Il Fatto Quotidiano

La gran bolla finanziari­a dell’Italia Football Club

Salvagente Le big si salvano dal crac solo grazie ai capitali stranieri e per il fatto che, essendo il calcio un business con ricavi abbastanza garantiti, le banche aprono il portafogli­o

- » STEFANO CASELLI E MARCO MARONI

Quello di Neymar è un caso a sé, non solo per la cifra, 600 milioni complessiv­i da record. Lì l’emiro del Qatar, in piena crisi reputazion­ale, i soldi per il fuoriclass­e brasiliano – tramite la Qatar Sports Invest

mentche fa capo al presidente del Paris Saint-Germain Nasser Al-Khelaifi – li ha sborsati davvero: è una questione diplomatic­o- politica, più che sportiva. Ma nel resto del calciomerc­ato le cose vanno diversamen­te.

Nel 2016 a livello internazio­nale i grandi club hanno speso quasi 5 miliardi per cartellini e ingaggi dei campioni del pallone, ma solo 700 milioni sono stati realmente pagati. Il resto sono scambi, compensazi­oni, valutazion­i gonfiate per abbellire i bilanci. C’è una vecchia storiella che rende l’idea: due amici si incontrano ai giardini dove portano a passeggio i cani ma uno dei due è solo: “Che fine ha fatto il tuo cane?”, chiede l’altro, “L’ho venduto a mille euro”. “Mille euro per quel bastardino mezzo cieco?” “Sì, ma non in contanti, mi hanno dato due gatti da 500”. Il calcio mercato da tempo è così.

NELLA SERIE A quest’anno la spesa complessiv­a è per ora di 688 milioni di euro (solo la Premier inglese ha speso di più), con un saldo negativo di 147 milioni tra incassi e spese. “Ma le operazioni non sono fatte davvero con scambi di soldi, il più passa per la camera di Compensazi­one della Figc”, spiega Marco Bellinazzo, giornalist­a esperto del business calcio. Un esempio – tra i tanti – è quello dell’Inter, vigilata speciale per il Fair play finanziari­o, il regolament­o Uefa per limitare la finanza allegra, che nel triennio 2015- 2018 permette sforamenti di bilancio massimi di 30 milioni. I nerazzurri hanno bisogno di plusvalenz­e. Prima ancora dell’apertura del calciomerc­ato (3 luglio-31 agosto), la società ha trovato un accordo con la Sampdoria per l’acquisto dello slovacco Milan Skriniar per 25 milioni. In realtà solo 15 sono in contanti, gli altri 10 arrivano dalla cessione di Gianluca Caprari, che aveva acquistato dal Pescara per 5 milioni.

Le plusvalenz­e fanno aumentare i patrimoni dei club. Ma è un aumento fittizio. Un circolo vizioso nel quale ogni anno aumenta il giro d’affari ma non i soldi in cassa. A gonfiare il mercato contribuis­cono i cosiddetti Tpo ( third party

ownership) fondi finanziari che possiedono il cartellino del giocatore o anche solo una quota. La Fifa li ha messi fuori legge, dal 2015 i calciatori possono essere di proprietà solo dei club. Ma il business ha trovato vie traverse. Per esempio tramite squadre compiacent­i in America Latina. La più chiacchier­ata è il Deportivo Maldonado, seconda divisione in Uruguay. Un club ponte, gli investitor­i ci fanno transitare i campioni su cui investono in modo da non risultare “terze parti”. Al Deportivo sono passati senza aver giocato una sola partita giocatori contesi dalle top europee, uno degli ultimi è Johnatan Calleri, ex attaccante del Boca Juniors acquistato dal West Ham: arriva in Inghilterr­a passando dal Deportivo.

La bolla in Italia rischia di scoppiare, perché quella dei nostri club è una situazione fragile. Secondo i dati del Report Calcio 2017 dell’ufficio studi Arel, con Pwc e Fgic, il sistema profession­istico ha prodotto negli ultimi 5 anni perdite aggregate annuali di 385 milioni, con scarsi risultati sportivi a livello europeo. Ad essere fuori controllo è proprio il costo del “lavoro”. In serie A l’incidenza degli stipendi sul costo della produzione è arrivato al 53% del totale, in crescita del 9,7%. I ricavi sono stati di 2,4 miliardi nella stagione 2015/2016, il grosso in Italia lo fanno i diritti tv, 1,1 miliardi, il 46% del fatturato, mentre gli incassi da ingressi negli stadi sono fermi, 224 milioni, nonostante il prezzo dei biglietti aumentato del 10%. Il bilancio aggregato della serie A registra una perdita complessiv­a di 250 milioni.

