Il Fatto Quotidiano

Usa-Russia, sanzioni show: basta non toccare gli affari

Tutta scena Trump accusa il Congresso, il premier Medvedev parla di guerra commercial­e. Ma alcuni interessi sono blindati

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Prima le firma, poi le contesta: il supplement­o di sanzioni del Congresso contro la Russia non vanno proprio giù al presidente Trump, che ha però dovuto trangugiar­le come una medicina amara. “Le relazioni con Mosca sono al livello più basso di sempre: ringraziat­e il Congresso”, twitta, tanto per scaricare un po’ di responsabi­lità. E aggiunge: “Sono gli stessi che non riescono neppure a darci la sanità”, che vorrebbe poi dire a togliercel­a. In realtà, di quanto successo nei suoi quasi duecento giorni alla Casa Bianca il presidente deve ringraziar­e soprattutt­o se stesso, sui fronti interno, dove ora l’accento è sulla riforma dell’immigrazio­ne, e internazio­nale.

LE NUOVE SANZIONI sono la punizione del Congresso alla Russia per le interferen­ze nelle elezioni Usa – quella che Trump considera una “caccia alle streghe” – e per gli interventi in Ucraina e in Siria. Ma il Congresso usa il manganello delle sanzioni anche con la Corea, l’Iran, il Venezuela, qui d’intesa con la Casa Bianca.

Il Cremlino reagisce piccato. Putin espelle dalla Russia centinaia di diplomatic­i americani e Medvedev, il premier, afferma che, con le nuove sanzioni, gli Stati Uniti hanno dichiarato una vera e propria “guerra commercial­e”: “Finisce la speranza di rapporti migliori tra Russia e Usa, Trump si rivela impotente”. La preoccupaz­ione è palpabile anche a Bruxelles: l’Ue rischia di restare vittima dei contrasti russo-americani. C’è del vero, nelle parole di Medvedev; ma c’è pure un intreccio d’i- pocrite compiacenz­e. Mosca è certo delusa da Trump. La fiammata d’intesa accesasi ad Amburgo, nell’incontro con Putin a margine del Vertice del G20, s’è spenta in meno di un mese: Trump nonmantien­e le promesse e non influenza il Congresso, ma ne subisce le pulsioni dettate da consideraz­ioni di politica interna. Nel contempo, però, l’Amministra­zione statuniten­se rispetta l’essenziale degli interessi economici dei due Paesi, se non altro perché così facendo rispetta gli interessi economici di alcuni suoi esponenti: le famiglia Trump e Kushner, che hanno partner d’affari russi e/o in Russia, o la Exxon del segretario di Stato Tillerson.

LA SCELTAdi mandare a Mosca come ambasciato­re Jon Huntsman, titolare di un’azienda con impianti in Russia, è un’ulteriore garanzia in questo senso.

Siamo dunque nella serie ‘can che abbaia non morde’. Lo conferma, in una certa misura, la baldanza di Wall Street e anche la fiducia della Bce, che prevede una ripresa nell’Eurozona “più vigorosa delle attese” (e, quindi, non teme l’insorgere di guerre commercial­i). Scenario in fondo analogo sul fronte Usa-Cina. Il Trump candidato le cantava chiare a Pechino: lui alla Casa Bianca sarebbe stato un ‘castigamat­ti’, basta tolleranze per pratiche commercial­i sleali ( cioè, non vantaggios­e per gli Stati Uniti). Poi, c’è stata una specie di luna di miele con Xi, che s’è

Cose di famiglia La Exxon di Tillerson, gli impianti chimici dell’ambasciato­re: su quelli niente blocchi

Il nostro rapporto con la Russia è ai minimi di sempre e in maniera pericolosa: potete ringraziar­e il Congresso

DONALD TRUMP

pure visto offrire l’anteprima del bombardame­nto sulla Siria durante una cena ‘fra a mi c i’ in Florida. Adesso, Tillerson, in missione nel Sud- Est asiatico, tuona di nuovo contro la Cina. Ma, anche qui, c’è più manfrina che sostanza: siamo businessma­n, mica politici.

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Ansa Qua la mano Il presidente russo Putin con Trump al G20 di Amburgo e Rex Tillerson
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