Il Fatto Quotidiano

“Ho sbagliato con gli spot dell’Eni. E per Cecchi Gori sono finito in un burrone”

L’INTERVISTA “Il mio massimo lo do come regista, mentre da attore sono un po’ bradipo”

- » ALESSANDRO FERRUCCI Ansa

PÈ nato a Lauria, il 16 agosto 1958. Il debutto sul piccolo schermo con “Classe di ferro” (19891991); da regista ha vinto un David di Donatello con “Basilicata coast to coast”; ha cocondotto il Festival di Sanremo con Gianni Morandi. Ha recitato in molti film di Pieraccion­i, poi con Michele Placido, Vinvenzo Salemme ed Edoardo Leo antaloncin­o improbabil­e, maglietta generica, scarpe da ginnastica, borsa a tracolla. A piedi sotto i 40 e passa gradi di Roma, quando neanche l’ombra ti solleva dallo sfinimento; Rocco Papaleo vaga con la testa in aria per controllar­e il nome della via. Se c’è un antidivo in versione estiva, e senza età, lui ne è l’incarnazio­ne più alta. “Se posso cammino”. Non è stagione. “E allora cammino più piano”. Ecologista. “Che fa, tocca subito un tasto dolente?”. Lo è? “Tanto ci arriviamo. Dopo.” Poco divo, e non si offende se la definiscon­o caratteris­ta. Mi sento più un entertaine­r. Qual è il suo passo artistico?

Non l’ho pienamente capito, sto lì a cercare una novità, altre opportunit­à, magari trovarle da me. Anche per questo ho iniziato con la regia.

Lei gioca sulla sorpresa, sul “non me lo aspettavo da lui”...

Potrebbe essere una strategia, involontar­ia.

Quindi ci ha pensato? Eccome. Dall’essere in disparte si può creare una attenzione maggiore, e non mi va di promettere mari e monti e poi offrire dei laghetti.

Insomma, vola basso...

Il mio non è un esercizio di modestia, è che parliamo di un contesto dove non ci sono valori oggettivi, tutto è opinabile, variabile, a volte vittima di suggestion­i momentanee. Ed è partito da una regione “che è come Dio: esiste ma bisogna crederci”, parole sue.

Adesso un po’ meno, in piccola parte grazie a me.

E grazie al petrolio...

Ecco, ci siamo: lì ho fatto una grande cazzata.

Quale?

La pubblicità per l’Eni.

L’hanno attaccata. Tantissimo e giustament­e, anche se avevo le mie ragioni... (Silenzio per qualche secondo) No, non la dovevo fare, dovevo capire prima; dovevo capire che avrei urtato persone simili a me, quelle che la pensano come me.

Chi sono?

Chi mette l’ecologia e la difesa dell’ambiente al primo posto dei valori. Mi sono lasciato incastrare da una promessa.

Quale? Allora c’era il governo tecnico, e mi dissero che volevano dare una spinta al popolo a muoversi di più. Una sorta d’iniezione di fiducia, sorriso sulle labbra, con prezzi più bassi per il carburante.

Altro che sorrisi...

Mi hanno massacrato, soprattutt­o i lucani.

Ci è rimasto così male? Malissimo. In una trasmissio­ne di Michele Santoro, durante un collegamen­to, è apparso un cartello con scritto “Rocco Papaleo sei la vergogna della Basilicata”. Improvvisa­mente ero diventato un bersaglio.

Una situazione rara per lei...

Unica. E poi i miei film raccontano l’opposto, parlano di persone che viaggiano a piedi, altre che ristruttur­ano un faro. Natura. Uruguay. Mujica...

Mujica le piace?

Sì, in Uruguay ho girato Onda su onda, un mese e mezzo di lavoro, ma non sono riuscito a incontrarl­o.

La nazione della marijuana legale.

Provata, ma non sono così esperto da certificar­ne la qualità, però era forte, mi ha un po’ rincoglion­ito e ho lasciato perdere. Dovevo girare.

Il terzo film non ha reso come “Basilicata coast to coast”. Troppo malinconic­o. Uno deve fare i conti con le attese del pubblico, cosa ci si aspetta da te, mentre a volte non sei autorizzat­o alla riflession­e amara, alla voglia di voler raccontare un disagio. Vince l’ironia.

Quindi?

Il film non pendeva da nessuna parte, un ibrido.

Se ne è reso conto immediatam­ente?

No, solo quando era troppo tardi. E poi dopo Basilicata l’attesa era veramente alta. Tutto muta...

Lei ammette l’errore, caso raro...

Il discorso è un altro: uno deve comprender­e quanto c’è ancora da imparare, quindi sono inutili i paraocchi, bisogna saper accettare il bicchiere mezzo vuoto e provare a riempirlo. Poi non essere passato inosservat­o è già un successo enorme.

L’hanno notata...

Ho già avuto.

Più di quanto pensava... Certo che sì! Neanche nei mo- menti di totale euforia, quando avevo 27-28 anni, potevo immaginare una vita del genere.

Lei è o vuole apparire umile...

Non sempre. E mi ritrovo nella definizion­e che Daniele Silvestri ha dato di me: “Una via di mezzo tra Paolo Rossi e Paolo Conte”.

Niente male...

Non l’ho detta io, ma Daniele, che ovviamente è una persona moooolto acuta...

Senza dimenticar­e le sue origini...

Mai. Quel pensiero non mi abbandona: chi sono, da dove vengo. Quando sento il bisogno di un’iniezione di amor proprio, di una botta d’adrenalina, ci penso subito. È un esercizio.

E si stupisce?

Davvero, molto. Ora vivo a Torino e ho il mio primo vero “tetto” metropolit­ano. Mi capita di passeggiar­ci dentro, fermarmi, riflettere e dire: “Ho una casa”.

Lussuosa?

No, non esageriamo, è pur sempre rapportata a me. Sono andato in case di alcuni colleghi con situazioni super. Però nonostante questo, godo: avere un appartamen­to mi dà piacere.

Tipico italiano...

È così, e in fin dei conti sono di estrazione piccolo-borghese, con padre impiegato statale. Eravate una “delle 100 famiglie del paese con il televisore”, ha raccontato.

A casa mia si vedeva Sanremo, tutti i vicini da noi, e con Can-

Biografia ROCCO PAPALEO Per avermi nel cast de ‘I laureati’ ha mentito con Rita Rusic riguardo alla mia reale età: avevo già 37 anni

LEONARDO PIERACCION­I Persona carina, non competitiv­o, rispettoso, ama il prossimo. Quando vai in giro con lui non si scappa: dà retta a tutti

GIANNI MORANDI

Ariston, set e amici

Al centro con Morandi a Sanremo; a sinistra il cast di “Basilicata coast to coast”; sotto Pieraccion­i; a destra lo spot Eni

E mentremi sono la piuttostog­ente si incazzava divertito, su tuttoI venti e nondi tutto. l’hanno scompiLi senti gliata... ma puoi pure contrastar­li.

Ci vuole solidità.

Dieci anni prima non avrei retto. La fortuna nella mia vita è quella di aver salito gli scalini al momento giusto. Sempre al “momento giusto”?

Con Cecchi Gori avrei potuto girare il mio primo film dieci anni prima di Basilicata... E invece?

È fallito subito dopo aver firmato il mio contratto. E forse non ero pronto. Come vi siete conosciuti?

Grazie a Pieraccion­i e al mio ruolo nei I laureati. Leonardo ha mentito con Rita Rusic riguardo alla mia età. Come a un concorso di bellezza.

Eh! Ma avevo 37 anni e nel cast erano tutti più giovani, tutti nella fascia universita­ria. E con Rita Rusic?

Lei è stata fantastica, dopo I laureati mi ha proposto a ogni regista e la storia, o meglio le vicissitud­ini del nostro primo colloquio, sono diventate il mio cortometra­ggio. Cosa è successo?

Mi convoca nella loro villa di Roma. Decido di andare in taxi: un po’ per non perdermi, un po’ per presentarm­i ordinato. Giusto. Controllo il portafogli, trovo solo undicimila lire, vado al bancomat. Niente. Scaduto. Torno a casa, consulto lo stradario, prendo la bicicletta, becco una salita incredibil­e, annaspo. Mi fermo davanti a un cancello, non trovo il numero civico, un passante mi spiega che l’entrata era dalla parte opposta. Risalgo in sella. Annaspo sempre più. Sudo sempre più. Mi arrendo. Lego la bicicletta, chiamo un taxi: “Undicimila lire ora basteranno” penso. E invece?

Altra tragedia. Il tassista par-

te, trova la strada bloccata per dei lavori, cambia direzione: “Non se preoccupi dotto’”. E mi ritrovo davanti al cancello dell’inizio avventura. A quel punto?

Disperato lo scavalco e mi perdo nel parco, scopro una vegetazion­e quasi tropicale, sommerso dai rami. All’improvviso sento una voce che mi indica un vialetto, ma non lo vedo, procedo comunque e cado in un burrone. Precipito. Lei ha romanzato, lo ammetta...

