IL POPULISMO NON È L’ESTREMA DESTRA
Alcuni eventi recenti hanno richiamato in causa l’estrema destra. L’allarme per la sua denunciata crescita ha portato molti a confonderla con il populismo, senza tener conto che, malgrado talune coincidenze nella scelta dei bersagli polemici, i due soggetti sono ben distinti: non interpretano nello stesso modo i concetti a cui si richiamano, non hanno la stessa visione del mondo e della società, non considerano allo stesso modo gli strumenti che impiegano in politica, a partire dalle elezioni.
Non è comunque facile definire l’estrema destra, perché di fronte ad un oggetto così malfamato è difficile rimanere neutrali evitando commistioni fra le proprie idee politiche e l’attività di studioso. Si può peraltro attribuire a l l’area politica in questione, per fissare un punto fermo, un mix di nazionalismo, razzismo, xenofobia, antidemocraticità e richiesta di un potere forte.
Se l’estrema destra sta tornando alla ribalta, è perché esistono problemi gravi a cui la classe politica di governo non sa dare risposte convincenti. Ampie fasce della popolazione sentono minacciati due aspetti cruciali: il livello di vita, per le ricadute per loro negative della globalizzazione: deindustrializzazione, delocalizzazioni, richiesta di nuove professionalità, e il modo di vita, cioè le abitudini e le tradizioni, minacciate dal contatto forzato con i sempre più numerosi estranei, che ne coltivano altre da loro sentite come incompatibili. Di fronte a questo disagio, cresce la voglia di affidarsi a portatori di ipotesi radicali. I partiti rivali pensano di arginare queste pulsioni divulgando le parole d’ordine del politicamente corretto, secondo cui gli immigrati sono una risorsa, la loro presenza arricchisce la società sotto ogni punto di vista, non si può far niente per farne cessare l’arrivo: una ricetta che funziona solo sui già convinti.
I movimenti di estrema destra rivendicano caratteri di novità e si difendono dall’accusa di basarsi solo su nostalgie. Qualche elemento relativamente originale, nella loro azione, c’è, come la proposta del “mutuo sociale” o la prassi delle occupazioni di palazzi sfitti per darli in uso a canoni molto bassi a famiglie autoctone. Ma la replica dell’uso di uniformi, delle parate in stile militare, delle cerimonie con rituali che rinviano al Ventennio o al Terzo Reich e dei saluti romani non fa che rimandare al passato. Il “fascismo del terzo millennio” è una contraddizione in termini: una promessa di futuro basata su un richiamo a tempi trascorsi.
Si sostiene da più parti che l’odierna crescita del fenomeno sia strettamente legata all’uso degli strumenti telematici. Non c’è dubbio che Internet abbia offerto a questi movimenti di nicchia un canale di espressione in grado di moltiplicare il pubblico di riferimento. Prima, l’estrema destra era il tipico luogo di produzione di carta stampata: giornali, bollettini, fanzine, opuscoli, manifesti, volantini, libri. Oggi essa dimostra, nella gestione dei siti e nell’attività attraverso i social media, capacità di innovazione stilistica, a partire dalla grafica, che contribuiscono alla divulgazione delle sue opinioni. Tuttavia, tra raccogliere o firme per una petizione e riuscire a mobilitare fisicamente i propri sostenitori, il fossato è ampio: il lavoro sul territorio rimane quindi cruciale. Il fatto che alcuni di questi movimenti siano attivi anche con interventi di sostegno in situazioni di difficoltà o di protesta, svolgendo quella che è stata definita una attività di “welfare nazionalista” (dalle distribuzioni di pasti a senzatetto e poveri di Alba Dorata in Grecia, alle offerte abitative in Italia a iniziative simili di Génération Identitaire in Francia), concorre a dare loro visibilità e consensi. Che in qualche caso possono tradursi in voti alle elezioni locali, dove le situazioni di disagio sono più sentite.
Il numero di azioni violente da parte di militanti di estrema destra è fortemente cresciuto negli ultimi anni. Molte di queste però vanno ricondotte allo scontro con gruppi di estrema sinistra. Estrema destra ed estrema sinistra hanno un fisiologico bisogno di costruirsi e coltivare un nemico principale contro il quale dirigere la propria ostilità. A volte danno l’impressione di non riuscire a sentirsi vive se non si motivano tramite questo procedimento di identificazione in negativo.
Poi ci sono altri bersagli contro cui l’estrema destra si scaglia, gli immigrati – e non i grandi capitalisti, i finanzieri o gli “eurocrati” di Bruxelles, che pure a parole sono oggetto di critiche non meno feroci – sono i più frequenti. In questo influisce un complesso bellicistico che si ricollega all’esaltazione del “guerriero”, uno dei tanti tratti che fanno da spartiacque nei confronti dei populisti, che esaltano invece Manifestazione di Forza Nuova contro lo Ius Solie che non mostrano mai un particolare fervore per militari e guerre, di cui anzi in genere diffidano.
Ci si interroga anche sul rischio che questi movimenti possano disporre di sponde parlamentari, ma la preoccupazione appare eccessiva. I partiti populisti li respingono, perché non vogliono peggiorare la propria reputazione alimentando sospetti di collusione con ambienti simili. Il netto discrimine tra Alternative für Deutschland e Npd in Germania è solo uno dei molti esempi di questo tipo. In Ungheria, Jobbik, considerato il più compromesso con l’ultradestra, ha subìto una scissione dei gruppi estremisti, che lo accusano – a ragione – di essersi spostato su una posizione più moderata. A suo tempo, Alleanza nazionale non ha esitato a liberarsi della sua organizzazione giovanile, che temeva ne compromettesse l’immagine, e sono note le drastiche epurazioni del Front National operate allo stesso scopo da Marine Le Pen. Quanto alla Lega di Matteo Salvini, aveva bisogno di militanti in grado di preparare alcune manifestazioni nel centro-sud, ha accettato di fare da punto di riferimento a CasaPound, ma l’idillio è durato poco. Restano infine da valutare alcuni risultati sorprendenti di liste facenti capo a questo ambiente alle recenti elezioni amministrative. Visti senza il carico emotivo del sensazionalismo, sono cifre attorno al 10% ottenute in solo tre località, che fanno impressione per l’immagine di estremismo delle liste e molto difficilmente susciteranno aggregazioni. Che questi gruppi possano trovare alleati è improbabile. E se ne avessero, finirebbero col rovinarsi la fama di “duri e puri”, a cui tengono molto, con il rischio di nuove scissioni. In ogni caso, le loro prospettive dipenderanno solo dalla (in)capacità dei concorrenti di dare risposte ai problemi che le alimentano.