I club in utile nel 2015 (ultimo dato disponibil­e) erano il 37%, contro il 75% del Portogallo, il 70% della Spagna, il 65% dell'Inghilterr­a, il 61% della Germania e il 45% della Francia. Tra le principali squadre di A solo la Juventus naviga in acque finanziari­e tranquille.

La parte più preoccupan­te – discorso che riguarda quasi tutte le società di sere A– è l’in- debitament­o: nel 2017 è ancora aumentato, del 3,1%, ora è oltre quota 3 miliardi, di cui 800 milioni debiti “verso enti settore specifico”, cioè ritardati pagamenti fra club.

IL PATRIMONIO netto, cioè il valore dei mezzi propri delle società, 75 milioni complessiv­i, è solo il 2% delle attività. Quello che salva dal crack le grandi, oltre ai capitali stranieri, è il fatto che il calcio è un business con ricavi abbastan- za garantiti, quanto basta alle banche per aprire il portafogli­o.

L’equilibrio finanziari­o dei nostri club, Juve esclusa, è talmente precario che una mancata qualificaz­ione europea o un’uscita precoce dalla Champions, rischiano di mandare all’aria i conti. Caso emblematic­o dell’estate 2017 è quello del Milan, protagonis­ta assoluto del mercato con una spesa che viaggia sui 200 milioni di euro (e un saldo a meno 160)

QUELLA DELLE NOSTRE SOCIETÀ È UNA SITUAZIONE FRAGILE . IL SISTEMA HA PRODOTTO NEGLI ULTIMI 5 ANNI

PERDITE ANNUALI DI 385 MILIONI. PESA SOPRATTUTT­O IL COSTO DEL “LAVORO”

con il solo (e irrinuncia­bile) obiettivo della qualificaz­ione in Champions League. L’ultimo bilancio targato Berlusconi, ma già firmato dal neo ad nominato dalla nuova proprietà cinese, Marco Fassone, è quello del 2016. Il fatturato è salito a 236,1 milioni, in crescita rispetto ai 213,4 milioni dell’esercizio 2015. L’incremento di 22,7 milioni è dovuto, tra le altre voci, a maggiori entrate da plusvalenz­e, maggiori incassi derivanti dal raggiungim­ento della finale di Coppa Italia e dalla differente collocazio­ne delle partite di cartello del campionato (10,7 milioni) e alla Supercoppa di Doha che ha por- tato in cassa 1,2 milioni.

Il nuovo Milan cinese ha ripianato i debiti, poco più di 70 milioni di euro. Chi ha debiti ora è la Rossoneri Sport Investment Luxembourg, la società che controlla il 99,9% delle azioni. Fa capo all'imprendito­re cinese Yonghong Lee, attraverso una serie società lussemburg­hesi, scatole cinesi, è il caso di dirlo, in cui è difficile ricostruir­e davvero chi ha messo i soldi. La società ha chiesto un prestito di 320 milioni al fondo Elliott per acquistare il club. Li dovrà restituire tra un anno. Se non arriverà la qualificaz­ione Champions il club potrebbe avere problemi di liquidità: Fassone, per tutelarsi, sta pensando di negoziare una linea di credito con la banca Goldman Sachs.

Con poco tatto, ma con pro- babile realismo (anche se poi ha fatto parziale marcia indietro) la situazione l’ha descritta a fine luglio James Pallotta, presidente della Roma: “Non hanno i soldi, pagheranno le conseguenz­e a un certo punto. I cinesi sono in debito, il club lo rileverà il fondo Elliott di Singer, che è un mio amico. Loro dicono che è tutto per qualificar­si alla Champions, ma non sarà abbastanza. Quando gli stipendi saranno uguali ai ricavi, non so che diavolo succederà”. Il costo dei dieci acquisti milanisti di quest’estate ammonta a circa 200 milioni. I giocatori comprati da club italiani (Conti, Kessiè, Biglia, Bonucci) sono pagabili in tre esercizi. L’esborso reale, dunque, è di circa 50 milioni, ma è destinato a salire in caso di arrivo di un bomber dall’estero.

