Il Fatto Quotidiano

Acqua sprecata, serve un prezzo equo (non basso)

Il costo ridotto favorisce un cattivo uso, ma bisogna proteggere i più poveri con tariffe legate al reddito

- » MARCO PONTI

Non c’è acqua, e tutti concordano che il motivo della scarsità sia più da ricercare più negli sprechi che nella scarsa pioggia (si perde il 30-40 per cento per quella per uso domestico, e non si sa quanto per l’uso principale, che è quello agricolo). Questi sprechi sono noti da decenni, ma non si è fatto nulla. Forse è il caso ora di chiedersi perché.

Gli economisti il perché lo definiscon­o the tragedy of commons, la tragedia dei beni comuni: l’acqua è fortemente sussidiata con soldi pubblici, per tutti gli usi. In Italia è la meno cara d’Europa, anche dopo i recenti aumenti. E si tende a sprecare le cose che ci costano poco, non quelle care. La ricerca del vantaggio personale, come quella del profitto, è una molla con una forza superiore a quella dell’altruismo.

L’altruismo, alla base dell’ideologia dei “beni comuni” e del socialismo in generale, è sentimento nobile, che però di solito funziona per poco tempo a cau- sa dell’insorgere di free rider, cioè di soggetti che trascurano quel bene comune traendone dei vantaggi personali, ed inducendo gradatamen­te tutti gli altri ad imitarli. Questo fenomeno è così potente che funziona anche per i “cartelli”, cioè per le associazio­ni (illegali) tra imprese per tenere artificial­mente alti i prezzi. Prima o poi una impresa “tradisce”, perché le conviene abbassare i prezzi per vendere di più o perché ha costi più bassi degli altri e li vuol “far fuori”, ecc.… e il “cartello” si sfascia, con grandi benefici per i consumator­i.

DUNQUE L’ACQUA GRATIS o quasi per persone, industria e agricoltur­a induce sprechi. Il meccanismo dei soldi pubblici abbondanti ha poi indotto gli enti locali, che dovevano curare la tutela dagli sprechi e la fornitura del servizio, a non fare nulla, fino spesso a non incassare nemmeno le pur basse tariffe per ragioni di consenso elettorale. Per non parlare delle manutenzio­ni e degli investimen­ti, che sembra siano in arretrato per molte decine di miliardi. E il fenomeno vale anche a livello individual­e: perché spendere soldi nell’evitare perdite nelle mie tubature domestiche, se l’acqua è quasi gratis?

La premessa condivisa a tutti i livelli è stata “qualcuno poi pagherà”. Adesso i nodi sono arrivati al pettine, e quel “poi” sembra arrivato: il bene acqua è diventato scarso, e gli sprechi di ogni tipo intollerab­ili. È come per l’inquinamen­to: chi inquina (cioè “spreca” un bene comune, l’aria pulita), deve pagare. E chi spreca se paga non spreca più, o spreca molto meno. Per alcuni settori è già così, si pensi alle altissime tasse sulla benzina, altri sono addirittur­a sussidiati (proprio l’agricoltur­a). Ma pagare più caro qualcosa di essenziale come l’acqua colpisce i redditi più bassi. Sacrosanto dunque proteggere i consumator­i più deboli con tariffe “mirate” anche per l’acqua, ma solo questi consumator­i. I soldi pubblici sono scarsi, ed i bisogni sociali molteplici. In questo modo tra l’altro si garantisce che nemmeno le categorie sussidiate sprecheran­no l’acqua, se il suo prezzo è commisurat­o ai loro redditi. Per loro i soldi che pagano “valgono” di più.

IN ITALIA IMPERA il voto di scambio irresponsa­bile: il decisore politico raccoglie i consensi facendo regali con i soldi di tutti ai propri elettori “favoriti” (per regione, o per gruppo sociale), ma non ne risponde mai alla collettivi­tà in generale, che alla fine ne sopporta i costi o in termini finanziari o in minori servizi.

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La penuria d’acqua nel lago di Bracciano (Roma)
Reuters Bacini in secca La penuria d’acqua nel lago di Bracciano (Roma)

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