Diselgate & politica, l’intreccio che fa sbandare la Germania
LDopo il Dieselgate, il Made in Germany dell’auto è stato colpito dal sospetto dell'esistenza di una “cupola” che avrebbe concordato soluzioni tecniche, costi e fornitori. L’ipotesi di accordi è diventata pubblica in seguito ad uno scoop dello Spiegel, secondo cui il “Club dei Cinque” (VW, Audi, Porsche, Daimler e Bmw) aveva messo in piedi sessanta gruppi di lavoro che negli ultimi cinque anni si sarebbero incontrati mille volte a Germania dell’auto sbanda e rischia di mandare fuori strada l’affidabilità del paese, che prospera sull’export e su ll ’ immagine di integrità morale. Ha perso credibilità, ma continua a guadagnare soldi, come dimostrano i dati delle ultime trimestrali. Ad esempio Porsche, l’ultimo dei costruttori risucchiato nella spirale del dieselgate per via del software di gestione del sistema di abbattimento dei gas di scarico di Cayenne (21.500 modelli da richiamare). Nel primo semestre ha contabilizzato un Ebit di 2,1 miliardi di euro, in crescita del 16%, un fatturato di 11,8 (+8%) ed un Ros, il ritorno sulle vendite, del 18,1%.
La ricchezza della Germania ha quattro (o più) ruote. L’industria dell'auto assicura quasi 810.000 posti di lavoro. Un occupato su sette è impiegato nel comparto dell’automotive, che solo sommando i fatturati dei gruppi Volkswagen (che include Porsche, Audi, Seat, Skoda, Lamborghini, Bentley, Bugatti, Man, Scania e Ducati), Daimler (Mercedes e Smart) e Bmw (comprese Mini e Rolls-Royce) e quelli dei tre principali fornitori ( Bosch, Continental e ZF) sfiora i 600 miliardi di euro.
MINATO dal dieselgate, il Made in Germany dell’auto è stato nuovamente colpito dal sospetto dell'esistenza di una “cupola” che avrebbe concordato soluzioni tecniche, costi e fornitori. Daimler si sarebbe segnalata alle autorità già nel 2014, mentre Volkswagen avrebbe inviato una sorta di auto denuncia un anno fa: l’ipotesi di accordi, diventata pubblica in seguito ad uno scoop del settimanale Spiegel, non è affatto destituita di fondamento. Il colosso di Wolfsburg ha tentato di minimizzare l’addebito parlando di “normalità dello scambio tecnico tra costruttori”. Ma per lo Spiegel il “Club dei Cinque” (VW, Audi, Porsche, Daimler e Bmw) aveva messo in piedi sessanta differenti gruppi di lavoro che solo negli ultimi cinque anni si sarebbero incontrati mille volte. Bmw è l’unico costruttore che ha respinto le accuse di “cartello”. Uwe Hück, ex pugile e capo del Consiglio di fabbrica di Porsche, ha tuonato contro Audi, stufo delle bugie della casa di Ingolstadt. Negli Stati Uniti ed in Canada alcuni studi legali si sono già attivati per scattare le class action.
Il dieselgateha colpito 11 milioni di veicoli del gruppo Volkswagen nel mondo ai quali si possono sommare i 3 milioni per i quali Daimler ha annunciato una “azione volontaria” di richiamo in Europa. La “cupola” potrebbe aver commercializzato complessivamente almeno un centinaio di milioni di mezzi. Una cifra colossale.
I cinque LA CUPOLA
La prima richiesta di risrcimento arriva da Toronto: l’equivalente di 750 milioni di euro.
Il conto che rischia di venire presentato ai costruttori tedeschi potrebbe essere salatissimo. L’Ufficio europeo antifrode (Olaf) guidato dal magistrato italiano Giovanni Kessler, ha chiuso l’indagine sui fondi prestati dalla Bei, la Banca Europea degli Investimenti, a Volkswagen. Si tratta di 400 milioni assegnati per lo sviluppo di tecnologie per migliorare il funzionamento dei sistemi dei gas di scarico e secondo il risultato dell'inchiesta finiti nella realizzazione del software che tarocca i dati. Una decina di dirigenti potrebbero venire perseguiti per frode all'Ue, mentre l'istituto potrebbe chiedere la differenza tra il tasso agevolato ottenuto dalla Bei e quello di mercato.
Gli smottamenti del sistema tedesco dell'auto rischiano di coinvolgere la classe politica. Alexander Dobrindt, il mini-