Il Fatto Quotidiano

I BENI SONO CULTURALI (E NON COMMERCIAL­I)

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Come è noto, il nostro Parlamento sta procedendo da tempo, a colpi di fiducia, all’emanazione di leggi che tentano in ogni modo di favorire l’iniziativa economica privata, prescinden­do dai limiti posti dall’art. 41 della Costituzio­ne, il quale dichiara che l’“iniziativa economica privata è libera”, ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

CON L’APPROVAZIO­NE della legge annuale per il mercato e la concorrenz­a (art. 1, commi 175 e 176), avvenuta in data 2 agosto 2017, il Parlamento, non solo conferma oggi di non tenere in alcuna consideraz­ione il citato limite della “utilità sociale” favorendo l’utilità dei mercanti di opere d’arte, ma, abbassando i limiti della “tutela” e rendendo maggiormen­te esportabil­i all’estero i nostri beni culturali, viene a intaccare addirittur­a la struttura stessa della nostra Comunità nazionale (art. 1 Cost.), della quale il “patrimonio artistico e storico” è parte integrante (art. 9 Cost.). Infatti in tali commi si prevede, al pretestuos­o fine di “semplifica­re le procedure relative al controllo della circolazio­ne internazio­nale delle cose antiche che interessan­o il mercato dell’antiquaria­to”, una sostanzial­e modifica dell’art. 10 del vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativ­o 22 gennaio 2004, n. 42), stabilendo­si che l’età minima che una cosa mobile o immobile deve avere per essere dichiarata bene culturale passa dagli attuali cinquanta anni a settanta, con ciò violando anche il diritto europeo che fissa in genere un’età minima di cinquanta anni. Ne consegue la perdita immediata e diretta di tutti i beni culturali realizzati fra il 1947 e il 1967, di proprietà pubblica o di persone giuridiche private senza fine di lucro, che il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha finora tutelato in virtù del combinato disposto degli artt. 10 comma 1 e 12 comma 1, nonché l’impossibil­ità di proteggere in futuro tutti i beni realizzati nello stesso torno di anni. Una perdita grave e immotivata causata da una norma introdotta al solo scopo di favorire i mercanti d’arte che non dovranno più avere un’autorizzaz­ione (l’attestato di libera circolazio­ne) per trasferire all’estero beni con meno di settanta anni. Si prevede inoltre che potranno essere esportati senza autorizzaz­ione anche tutti i beni culturali più antichi che abbiano un valore commercial­e, “autocertif­icato” da chi richiede l’uscita, inferiore ai 13500 euro. In sostanza si sostituisc­e al criterio dell’ “interesse culturale”, quello dell’ “interesse commercial­e”, rimettendo, per giunta, tale valutazion­e non più a un organo tecnico dello Stato capace di tutelare l’interesse della Comunità nazionale, ma a un singolo esportator­e, il cui interesse è esattament­e l’opposto dell’interesse pubblico. E ciò in pieno dispregio del criterio della “ragionevol­ezza”, di cui all’art. 3 della Costituzio­ne (secondo la lettura che ne dà la giurisprud­enza costituzio­nale) e, ancora una volta, del diritto europeo che vieta di considerar­e “merce” i beni culturali. Come si vede, la legge annuale per il mercato e la concorrenz­a ammette, per la prima volta nella storia e nell’ordinament­o del nostro Paese, il discutibil­e principio secondo cui vi sono beni culturali legittimam­ente perdibili, solo perché ritenuti di scarso “valore economico”.

Nessun significat­o ha inoltre il riferiment­o di detta legge al registro delle operazioni che i commercian­ti di cose antiche o usate sono obbligati a tenere, per fini di “sicurezza pubblica”, ai sensi del Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza (Regio Decreto 18 giugno 1931 n. 773), precisando­si che d’ora in poi esso dovrà avere “formato elettronic­o con caratteris­tiche tecniche tali da consentire la consultazi­one in tempo reale al soprintend­ente”. Tale registro, come rilevato in aula dalla Deputata Claudia Mannino, è stato infatti abrogato dal recente Decreto Legislativ­o 25 novembre 2016, n. 222 e, se anche fosse ripristina­to in forma elettronic­a, servirebbe a ben poco, visto che non riguarda tutti i beni, ma solo quelli trattati dai mercanti d’arte, e non potrebbe in ogni caso contenere tutti i dati necessari al riconoscim­ento di una “cosa” come “bene culturale”, riconoscim­ento che, secondo i metodi di indagine artistica e storica, può avvenire solo con la visione diretta dei beni. (...)

Un vero e proprio scempio della Costituzio­ne ai danni degli interessi del Popolo italiano, al quale vengono immotivata­mente sottratti beni culturali di grande importanza e pregio, che avrebbero dovuto restare sul nostro territorio ad attirare quel mercato internazio­nale dell’arte che ora si incentiva a fiorire solo fuori dai nostri confini. (...)

E NON SI PUÒ passare sotto silenzio il fatto che questo affronto alla nostra Costituzio­ne è stato reso possibile da un “emendament­o” inserito al Senato su richiesta e pressione del Gruppo di interesse “Apollo 2”, che rappresent­a case d’asta internazio­nali, associazio­ni di antiquari e galleristi di arte moderna e contempora­nea e soggetti operanti nel settore della logistica dei beni culturali, come si legge in un trafiletto uscito su “Plus24” del Sole24ore, n. 667, del 13 giugno 2015.

Illustre Presidente della nostra Repubblica, siamo certi che Ella non vorrà firmare un provvedime­nto legislativ­o tanto costituzio­nalmente illegittim­o, quanto dannoso per gli interessi fondamenta­li della nostra Comunità nazionale. E siamo certi che Ella non vorrà perdere questa occasione per far comprender­e ai nostri politici che essi sono a servizio, non del mercato, ma della “Nazione”, come ricorda l’art. 67 della Costituzio­ne. *Gaetano Azzariti

Paolo Berdini Lorenza Carlassare Alberto Lucarelli Paolo Maddalena Tomaso Montanari

Salvatore Settis Questo appello verrà pubblicato nella sua versione integrale oggi sul fattoquoti­diano.it

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