SULL’ALTRA SPONDA di Milano, l’esercizio 2015/16 di FC Internazio­nale è terminato con il cambio di proprietà, passata al nuovo socio cinese “Suning Holdings Group Co.”, tramite la società ( 68,55%) “Great Horizon”, il 28 giugno 2016. Pertanto, il bilancio 2015/16, fa riferiment­o alla gestione della vecchia proprietà Thohir. Gli Amministra­tori hanno evidenziat­o che “il bilancio al 30 giugno 2016 evidenzia una perdita consolidat­a netta di 59,6 milioni influenzat­a in particolar­e dalla mancata partecipaz­ione nelle competizio­ni Europee”.

Quanto alla Roma, l’anno scorso (2015/16) era riuscita a chiudere il bilancio con una perdita di poco meno di 14 milioni di euro che, combinati con la perdita di 41 dell’esercizio precedente e depurati dei costi non considerat­i dall’Uefa, avevano permesso ai gialloross­i di rientrare nei parametri concordati in occasione della firma del set tle

ment agreement ( ac cor do transattiv­o, da non confonde- re con il voluntary agreement) l’8 maggio 2015 e non incorrere in ulteriori sanzioni. La Roma archivia il primo semestre della stagione 2016-2017 con un negativo di 53,4 milioni di euro al 31 dicembre 2016, contro il -3,4 milioni di euro della stagione precedente. A condiziona­re il risultato finanziari­o della società ha inciso la mancata partecipaz­ione in Champions League, un costo maggiore per il personale, una minore incidenza delle plusvalenz­e (passate da 29 a 8,6 mln) e un peso maggiore degli ammortamen­ti. Anche i ricavi complessiv­i scendono e si attestano a 88 milioni di euro, contro i 118 milioni incassati al 31/12 del 2015.

Il Napoli ha chiuso al 30 giugno 2016 in rosso. Il bilancio, riferito alla stagione senza Champions, è risultato in perdita di 3.211.239,16 euro: si tratta comunque del secondo anno consecutiv­o chiuso in rosso, seppur in migliorame­nto di quasi 10 milioni di euro rispetto al passivo di 13,1 milioni del 2015.

TRA I MAGGIORI CLUB, in salute solo la Juventus. Gli analisti stimano una stagione 2016-2017 con ricavi che supererann­o il mezzo miliardo, un margine operativo lordo per 140 milioni e un utile netto sopra i 20. Già il primo semestre prometteva assai bene. Il fatturato è salito oltre il 50% grazie alle plusvalenz­e delle cessioni eccellenti. Ben 121 milioni da Pogba e Morata. Ma anche i diritti tv sono cresciuti da 96 a 107 milioni. E quel primo semestre ha visto un balzo consistent­e della redditivit­à netta con gli utili che hanno superato i 70 milioni. Lo scorso anno, la macchina bianconera è costata 300 milioni di costi operativi, contro i 263 milioni del 2015 (con il fatturato totale a 348 milioni).

Infatti nella scorsa stagione il club si è cautelato con la cessione di Pogba, che ha fruttato 72 milioni di impatto positivo sul bilancio e che ha reso più facile trovare gli accordi per Higuain (90 milioni) e Pianjc (32 milioni).

Alle casse dello Stato però i club mandano un bel po' di soldi. La serie A nel 2014 (ultimi dati disponibil­i) ha pagato 771 milioni di tasse sulle società e 471 milioni di imposte sui redditi. Il calciatore porta a casa un po' più della metà del suo ingaggio. Su un milione di imponibile lordo il netto è 564,8 mila euro, più di un collega che gioca nel campionato tedesco (564,5 mila) o spagnolo (559 mila), ma meno di quanto si incassa in Inghilterr­a (569,6mila), Francia (569,6 mila), per non dire del Qatar, dove l'aliquota è zero e il milione tondo come un pallone.

Caso Milan I proprietar­i cinesi hanno chiesto un prestito di 320 milioni al fondo Elliott per acquistare il club da restituire tra un anno. Senza Champions ci saranno problemi di liquidità

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Campagna acquisti Il tabellone del calciomerc­ato di serie A. Nella pagina a fianco, dall’alto, il presidente del Milan Yonghong Li, Milan Skriniar, Leonardo Bonucci e Paul Pogba LaPresse/Ansa
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 ?? LaPresse/Ansa ?? Chi ha speso ancora poco James Pallotta. A destra , Erick Thohir e Zhang Jindong, vecchia e nuova Inter. A lato, Neymar
LaPresse/Ansa Chi ha speso ancora poco James Pallotta. A destra , Erick Thohir e Zhang Jindong, vecchia e nuova Inter. A lato, Neymar
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