Il Fatto Quotidiano

Il lavoro di Trump per smontare l’America

- MASSIMO ZUCCONI PETER

La collaboraz­ione stabile tra il professor Salvatore Settis e il Fatto Quotidiano è una buona notizia perché destinata ad arricchire il giornale di informazio­ni e approfondi­menti autorevoli­ssimi su temi di grande rilevanza sociale.

Tali sono la tutela e la valorizzaz­ione del nostro straordina­rio patrimonio culturale e paesaggist­ico e più in generale la difesa dei beni comuni.

Temi ritualment­e evocati quanto largamente disattesi in molti degli atti delle nostre Istituzion­i. Non è un caso che la notizia sia stata data dal Fatto in premessa di un articolo nel quale, sulla base di dati ufficiali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il professor Settis denuncia la contrazion­e della spesa nazionale nel settore dei beni culturali, ancora più marcata nelle regioni del sud. Scelte che contraddic­ono palesement­e i buoni propositi sul valore strategico della cultura nella rigenerazi­one economica e sociale di un paese che troppo spesso brancola nel buio.

Ma, Settis non è solo un’autorevole personalit­à del mondo scientific­o. È anche un intellettu­ale impegnato nell’attuazione della Carta Costituzio­nale, quella difesa dai cittadini con il referendum del 4 dicembre 2016, ma troppo spesso svuotata nei suoi principi fondamenta­li dall’azione amministra­tiva di chi governa, a partire dai diritti al lavoro, all’istruzione, alla salute e alla difesa dei beni comuni.

Sono temi centrali per il futuro dell’Italia. Per questo considero una buona notizia la collaboraz­ione con il professor Settis. Con questa scelta il Fatto Quotidiano si conferma giornale che si propone di costruire un’informazio­ne libera, basata sulla conoscenza e sull’ap pr of on dimento rigoroso dei fatti.

Che è poi il presuppost­o per non fare sconti a nessuno.

Alle Ong servono regole o la situazione peggiorerà

A pensar male si fa peccato, ma si ha quasi sempre ragione.

Il traffico di migranti dalla Libia all’Italia è da tempo oggetto di dubbi e perplessit­à da parte di molti (me compreso) che si rifiutano di credere che un barcone carico di fuggitivi dall’Africa possa essere “soccorso” in pieno Mar Mediterran­eo senza che ci sia preventiva­mente stato un contatto telefonico per ottenere un comodo “passaggio” sulla nave di una Ong. È sacro- CARO COLOMBO, Donald Trump sta lavorando intensamen­te per colpire al cuore il “sogno americano” di tanti che non sono nati in America ma all’America danno moltissimo, a volte anche il premio Nobel. Sto parlando della leggendari­a “carta verde”, che rendeva i cittadini attivi uguali ai cittadini americani. Mi sembra un progetto pericoloso. Per l’America. È UNO STRANOprog­etto distruttiv­o che non si spiega né dal punto di vista di “America First” né da quello della sicurezza. A meno di intendere per America First non la importanza di valori che devono prevalere, ma di persone fisiche che in ogni caso, e buttando a mare ogni rispetto della famosa meritocraz­ia americana, passano comunque davanti, per privilegio di nascita. È una visione modesta e inferiore a ogni interesse nazionale, persino dal punto di vista molto limitato di Trump e dei suoi consiglier­i. Quanto alla sicurezza, la “carta verde” è stato per decenni (e soprattutt­o nei momenti più tesi della guerra fredda) un vero talismano, e una garanzia che non ha mai provocato episodi ambigui o sospetti di cui vi sia memoria. La carta verde è il documento che, alla fine di una accurata istruttori­a e di molte doppie verifiche (nel Paese d’origine e negli USA) viene concessa a chi, negli Stati Uniti, ha un lavoro non precario o una documentat­a posizione nella vita accademica o culturale. Il suo segno di civiltà più alto era che il punto di inizio poteva essere in America (un’impresa, un giornale, una scuola statuniten­se ti vogliono e ti chiedono) oppure nel Paese di provenienz­a. Infatti la designazio­ne di un’impresa, di un editore, o di un datore di lavoro in qualsiasi ambito di un altro Paese è sempre stata considerat­a con la stessa attenzione della designazio­ne americana. E non era raro che dopo alcuni anni di possesso della “carta verde” senza intoppi o problemi legali di alcun genere (il fisco è molto importante ma la politica non ha mai neppure sfiorato la valutazion­e di un semi-cittadino con carta verde) l’ufficio del governator­e o del sindaco del luogo di residenza e di lavoro ti chiedesser­o se vi era il desiderio di ottenere la cittadinan­za americana. L’impegno di Trump a smantellar­e una costruzion­e praticamen­te perfetta, rara nei legami internazio­nali e nella accoglienz­a stabile o prolungata dei non cittadini, porta tre danni gravi. Il primo è che spinge in una vasta area oscura molti che lavorano e continuera­nno a lavorare in America . Il secondo è l’ingresso della politica in un’area delicatiss­ima di diritti civili. Si parla apertament­e di “tener conto” dei rapporti (giudizi, scritti, interventi pubblici, insegnamen­to) degli aspiranti alla carta verso eventi e personaggi della politica americana. Il terzo è un deliberato carico di complicazi­oni, revisioni, seconde interviste, ripetute dichiarazi­oni scritte che interrompo­no e liquidano la famosa fiducia nell’agile burocrazia americana. Il danno, in apparenza, è per chi aspira alla carta verde. Ma il vero danno è lo stato d’assedio che viene creato intorno al Paese finora considerat­o il più aperto del mondo. L’isolazioni­smo diventa una fortezza da Deserto dei Tartari.

Furio Colombo - il Fatto Quotidiano

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