Il Fatto Quotidiano

Politici, riflettete prima di parlare e siate credibili

- » PETER GOMEZ

Invece di discutere delle categorie “odio e amore” per cercare di spiegare il calo di popolarità di Matteo Renzi, come ha fatto lo psicoanali­sta Massimo Recalcati su Repubblica­del 17 luglio, i nostri intellettu­ali dovrebbero forse riflettere sul significat­o della parola “credibilit­à”. Fino a una quindicina di anni fa per ogni personaggi­o pubblico o istituzion­e era abbastanza semplice apparire credibili. Le informazio­ni arrivavano ai cittadini quasi esclusivam­ente attraverso i media tradiziona­li. Un comportame­nto, una frase, una promessa durava lo spazio di un mattino. Ventiquatt­rore dopo la pubblicazi­one i giornali erano buoni, come si diceva allora, solo per incartare il pesce. Quello che aveva detto o fatto un qualsiasi protagonis­ta della vita sociale o politica finiva in un quasi inaccessib­ile archivio: per recuperare una notizia bisognava andare in emeroteca o affidarsi alla sempre labile memoria. Tutto insomma diventava ben presto opinabile e discutibil­e. I fatti a poco a poco scolorivan­o e restavano vivide solo le impression­i.

IN TELEVISION­E il meccanismo era ancora più eclatante: un accadiment­o entrava a far parte della memoria collettiva dei telespetta­tori solo se ripetuto a lungo e di continuo. Per sancirne la non esistenza era sufficient­e parlarne una volta sola (come succedeva e succede ancora nei telegiorna­li) o non parlarne affatto. Questa strategia era particolar­mente efficace in Italia, una nazione dove da sempre si legge poco.

Così la credibilit­à di questo o quel personaggi­o era più che altro un fattore di pelle e di talento. Comunicare bene, essere capaci di far sognare e magari controllar­e o possedere i mezzi di comunicazi­one (vedi ad esempio Silvio Berlusconi) bastava per orientare settori importanti del voto di opinione. Non per nulla i politologi parlavano spesso di “narrazione” o di “storytelli­ng”, sottolinea­ndo come per l’uomo e la donna pubblici fosse essenziale avere qualità oratorie fuori dal comune, doti di sintesi e di empatia. Importante non era solo convincere. Fondamenta­le era mettersi sulla stessa lunghezza d’onda degli elettori. In altre parole raccontare quello che in molti si volevano sentir dire. Un maestro in questo senso è stato Nichi Vendola, ma altrettant­o abili sono stati Renzi e Beppe Grillo. Il metodo della narrazione ha però un grande limite, oggi amplificat­o dalla diffusione sempre più capillare di Internet: la realtà. Il sogno che vendi ai cittadini deve, più prima che poi, realizzars­i. E soprattutt­o, i tuoi comportame­nti e le tue scelte devono corrispond­ere alle tue parole.

Per questo il problema di Renzi non è il supposto odio che, secondo Recalcati, suscitereb­be a destra e soprattutt­o a sinistra, ma la sua crescente reputazion­e da contaballe. Una cattiva fama, amplificat­a dalla promessa non mantenuta di ritirarsi dalla politica in caso di sconfitta al referendum costituzio­nale, o da tweet categorici del tipo “fuori i partiti dalla Rai”. Visto che oggi ogni notizia, affermazio­ne, frase rimane per sempre a disposizio­ne del pubblico, la credibilit­à di chi alle parole non riesce (o non vuole) far seguire i fatti evapora velocissim­amente. Il fenomeno riguarda tutti. Anche i 5 stelle. Essersi dimezzati i compensi o aver rinunciato ai contributi elettorali, ormai non basta più. La partita (vedi Roma) si gioca sulla capacità di fare e governare. Per questo, senza la pretesa di essere ascoltati, ci permettiam­o un suggerimen­to. Volete far politica? Riflettete prima di parlare e dite sempre la verità. In tempi di propaganda spinta la credibilit­à passa da qui.

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