Politici, riflettete prima di parlare e siate credibili
Invece di discutere delle categorie “odio e amore” per cercare di spiegare il calo di popolarità di Matteo Renzi, come ha fatto lo psicoanalista Massimo Recalcati su Repubblicadel 17 luglio, i nostri intellettuali dovrebbero forse riflettere sul significato della parola “credibilità”. Fino a una quindicina di anni fa per ogni personaggio pubblico o istituzione era abbastanza semplice apparire credibili. Le informazioni arrivavano ai cittadini quasi esclusivamente attraverso i media tradizionali. Un comportamento, una frase, una promessa durava lo spazio di un mattino. Ventiquattrore dopo la pubblicazione i giornali erano buoni, come si diceva allora, solo per incartare il pesce. Quello che aveva detto o fatto un qualsiasi protagonista della vita sociale o politica finiva in un quasi inaccessibile archivio: per recuperare una notizia bisognava andare in emeroteca o affidarsi alla sempre labile memoria. Tutto insomma diventava ben presto opinabile e discutibile. I fatti a poco a poco scolorivano e restavano vivide solo le impressioni.
IN TELEVISIONE il meccanismo era ancora più eclatante: un accadimento entrava a far parte della memoria collettiva dei telespettatori solo se ripetuto a lungo e di continuo. Per sancirne la non esistenza era sufficiente parlarne una volta sola (come succedeva e succede ancora nei telegiornali) o non parlarne affatto. Questa strategia era particolarmente efficace in Italia, una nazione dove da sempre si legge poco.
Così la credibilità di questo o quel personaggio era più che altro un fattore di pelle e di talento. Comunicare bene, essere capaci di far sognare e magari controllare o possedere i mezzi di comunicazione (vedi ad esempio Silvio Berlusconi) bastava per orientare settori importanti del voto di opinione. Non per nulla i politologi parlavano spesso di “narrazione” o di “storytelling”, sottolineando come per l’uomo e la donna pubblici fosse essenziale avere qualità oratorie fuori dal comune, doti di sintesi e di empatia. Importante non era solo convincere. Fondamentale era mettersi sulla stessa lunghezza d’onda degli elettori. In altre parole raccontare quello che in molti si volevano sentir dire. Un maestro in questo senso è stato Nichi Vendola, ma altrettanto abili sono stati Renzi e Beppe Grillo. Il metodo della narrazione ha però un grande limite, oggi amplificato dalla diffusione sempre più capillare di Internet: la realtà. Il sogno che vendi ai cittadini deve, più prima che poi, realizzarsi. E soprattutto, i tuoi comportamenti e le tue scelte devono corrispondere alle tue parole.
Per questo il problema di Renzi non è il supposto odio che, secondo Recalcati, susciterebbe a destra e soprattutto a sinistra, ma la sua crescente reputazione da contaballe. Una cattiva fama, amplificata dalla promessa non mantenuta di ritirarsi dalla politica in caso di sconfitta al referendum costituzionale, o da tweet categorici del tipo “fuori i partiti dalla Rai”. Visto che oggi ogni notizia, affermazione, frase rimane per sempre a disposizione del pubblico, la credibilità di chi alle parole non riesce (o non vuole) far seguire i fatti evapora velocissimamente. Il fenomeno riguarda tutti. Anche i 5 stelle. Essersi dimezzati i compensi o aver rinunciato ai contributi elettorali, ormai non basta più. La partita (vedi Roma) si gioca sulla capacità di fare e governare. Per questo, senza la pretesa di essere ascoltati, ci permettiamo un suggerimento. Volete far politica? Riflettete prima di parlare e dite sempre la verità. In tempi di propaganda spinta la credibilità passa da qui.