto per Falcone e Loris D’Ambrosio che, pur lavorando nei palazzi, dimostrarono schiena dritta”. Difficile cumulare tante sciocchezze in poche frasi. D’Ambrosio, purtroppo, da consigliere del Quirinale, si prestò alle interferenze di Napolitano e del suo amico indagato Mancino nell’inchiesta palermitana sulla Trattativa. Quanto a Falcone, andò al ministero come capo degli Affari penali di Claudio Martelli, perché a Palermo non poteva più lavorare proprio per i sabotaggi del Csm: cosa che non risulta per Melillo. Falcone, con Martelli, costrinse il governo Andreotti a varare severe norme antimafia, mentre le “riforme” della giustizia del trio Renzi-Orlando-Melillo sono barzellette. Ma soprattutto Falcone non rientrò in toga (o non ne ebbe il tempo), mentre Melillo sì; e le critiche non riguardano la sua persona, ma un pericolosissimo precedente (il secondo dopo Palermo) di porte girevoli fra governo e procure. Se proprio gli scappava un Falcone, Canzio poteva paragonargli De Raho, da anni superscortato per le sue indagini prima sui casalesi e ora sulla ’ndrangheta. E poi votare chi gli pareva, confessando una verità che tutti hanno capito. E cioè che Renzi, con la collaborazione straordinaria della casta togata, è riuscito a coronare il sogno di Mussolini, Craxi e Berlusconi: nominarsi i magistrati preferiti.