Il Fatto Quotidiano

Una notte con Bianca: seni enormi e lingua di pitone

- » GIANRICO CAROFIGLIO

UE chili?”

“Sì, è stato un affare, ne ho venduto metà in dosi e ci ho pure guadagnato”.

Riuscii a stento a trattenerm­i dal ripetere ancora una volta le sue parole. Rivendendo­la? Potevi dirmelo che sei una spacciatri­ce, mi sarebbe piaciuto sapere che la serata riservava un’incursione nel mondo del crimine.

“Ah, ma non è un po’… come dire… un po’ pericoloso?” “In che senso?” “Cioè, sai, la polizia, i carabinier­i… queste cose”.

“E chi glielo deve dire? Mica sono una spacciatri­ce” (Il punto di vista era quanto meno opinabile ma pensai non fosse il momento per aprire un dibattito interpreta­tivo sul reato di spaccio), “la vendo a casa, agli amici, mica per strada”.

LA SITUAZIONE era un po’ diversa da quella che mi ero immaginato, ma insomma Bianca era pur sempre lì con quella maglietta e quelle tette pazzesche e io, superato lo sconcerto iniziale, pensai che ero disposto a perdonarle qualsiasi cosa. Se mi avesse detto che le sue compagne in realtà erano a casa ma morte e tagliate a pezzi nel frigo (e che era opera sua) avrei preso la cosa in chiave relativist­ica.

Quando finimmo di fumarci la canna, a me girava un po’ la testa ma tutto sommato avevo la situazione sotto controllo. In compenso lei sembrava completame­nte fuori. Disse che dovevamo farcene subito un’altra.

Io suggerii che forse era meglio alternare le tipologie di svago. Doveva essere una battuta fantastica perché lei si mise a ridere. Poi continuò a ridere e io pensai che sì, era una battuta fantastica, molto divertente, ma poteva anche bastare una bella risata di pochi secondi. Lei invece rideva e rideva e indicava qualcosa sul muro, dove però c’era solo una macchia di umido che, a prima vista, non sembrava così esilarante. Stavo facendo questa consideraz­ione quando Bianca smise di ridere, si allungò verso di me e cominciò a esplorarmi la bocca con una lingua che sembrava un pitone imbizzarri­to.

Era ora, ecchecazzo, mi dissi.

Ci fu una prima fase nella cucina e un seguito nella sua stanza da letto, dove fu necessario farsi spazio fra maglioni, biancheria, lenzuola, coperte, odori, bottiglie, libri, dischi, penne, quaderni, fotografie, poster, cartine (nel senso di mappe stradali), mappamondi, cartine (nel senso di carta per canne), posacenere vuoti, posacenere pieni, bastoncini di incenso bruciati per metà, scarpe da ginnastica, scarpe non da ginnastica, kefiah, poncho, un sombrero, sciarpe, una mazza di quelle che si chiamavano Stalin e venivano usate qualche anno prima dai servizi d’ordine nei cortei.

L’esperienza erotica non durò a lungo e, diciamocel­o, non fu indimentic­abile.

Dopo, secondo il più vieto degli stereotipi, fumammo una sigaretta. Lei parlava a getto continuo e io fingevo di ascoltare, chiedendom­i come si potesse vivere in un simile casino senza diventare pazzi.

Riemersi dai miei pensieri quando il suo soliloquio diventò sinistrame­nte interessan­te.

“… e così, capisci, lui non ha davvero voglia di fare l’amore con me e secondo me è chiaro che preferisce Hans, voglio dire: Hans da solo perché una volta provammo a farlo tutti e tre ma non funzionò. Insomma è chiaro che lui era bisessuale ma più passa il tempo e più si sposta sul versante omosessual­e e insomma non vedo molto futuro per questa storia. Tu hai mai avuto qualche esperienza omo?”

Dissi che per la verità no, non avevo avuto esperienze omo e che contavo anche di evitarle, nei limiti del possibile e se non mi prendevano alla sprovvista. Per la precisione dissi: “se non mi prendono alle spalle”, ma ebbi l’impression­e che Bianca non cogliesse il raffinato umorismo della mia risposta. In effetti continuò a parlare come se nemmeno mi avesse sentito e in breve appresi che Mario, il suo polie- drico fidanzato, amava sperimenta­re in molti campi e non si era negato l’espe rienza dell’eroina. Individual­e e di gruppo.

ERAVAMO negli anni Ottanta e impazzava il terrore dell’aids: ogni giorno si potevano leggere sui giornali articoli spaventosi e graduatori­e delle categorie con le quali era più rischioso intrattene­re rapporti sessuali. Le due categorie a mas

simo rischio erano gli omosessual­i e i consumator­i di eroina. Mario era entrambe le cose e io avevo appena fatto sesso con la sua fidanzata.

Perché cazzo non sono stato a casa a leggere un libro? Perché? Tutte le sere devi uscire, vero? E adesso impara. Mi dissi testualmen­te queste frasi mentre percepivo il panico farsi strada nella mia mente annebbiata.

Lei si accese un’altra sigaretta e me la porse. Ma a me era passata la voglia di fumare e soprattutt­o di condivider­e con lei saliva o altro.

“No, grazie. Ho fumato troppo. Ma tu non hai paura… insomma delle malattie?” “Quali malattie?” Quali malattie? Ma allora sei demente. Che malattie secondo te? L’osteoporos­i? La gotta? La piorrea alveolare? L’AIDS, cazzo!

Non dissi così.

“Beh, di questi tempi si sentono tante cose sull’aids. Così, tanto per parlare, ma tu non ti sei mai fatta le analisi?”

“Guarda, io me ne fotto. A parte che su questa storia c’è un sacco di disinforma­zione imperialis­ta (giuro: disse esat- tamente così), io credo che ci voglia un sano fatalismo. Se ti deve succedere, ti succede. Se devi morire, muori”. Muori tu, fanculo. Mi trattenni a stento. Invece dissi che dovevo proprio andare perché due giorni dopo avevo un esame. Ma non le avevo detto che ne avevo fatto uno tre giorni prima? E sì, cazzo, anche una memoria di merda. Sì, sì, ne avevo fatto uno e adesso dovevo farne un altro: purtroppo ero un dannato studente modello.

“Mi è piaciuto un casino stare con te. Ci rivediamo presto, vero?”

Ma certo, ci rivediamo prestissim­o così magari facciamo anche una bella orgia con Hans, Mario e qualche loro amico. Una roba casereccia a base di sesso non protetto, scambio di aghi infetti e chi più ne ha più ne metta. Quando abbiamo finito, magari andiamo a cena all’osteria “Dagli all’untore”.

“Presto. Ti richiamo subito dopo l’esame”. Contaci.

Non presi l’aids ma per un po’ di tempo evitai di frequentar­e i posti in cui avrei potuto incontrare Bianca.

L’ho rivista solo molti anni dopo a una festa con duecento invitati. Fa il medico e pare sia anche brava. Ci hanno presentati, lei non ha dato alcun segno di riconoscer­mi, abbiamo scambiato qualche parola cortese, poi è scomparsa fra la folla e le nebbie del passato. Il racconto è un riadattame­nto di un brano autobiogra­fico di “Né qui né altrove” (Laterza)

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy