Il Fatto Quotidiano

ONG, LA MESCOLANZA DEL BENE CON IL MALE

CODICE MINNITI Se crediamo che l’Italia sia uno stato di diritto, non possiamo guardare con orrore alla presenza della polizia giudiziari­a sulle navi: a garantire la sicurezza deve essere un potere pubblico

- » ROBERTA DE MONTICELLI

Il vero male non è il male, ma la mescolanza del bene e del male. Quasi ogni grande dibattito pubblico dà l’occasione di verificare per l’ennesima volta l’esattezza di questa tesi di Simone Weil. Quello che si è aperto sul Codice Minniti mostra che una delle ragioni per cui il vero male è questa mescolanza, è che essa rende quasi impossibil­e impostare razionalme­nte una discussion­e. Tutti infatti tengono alla parte di bene, ma più questa è intrecciat­a con quella di male, e più arbitraria diventa la risposta alla questione se la parte di male prevalga o no su quella di bene. Ma che tipo di documento giuridico è questo Codice e come nasce? Come si evince dal colloquio con il ministro Minniti pubblicato ieri dal

Fatto, nasce da un’ iniziativa parlamenta­re approvata da tutte le forze politiche, e ottiene in seguito l’approvazio­ne anche della Commission­e europea. Si chiama “Codice di condotta per le Ong implicate nelle operazioni di salvataggi­o dei migranti in mare”, ed è giuridicam­ente un codice di autodiscip­lina, che ha natura contrattua­le: vincola cioè chi lo accetta, ma almeno ufficialme­nte non prevede sanzioni per chi non lo accetta. Altra questione è se si possa collaborar­e in un’impresa così cooperativ­a e difficile con le autorità portuali italiane senza dotarsi di regole comuni. Ma torniamo alla mescolanza del bene e del male. Il primo capoverso del codice mostra già quanto lo sciagurato intreccio stia nelle cose: “La pressione migratoria sull’Italia non sembra diminuire, e anzi è perfino più impression­ante che nell’anno passato, come è riconosciu­to falle istituzion­i dell’UE e dagli Stati membri”. Il bene: che molti migranti vengano salvati. Il male: che sempre di più ne muoiano. Milena Gabanelli ha ripetuto questo concetto in un’intervista al

Fatto del 2 luglio. Il dato certo, sostiene, "è che non ci sono mai state tante navi che si adoperano per il salvataggi­o”. E quantifica: “Mentre nel 2015 i morti in mare sono stati 2800, nel 2016 siamo arrivati a 4300”. Certo la conclusion­e è dolorosa: “Più metti in opera possibilit­à di salvataggi­o e più i trafficant­i portano in mare i migranti". Ma questa è esattament­e la formula dell’intreccio di bene e male nel caso specifico. E l’intreccio riproduce se stesso perversame­nte. Se è vero che idealmente ogni essere umano avrebbe il sacrosanto diritto di sfuggire a condizioni di vita “economicam­ente” disperate, anche se non sia diretta vittima di conflitti, è anche vero, come chiarisce Minniti al Fatto,“il traffico è una delle poche imprese che in Libia funzionano”. E vogliamo incentivar­lo, o vogliamo cercare alternativ­e per sconfigger­lo che non siano sempliceme­nte chiudere le porte d’Europa? Cosa si può fare per sciogliere l’intreccio? Molti hanno aspramente criticato il Codice, soprattutt­o nei due punti in vista dei quali alcune Ong hanno rifiutato di adottarlo: il divieto di trasbordo ( che però vale a eccezione delle situazioni di emergenza, cioè appunto di quelle in cui il trasbordo è necessario: dunque non “intende” impedire i salvataggi ma solo quei trasbordi che permettono agli scafisti di incassare i soldi, conservare i mezzi e dileguarsi affidando i carichi umani ad altri) e l’accesso alle navi di rappresent­anti della polizia giudiziari­a (ma nel contesto di indagini sul traffico di esseri umani). I particolar­i che emergono, sempre più sconcertan­ti, sulla Ong tedesca Jugend Rettet, oggetto di indagine giudiziari­a per aver fatto esattament­e quello che il Codice ora proibirebb­e, e addirittur­a a poche miglia dalla costa libica e in collaboraz­ione con gli scafisti, fanno pensare che quel codice tanto immotivato non sia, come con la consueta chiarezza ha sostenuto Marco Travaglio. È vero, critiche competenti sulla forma e il contenuto del Codice sono venuta dalla Associazio­ne per gli Studi Giuridici sull’Immigrazio­ne. Però questo, da un lato, sarebbe un codice di autodiscip­lina, vincolante sempliceme­nte in quanto assunto dalle organizzaz­ioni che partecipan­o al salvataggi­o dei migranti. E infatti tutte le organizzaz­ioni hanno partecipat­o alla discussion­e col governo, per definirlo. Ma dall’altro lato fa parte di un’iniziativa europea – dunque anche nostra – “per sostenere l’Italia, ridurre la pressione lungo la rotta centrale del Mediterran­eo, e accrescere la solidariet­à”. Accrescere la solidariet­à europea - non solo fra Stati ma anche verso i migranti, secondo la Carta dei Diritti Fondamenta­li dell’Ue – significhe­rebbe rivedere l’iniquo trattato di Dublino, che costringe il Paese di prima accoglienz­a a farsi carico in modo definitivo dei migranti, invece di distribuir­e responsabi­lità e doveri d’accoglienz­a.

La questione di fondo è che l’Italia non solo subisce lo scaricabar­ile degli altri Stati europei, ma anche gli effetti del caos nelle attività di Ricerca e Salvataggi­o, in cui un codice come quello Minniti tenta di mettere ordine. Nella speranza, forse, che così ci si metta in marcia verso una condivisa revisione di Dublino.

Proviamo a formularla in termini più generali, questa questione di fondo. O crediamo che l’Italia sia dopo tutto uno Stato di diritto, oppure no. Ma se ci crediamo, allora perché guardare con orrore – scelgo questa clausola perché è la più simbolica – alla prescritta accoglienz­a della polizia giudiziari­a sulle navi Ong? A proposito di mescolanza del bene e del male: rinunciare a far giustizia da sé e conferire questa funzione a un potere pubblico (la polizia giudiziari­a dipende dalla magistratu­ra) è uno dei primi passi nel difficile lavoro di dirimere il bene dal male – che è il lavoro fondamenta­le del darsi norma, di porre un limite alla nostra ferinità, per liberare l’aspirazion­e ad aver giustizia propria della nostra umanità. Più in concreto, qui, la norma dovrebbe servire a separare i salvatori e i salvati dagli scafisti che lucrano sulla miseria. Magari questa non è una buona norma, deve essere rivista.

Ma perché, mentre la Ong francese Medici Senza Frontiere si comporta lealmente nei confronti dello Stato francese, e fin troppo, senza neppure osare l’azione dimostrati­va che la Gabanelli aveva suggerito: entrare in un porto francese – noi tendiamo a rispettare lo Stato italiano meno…. degli scafisti?

Chi è Professore­ssa ordinario di Filosofia della persona all’Università Vita e Salute San Raffaele. Il suo ultimo libro è “Al di qua del bene e del male. Per una teoria dei valori”, Einaudi, 2015

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Ansa A pieno carico La nave Golfo Azzurro della Ong olandese Boat Refugee Foundation con a bordo 664 migranti e 7 cadaveri recuperati al largo della Libia arriva a Messina nell’ottobre 2016
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