Quel “doppio movimento” per tenere i migranti in Libia
L’obiettivo è trattenere nei centri di accoglienza chi vuole partire per l’Europa. Per riuscirci bisogna rafforzare il premier Sarraj
La strategia del ministro dell’Interno Marco Minniti sulla Libia si regge su questa analisi: “I trafficanti di esseri umani hanno bisogno di territorio non governato, perché soltanto in uno Stato fallito le carovane di migranti possono percorrere chilometri di deserto senza interferenze”. Minniti evoca un “d opp io movimento”.
PRIMO MOVIMENTO: mettere in condizione il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, quello del premier Fayez al-Sarraj di avere un effettivo controllo sulle coste e sulla Tripolitania, da cui passano i migranti che poi arrivano in Italia. Secondo movimento: trattare con il generale Kalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, e con i “guardiani del deserto”, cioè le tribù dei Suleiman, dei Tebou e dei Touareg, perché controllino le zone del Fezzan e il confine meridionale, “frontiera Sud di tutta l’Europa”. Solo perseguire queste due tattiche insieme permetterà all’Italia di raggiungere il suo obiettivo strategico: fermare i migranti in Libia, o trattenuti nei centri di accoglienza locali o incentivati a tornare nei Paesi di origine. Inutile cercare di dirottare il flusso verso Egitto e Tunisia, magari classificando quest’ultima come “porto sicuro” dove far sbarcare le navi di migranti: si rischia di destabilizzare anche i fragili vicini della Libia, creando ulteriori opportunità per i trafficanti.
Il ministro è consapevole però che quei centri di accoglienza oggi sono spesso carceri, in parte gestite dal governo in parte da milizie o dai trafficanti stessi, “bisogna assicurare la dignità di quei luoghi e il rispetto dei diritti umani”. Qualche segnale positivo Minniti lo vede: l’Oim, l’organizzazione dell’Onu che segue i migranti economici, ha già aiutato 5000 persone a insediarsi in Paesi della regione e conta di arrivare a 12.000 nel 2017. Piccoli numeri, “ma dimostrano che qualcosa si può fare”, dice Minniti che è ottimista anche sul fatto che presto l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, possa tornare a operare in Libia con personale internazionale.
Stabilizzare la Libia però è arduo: se l’Italia tratta con i protagonisti diversi dal governo Sarraj, lo indebolisce. Se li ignora, la situazione sul terreno non migliora. Per evitare che la Libia diventi uno Stato fallito in mano ai trafficanti bisogna quindi trattare anche con Haftar, che ha minacciato ritorsioni contro le due navi italiane a sostegno della guardia costiera libica, “siamo l’unico Paese europeo con un’ambasciata a Tripoli ma la prima missione dell’ambasciatore è stata andare a Tobruk, per dare il segnale che l’Italia lavora per una Libia unita, abbiamo parlato, stiamo parlando e continueremo a parlare con Haftar”, spiega Minniti. Poi bisogna assicurare la pace con le tribù del Sud: i Tebou e i Suleiman, con i Touareg testimoni, hanno siglato una storica intesa a Roma il 31 marzo. Formalmente l’Italia ha soltanto ospitato il vertice, senza trattare direttamente (riconoscere che le tribù controllano pezzi di Libia equivale ad ammettere che Sarraj è un premier virtuale). Nei momenti di tensione intorno all’aeroporto di Seba, nel Sud della Libia, l’accordo tra le tribù ha retto e può rivelarsi decisivo se, dopo la caduta di Mosul in Iraq e quella probabile di Raqqa in Siria, ci fosse una fuga di militanti dalle ultime roccaforti dell’Isis. Il rischio che i terroristi si mescolino ai migranti potrebbe diventare concreto.
I confini meridionali L’intesa con le tribù regge ma si rischia l’arrivo dei militanti Isis in fuga da Iraq e Siria
OLTRE ALLA POLITICA, però, c’è l’economia: il racket dei migranti genera un indotto enorme. L’Unione europea ha stanziato 90 milioni di euro per finanziare uno sviluppo alternativo, Minniti il 13 luglio ha incontrato 14 sindaci di città che prosperano su racket per discutere progetti alternativi, “il traffico è una delle poche industrie che in Libia funzionano, per sconfiggerlo servono alternative, le risorse si possono trovare, basta pensare a quanto spendiamo ogni anno per l’accoglienza in Italia”.