Vertice clandestino Renzi-Gianni Letta su voto e Mediaset
Con l’offensiva Vivendi, lo storico braccio destro dell’ex premier ha sondato la sponda del leader Pd. Anche in ottica elettorale: larghe intese in arrivo
La prima volta al Nazareno, ripresa dai fotografi e sporcata da un lancio di uova, fu il 17 gennaio 2014. Allora Gianni Letta accompagnò Silvio Berlusconi da Matteo Renzi, nella sede del partito un tempo nemico o almeno rivale, per aiutare il Pd a rovesciare il governo del Pd guidato da Enrico Letta, il nipote. Stavolta, martedì pomeriggio, sfruttando la conoscenza già acquisita de ll ’ ingresso secondario, Gianni Letta è andato da Matteo Renzi per un incontro più di strategia industriale che politica.
Incontro smentito ieri all’Ansa dal portavoce del segretario del Pd, ma senza eccessiva enfasi: tanto più che il braccio destro e sinistro dell’ex Cavaliere - e plenipotenziario per i rapporti tra politica e aziende del biscione - è stato visto al Nazareno da più di un testimone. I tempi, rispetto al primo abboccamento, sono però assai diversi: Renzi non è più l’arrembante segretario di tre anni e mezzo fa; Forza Italia è ancora, se non di più, un partito svuotato seppur conteso e sovrastimato nei retroscena giornalistici.
IL FACCIA A FACCIA sublima il necessario abbraccio tra due forze che sono in realtà due debolezze. Ma nel momento del bisogno - e in prospettiva di una comune sopravvivenza politica imposta dall’agognata (da entrambi) legge elettorale proporzionale - è un obbligo di buon vicinato darsi una mano: al largo del Nazareno di Roma, d’altronde, ci sono gli uffici dem e del Biscione.
Ora, cosa ha spinto Letta a far visita a Renzi in un giorno di rara particolarità, l’ex premier che ha interrotto il giro d’Italia per la propaganda del libro e l’ha trascorso in ufficio come un segretario tradizionale? Non una congettura, ma una risposta semplice, a suo modo tradizionale: Mediaset.
Il cruccio di Berlusconi è il cruccio, umano, di quei genitori che non sono riusciti a tramandare agli eredi le stesse capacità imprenditoriali – Pier Silvio potrà lamentare l’assenza di un Bettino Craxi – e assistere, catastrosfe peggiore, al disfacimento di una fortuna miliardaria, circondata da invasori stranieri (la francese Vivendi), concorrenti privati e l’eterna Rai che non si rassegna a morire.
Tra il 30 e il 31 luglio, domenica e lunedì, s’era diffusa la voce di una lettera a palazzo Chigi del ministro Carlo Calenda (Sviluppo Economico) per sollecitare l’apertura di un’istruttoria per verificare l’acquisizione del controllo di Telecom da parte di Vivendi del finanziere Vincent Bolloré, che lo scorso dicembre ha rastrellato sul mercato il 28,8 per cento del capitale di Mediaset. I più distratti hanno pensato a una ritorsione per il mancato accordo tra Fincantari e i francesi di Stx. In realtà, la notizia non ha di certo preoccupato Emmanuel Macron, ma ha allarmato Cologno Monzese.
MEDIASET ha bisogno di firmare un accordo con Vivendi, dopo che il contratto per la cessione di Premium è stato disatteso da Bolloré e il bilan- cio 2016 ha registrato 294 milioni di euro di perdite. Il Biscione chiede 1,5 miliardi di euro di danni, ma il contenzioso è lungo: aspettare e indugiare impoverendo la cassa è pericoloso. Calenda s’è speso molto sui giornali in difesa dell’italianità di Mediaset, però non ha dotato Confalonieri & C. degli strumenti richiesti per respingere Bolloré.
Quest’ iniziativa su Telecome Vivendi del ministro, che continua a marcare la distanza da Renzi, ha suggerito a
Letta di riprendere l’ argomento col segretario dem per non restare isolati. A Vivendi l’ ostruzionismo di Palazzo Chigidàf astidio. ERenzi, nonprop rio amico, può tornare utile a tutti.
La rottura tra Bolloré e Renzi s’è consumata durante la nomina di Flavio Cattaneo ad amministratore delegato di Telecom, il bretone informò tardi e via messaggio l’allora premier dell’ingaggio di un manager non toscano (e dunque non in orbita renziana). Con la rimozione di Cattaneo, che tra le altre cose era l’unico a opporsi a un’alleanza fra Telecom e Mediaset per i diritti tv della serie A di calcio, i due B. possono davvero fare la pace. Officiante il pacere Matteo.
CALENDA ha rovinato l’ipotetica sintonia tra Vivendi e il Biscione e ha aggiunto un tema al colloquio tra Letta e Renzi. Fallito l’investimento sulla tv a pagamento, Mediaset s’è riversata sulla cara, vecchia televisione generalista e lì deve muoversi sempre con la protezione del governo per le faccende pubblicitarie e tecnologiche. Chi può assicurare Berlusconi se non l’amico a fasi alterne Matteo?
Poi lo scenario politico, il voto non lontano, inducono Silvio e Matteo a stare insieme, a costruire oggi l’alleanza – di larga intesa, ovvio – che sarà domani. A 81 anni a settembre e con un partito che vale un terzo di dieci anni fa e una prospettiva di carriera inesistente, l’ex Cavaliere ha un assillo, ripetiamo umano, salvare Mediaset, perpetuare il successo di famiglia, magari il fatturato. Quando non può recarsi di persona da Renzi, spedisce il corpo di Letta che contiene la sua voce e le sue paure.
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I dem e Forza Italia hanno un oggettivo interesse comune: il proporzionale