Tra il dire e il fare (il blocco navale) c’è di mezzo il mare
KHALIFA HAFTAR minaccia di bombardare ogni nave italiana in entrata nelle acque libiche senza autorizzazione del suo autoproclamato Esercito nazionale. L’ALTOLÀ DEL GENERALE Haftar, capo del governo di Bengasi, che Gheddafi jr ha immediatamente chiosato da par suo (“torna il colonialismo fascista”), dimostra ancora una volta che sul problema immigrazione esistono le soluzioni semplicistiche da talk show e poi c’è la dura realtà con cui scontrarsi. Soprattutto quando le crisi hanno dimensione globale, come l’esodo delle moltitudini di disperati che dall’Africa subsahariana si affollano sulle coste libiche sognando l’approdo in Italia. Quando il governo Gentiloni, con il voto del Parlamento, ha deciso l’invio di un paio di pattugliatori nel porto di Tripoli, dove si barcamena il governicchio di al-Sarraj, Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno giustamente rivendicato alla destra l’idea primigenia di un blocco navale che impedisse all’origine il traffico dei barconi con il loro carico di sofferenza e spesso di morte.
Peccato che la definizione di blocco navale, onde sigillare centinaia di chilometri di coste, presuppone l’invio di una munitissima flotta internazionale pronta ad affrontare situazioni di guerra anche con perdite umane e sviluppi imprevedibili. L’armiamoci e partite che da anni risuona in ogni studio televisivo da parte della politica così detta muscolare (contrapposta a quella dei cagasotto buonisti) immagina infatti che la Libia sia lo scatolone di sabbia di mussoliniana memoria abitato da qualche beduino testa calda da ridurre senza grandi problemi a più miti consigli. Infatti, a parte il piccolo ma generoso contributo italiano dell’armata che doveva solcare gagliardamente il Mediterraneo al momento non v’è traccia.
La Merkel è in campagna elettorale, gli spagnoli sono distratti dalla vendita di Neymar, quanto a Macron dopo aver fatto risuonare le fanfare della grandeur sembra abbia poco baldanzosamente detto al mite Gentiloni andate avanti voi e vediamo che aria tira. Ma se anche Haftar disponesse di un esercito di cartone (e così non è) immaginate cosa accadrebbe qui da noi perfino dopo un semplice e incruento scambio di colpi. Cortei contrapposti di guerrafondai e pacifisti, le Camere convocate in seduta d’urgenza, le tv occupate da interminabili dibattiti tra i pro e i contro e così via con il consueto teatrino tragicomico. Il fatto è che in guerra ci si può fare male ma per fortuna il saggio governo italiano ha trovato la soluzione più equilibrata.
I pattugliatori si limiteranno a pattugliare serenamente lo spicchio di mare davanti a Tripoli e le eventuali armi a bordo saranno caricate a salve. Se tutto va liscio serviranno a festeggiare con adeguati fuochi pirotecnici la notte di Ferragosto.
Antonio Padellaro - il Fatto Quotidiano
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