È un flop la riabilitazione del jihadista riluttante
Francia, chiude il centro che doveva ospitare i giovani affascinati dalla “guerra santa”. Il ministro Collomb: “Esperimento inconcludente”
Il solo centro ufficiale anti-radicalizzazione nato in Francia per aiutare i giovani tentati dal jihadismo ha chiuso i battenti. Il sito-pilota era stato aperto con tante speranze neanche un anno fa, settembre 2016, nel castello di Pontourny, a Beaumont-en-Véron, sulla Loira.
Se il test fosse andato bene, una dozzina di centri analoghi sarebbe stata creata in tutta la Francia. Ed invece l’esperimento è stato catastrofico. Il ministro dell’Interno, Gérard Collomb, ha dovuto riconoscere con amarezza che “nonostante l’impegno e gli sforzi, l’esperimento si è rivelato inconcludente”.
Il centro anti-jihad avrebbe dovuto accogliere fino a 25-30 giovani a rischio radicalizzazione, tra i 15 e i 30 anni, e su base volontaria. Ragazzi attirati dall’Islam radicale e pronti ad andare a fare la guerra in Siria o in Iraq, ma ancora mai partiti, né schedati, indagati o condannati.
UNO STAFF di medici, psicologi, insegnanti di storia, anche imam, era stato messo a disposizione. Si tenevano corsi di laicità e educazione civica. Mentre migliaia di segnalazioni arrivano al numero verde stop-jihad, instaurato dal governo nel 2014, tra settembre e febbraio il centro di Pontourny ha accolto solo nove giovani e nessuno di loro ha completato il percorso. Da febbraio era vuoto. Uno dei suoi inquilini, Mustafa S., 24 anni, è stato anche fermato durante le ore di permesso mentre si preparava a partire per la Siria ed è stato arrestato per associazio- ne a delinquere con scopi terroristici. Dinanzi a questo stato di cose la chiusura del centro alcuni giorni fa, non è stata neanche una sorpresa. A metà luglio il rapporto di una commissione senatoriale sul reinserimento dei jihadisti in Europa ne aveva già consigliato la soppressione.
Per la senatrice Catherine Troendlé, del partito di destra Les Républicains, coautrice del rapporto, lo Stato stava “sperperando” i 2,4 milioni necessari per far funzionare il sito. Uno spreco, poiché con quei soldi si sarebbero potute finanziare iniziative più “realistiche”: “Si pensa che la deradicalizzazione funzioni come un lavaggio del cervello e che basta rinchiudere le persone per tre mesi. Invece - ha osservato l’ecologista Esther Benbassa, l’altra autrice del rapporto - serve un lavoro su misura”.
A FEBBRAIOle due senatrici avevano criticato in generale l’intera politica per la prevenzione e la lotta alla radicalizzazione portata avanti dal governo di François Hollande, in particolare dopo i primi attentati del 2015. In un precedente rapporto avevano definito “un totale fallimento” le esperienze fatte finora. Portate avanti, secondo loro, in modo frettoloso, sull’emozione del momento legata ai drammi degli attentati, e spesso affidando le iniziative a “pseudo-specialisti” della radicalizzazione e a associazioni interessate soprattutto a incassare le sovvenzioni che lo Stato era pronto a versare.
Per il ministro Collomb questo fiasco non significa rinunciare alla battaglia contro l’islam radicale. Saranno studiate nuove soluzioni, fa sapere il ministero, magari con delle “strutture più piccole”, come aveva proposto Emmanuel Macron durante la campagna elettorale per l’Eliseo, destinate a giovani radicalizzati sotto inchiesta o controllo giudiziario per terrorismo.
Soldi buttati
La commissione: 2,4 milioni di euro bruciati, non basta rinchiudere le persone per tre mesi