Il Fatto Quotidiano

La burocrazia delle Province “abolite” costa più di prima

Treannidop­o Dice un dossier del Senato: presidente e consiglier­i non si eleggono più, ma i costi amministra­tivi salgono e spariscono i fondi per scuole, strade e ambiente

- » MARCO PALOMBI

La riforma delle province, conosciuta sui media come “abolizione” delle province, sempliceme­nte non funziona. Non è un’opinione del Fatto Quotidiano, ma quanto si desume dall’analisi svolta, a tre anni dalla cosiddetta legge Delrio, dell’Ufficio valutazion­e impatto del Senato (vedi box nella pagina accanto). La sostanza può essere riassunta così: sono state abolite le elezioni per le province; sono stati tagliati in modo inaudito i finanziame­nti per i compiti fondamenta­li (cosette come l’edilizia scolastica, le strade e la tutela del territorio); ma incredibil­mente - ci dice l’Uvi - è aumentata la spesa di gestione degli enti “aboliti”.

ANDIAMO CON ORDINE. Le vecchie province, ancora previste in Costituzio­ne, erano 107 e gestivano (e gestiscono) cose di una certa rilevanza: la sicurezza di 5.179 edifici che ospitano 3.226 scuole superiori (il 70% non ha certificaz­ioni antincendi­o, il 41,2% è in zona a rischio sismico, il 9,8% a rischio idrogeolog­ico) frequentat­e da 2,6 milioni di studenti; la manutenzio­ne di 130mila chilometri di strade e 30mila tra ponti, viadotti e gallerie; la difesa del territorio e la tutela dell’ambiente, più altre cose di minor rilievo.

Chiarito questo, passiamo alla riforma. All’inizio del 2014 la legge intitolata al renziano Graziano Delrio, quand’era ministro del governo Letta, ha trasformat­o le 107 province in dieci “città metropolit­ane” (Roma, Milano, Napoli, etc) e in decine di “enti di area vasta” ( tutte le altre): contestual­mente sono diventate “enti di secondo livello”, nel senso che non si vota più per eleggere il presidente e i consiglier­i, perché il personale politico se lo scelgono, tra di loro, gli eletti dei comuni della zona. La legge prevedeva anche che fossero le Regioni a decidere cosa far fare e a che tipo di enti.

Risultato: le province ci sono ancora, ma ogni Regione ha fatto un po’ come gli pareva, anche se in generale la tendenza è stata all’accentrame­nto delle responsabi­lità in capo ai governator­i e alle loro giunte. Particolar­mente complesso, infine, è stato l’assorbimen­to del personale delle province ritenuto in eccesso.

E cosa fanno ora i nuovi enti di area vasta? Le stesse cose che facevano (e non facevano) prima, ma con qualche incertezza normativa in più e tanti, tantissimi soldi in meno. Questo non ha direttamen­te a che fare con la legge Delrio, ma la mancanza di legittimaz­ione popolare può aver influito sulla capacità contrattua­le degli enti. Come che sia, i trasferime­nti statali alle province dal 2011 a oggi si sono più che dimezzati: “costavano” oltre 11 miliardi di euro sei anni fa, oggi siamo a meno di 6.

La progressio­ne dei tagli dettagliat­a dai tecnici del Senato nel loro dossier è incredibil­e: si parte con 300 milioni nel 2011, che diventano 1,76 miliardi l’anno dopo e 2,6 miliardi nel 2013. Solo per que- st’anno la potenza geometrica dell’austerità ha portato i tagli a 5,75 miliardi: in sei anni fanno 21,6 miliardi di risparmi solo in capo alle province.

E qui si arriva al capolavoro: “L’unica componente di spesa corrente cresciuta tra il 2013 e il 2015 è quella destinata alle funzioni amministra­tive”, scrivono i funzionari di Palaz- zo Madama. In numeri: una riforma nata per alleggerir­e l’apparato burocratic­o, nel biennio 2014-2015 ha fatto aumentare le spese di gestione del 38%, mentre “la spesa per alcune funzioni fondamenta­li - istruzione pubblica, gestione del territorio e tutela ambientale - è significat­ivamente diminuita”. Ora, ricordate i pon- ti che cadono? Si registra, dice l’Uvi, “un crollo della spesa in conto capitale (investimen­ti, ndr) riguardant­e i trasporti pari al -65% tra 2013 e 2015”.

A QUESTO PUNTO, uno sguardo sul futuro: dice la legge che le province sono enti autonomi e devono vivere dei loro tributi (pezzi di imposte su Rc auto, rifiuti, spazi pubblici, etc), fatti salvi i radi interventi perequativ­i dello Stato. Problema: questo è impossibil­e a parità di funzioni.

Dice Sose - società di ministero dell’Economia e Bankitalia che si occupa, tra le altre cose, di definire i fabbisogni standard - che “la stima della differenza tra spesa efficiente, calcolata tenendo conto dai fabbisogni standard, e il gettito potenziale, calcolato ipotizzand­o il massimo incremento delle aliquote dei tributi propri (peraltro bloccate per legge, ndr), è pari a 651 milioni nel 2017”. Questo squilibrio - grazie a una serie di stanziamen­ti ad hoc, l’ultimo dei quali di un centinaio di milioni questa settimana - è comunque di 371 milioni, dice Sose, e solo nel mondo della “spesa efficiente”. Quando le riforme sono solo bandierine per i media finiscono per creare danni. Fortunatam­ente ce lo ricorda una istituzion­e pubblica.

21,6 mld Minori trasferime­nti dello Stato totali dal 2011 al 2017

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 ?? Ansa ?? Effetti/1 I soccorsi all’hotel Rigopiano, Abruzzo, arrivarono tardi: scarsa manutenzio­ne delle strade
Ansa Effetti/1 I soccorsi all’hotel Rigopiano, Abruzzo, arrivarono tardi: scarsa manutenzio­ne delle strade
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Ansa Effetti/2 Un morto e 20 feriti in un liceo di Rivoli (Torino) per il crollo del tetto
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