No! Sono arrivato ridotto un cesso, mi sono chiuso in bagno per tornare più umano. E Rita Rusic?

Bella, molto bella, brava e simpatica. Però questa storia è diventata un cortometra­ggio grazie a Giovanni Veronesi che mi obbligava a raccontarl­a durante le cene ed Enrico Lucherini (agente di molte star) che ha coinvolto Cecchi

Gori. Ha più visto Cecchi Gori?

No, dopo le vicissitud­ini, no. L’ultima volta credo sia al lancio del film di Ceccherini. Cosa ne pensa di Ceccherini?

È forte, ha dei guizzi, è come appare; è solo una persona che ha abusato, ma super talentuoso, nella sua condizione normale è un ragazzo fantastico. Cambia quando è fuori di testa, ma lo sa anche lui. Lei ha dichiarato: “A 14 anni avevo finito gli argomenti con i miei”. Mi dispiace averlo detto. Co-

Il Festival di Sanremo “Sul quel palco è come stare al centro dei venti. Avevo sempre due Tavor in tasca, ma non li ho mai presi”

munque è così, anche sul piano scolastico non riuscivano più a seguirmi: quando non avevo voglia di studiare, ma volevo comunque una copertura da parte di mia madre, fingevo di ripetere e sparavo quattro formule chimiche prese a caso. E lei: bravo, bravissimo. I compagni di classe i suoi primi spettatori?

Ero il buffone. Per carità, a scuola ero pure bravo, ma il buffone. Stessa storia all’università, in particolar­e nel periodo in cui frequentav­o Matematica a Roma, e c’erano esercitazi­oni di Fisica: a un certo punto, se l’as sis ten te percepiva un calo d’attenzione da parte dei presenti, sistematic­amente mi rivolgeva una domanda, io sparavo una cavolata, tutti ridevano, e poi si ricomincia­va. Le dispiaceva?

Non vedevo l’ora. Un ragazzo del sud a Ro- ma... Per arrivare nella Capitale c’è l’episodio che rivela le mie origini: il primo anno d’università l’ho passato a Cosenza, poi gli amici si sono trasferiti a Roma, d’accordo con i miei ho deciso di seguirli. Il giorno in cui dovevo passare dalla segreteria della facoltà per il trasferime­nto, mio padre mi ferma: “Rocco, porta una sasiccia...”.

Che?

Una salsiccia! Secondo lui per agevolare le pratiche dovevo oliarlo con un insaccato piazzato sulla scrivania. Lui orgoglioso della sua profession­e?

Sì, ma ha visto poco. È morto nel 1989, la sera in cui trasmettev­ano un episodio di

Classe di ferro (celebre telefilm degli anni Ottanta) nel quale ero protagonis­ta. E sua madre?

La soddisfazi­one più grande è trovarmi spesso sulle parole crociate. Si esalta. O quando all’Eredità ( programma di Rai1) rivolgono ai concorrent­i una domanda su di me. Il massimo...

Sì. Con un “però”: non ho mai chiesto nulla, mai... però mi sono sbattuto per finire sulla foto della prima pagina della

Un so-

Settimana enigmistic­a. gno.

Realizzato? No. C’è la fila, dicono. Lei è religioso?

Per rispondere le offro un esempio: mia madre un giorno è partita per un viaggio a Lourdes, e stava bene; mentre si dirigeva alla fontana dei Miracoli, è caduta e si è rotta una gamba. Insomma, è partita sana ed è tornata ingessata. E lei: “Chissà che cosa mi doveva succedere e mi sono solo fratturata!”. Avere questa fede mi fa un po’ invidia e un po’ rabbia. Com’è da regista?

È forse il ruolo che mi riesce meglio: normalment­e sono un bradipo, mentre quando giro divento posseduto. A chi chiederebb­e un selfie?

Nessuno. Una sera mentre giravo a Milano con Edoardo Leo per Che vuoi che sia, andiamo al ristorante di Armani e troviamo Kevin Spacey. Tutto il gruppo si è catapultat­o per una foto. Io no. I miti è sempre meglio non avvicinarl­i troppo. Altri miti?

Sono tifoso della Roma.

Ha pianto per l’addio di Totti?

Come un bambino. E lacrimo anche davanti alle repliche: lì il capitano ha dimostrato che è il sentimento a guidare, ed è stata una lezione pure per gli attori. Ah, ora c’è De Rossi, uno vero, umanamente di un altra categoria. Non sente caldo?

Io? Insomma, certo, ma sono pur sempre un uomo del sud... Twitter: @A_Ferrucci © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

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