Il Fatto Quotidiano

“Datti al cabaret!”: così Guccini stroncò le mie ambizioni canore

- » NATALINO BALASSO

Ho abitato per qualche tempo a Bologna, frequentav­o l’università un po’ come un nerd che frequenta una ragazza che non gliela dà e non si rende conto che più la frequenta più le possibilit­à si assottigli­ano. E, come talvolta fanno i nerd, dicevo che l’avrei mollata perché mi annoiava.

Molti di voi ricorderan­no che nel 1976 uscì un album di Francesco Guccini dal titolo Via Paolo Fabbri 43. Nell’immediata uscita dell’album ci fu un pellegrina­ggio di studenti, fan e perdigiorn­o verso quell’indirizzo e non so come gestì la cosa il maestro, ma nel 1984 il pellegrina­ggio si era per fortuna diradato, in quegli anni solo qualche studente tardo e qualche fan poco informato si avvicinava a quella casa per suonare il campanello e tentare la sorte.

IO ERO un aspirante cantautore all’epoca, scrivevo canzoni non banali che però cantavo malissimo, solo che nessuno me lo aveva detto anche se, riguardo ai testi, chi le ascoltava ne leggeva l’effetto della versione triste di Claudio Lolli. In effetti il mood dei miei pezzi abbassava un po’ l’asticella della depression­e, ma all’epoca ritenevo di avere delle possibilit­à; come tendono a pensare spesso quelli che hanno poco talento, ero convinto che il mondo complottas­se contro la mia assoluta genialità e che se avessi fatto ascoltare i miei pezzi a un talento vero, costui avrebbe riconosciu­to il genio come avviene tra consimili.

In un assolato pomeriggio nel quale si faticava a riprenders­i dai fumi di una specie di corteccia di betulla che qualcuno si ostinava a pensare dopante e quindi a sborsare pure dei soldi per poterla fumare, il mio amico Luca mi disse:

Guarda che se vai in via Paolo Fabbri 43, dove abita Guccini, poi lui ti apre la porta. Sembrava un’idea attuabile, per lo meno più attuabile del progetto di sgabuzzino-discoteca per due clienti che avevamo avuto qualche minuto prima. Era deciso: mi ero ripromesso di fronte a un testimone di andare dal guru dei poeti cantanti e di fargli ascoltare le mie canzoni. O comunque di proporgli di ascoltarle, o comunque di salutarlo e di dirgli una serie di cose che si sarà sentito ripetere per anni tutti i santi giorni dai fan. Dopo alcune settimane durante le quali passavo e ri- passavo davanti alla porta di via Paolo Fabbri 43 come un agente FBI alle prime armi, finalmente trovai il coraggio di suonare il campanello e, come nelle fiabe che funzionano, mi aprì la porta lui, il guru in persona. Salve, lei non mi conosce… Sono d’accordo.

Io scrivo canzoni, ho un nastro, potrei lasciargli­elo se le fa piacere… Entra! Ovviamente non credevo a ciò che avveniva ma mi trovavo nella casa del maestro e lui era seduto proprio davanti a me. Raccontami cosa fai. Io scrivo queste canzoni, le ho anche fatte arrangiare ma non trovo una casa discografi­ca disposta a pubblicarl­e, non saprei, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa lei. Io penso che i cantautori non vendono più. Noi vecchi teniamo ancora botta ma i giovani non sfondano e anche chi ha venduto, come Lolli, adesso fa fatica. Ma sentiamo il nastro.

P OT E TE non crederci, ma Guccini ascoltò 40 minuti di canzoni in cuffia, in religioso silenzio, mentre io fremevo cercando d’intuirne le micro espression­i facciali. Alla fine dell’audizione mi chiese: Che cosa pensi di fare con queste canzoni? Fai concerti, le canti in giro, vuoi fare un disco? Non ho un’idea precisa di come muovermi, vede, con alcuni amici sto facendo serate di cabaret, con pezzi comici all’osteria del Pavese, sono alle prime armi ma mi diverto, però mi piacerebbe anche fare il cantautore, non so bene quale strada scegliere.

Fu allora che il guru mi disse: “Io ti consiglio di fare il comico!”. Non gli chiesi come facesse a sapere che avevo più possibilit­à come comico pur non avendo visto nessuno dei miei pezzi comici, ma cominciai a pensare di avere sovrastima­to le mie possibilit­à ca- nore.

In seguito lo andai a trovare ancora, mi fece ascoltare anche qualche canzone pubblicita­ria degli anni ‘20 che aveva scovato suo fratello, mi disse che sarebbe stato bello farci uno spettacolo, fu molto gentile, parlò un po’ con me poi mi disse:

Adesso ho da fare. Allora, al termine della fiaba, capii due cose: 1) i maestri veri sono sinceri, 2) anche i guru hanno da fare.

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