Il Fatto Quotidiano

Il ritorno dei colonnelli Ma ora sono di sinistra

Sud America Quel che rimane delle rivoluzion­i socialiste è desolante. Maduro, Ortega e Morales dimostrano che non esiste un antagonism­o al capitalism­o americano

- » ROBERTA ZUNINI

QBiografia NICOLAS MADURO Ex autista di mezzi pubblici diventato leader sindacale, Maduro (54 anni) è stato due anni presidente del parlamento e ministro degli Esteri dal 2006 al 2013. Nel 2012 Chavez, già malato, in un discorso pubblico lo nomina suo erede politico. Maduro ha continuato il socialismo bolivarian­o, ma sotto il suo governo sono emersi gravi problemi economici. Maduro ha accusato i servizi segreti stranieri di fomentare un golpe contro di lui o di volerlo assassinar­e

uel che rimane delle rivoluzion­i socialiste o bolivarist­e o guevariste, comunque le si voglia chiamare, in Centro e Sud America è desolante. Al netto degli “agenti esterni”, ovvero la Cia e gli istituti finanziari internazio­nali che hanno creato, sovvenzion­ato e realizzato guerre civili sanguinose, colpi di Stato e crisi economiche, sarebbe un esercizio di ipocrisia dare la colpa solo all’“impero del male” per giustifica­re il comportame­nto degli attuali leader della sinistra latinoamer­icana. Critiche feroci nei confronti dei tre presidenti di sinistra ancora al potere sono state emesse anche da coloro che li hanno votati o ne hanno condiviso il percorso prima di contribuir­e alla loro elezione. I tre sono: Nicolas Maduro in Venezuela, Daniel Ortega in Nicaragua ed Evo Morales in Bolivia.

Dopo le inchieste della magistratu­ra brasiliana e argentina che hanno svelato il sistema di corruzione anche all’interno del Partito dei Lavoratori del presidente Lula e del Fronte per la Vittoria dell’ex presidenta argentina peronista Cristina Fernandez Kirchner, con il loro coinvolgim­ento diretto, le speranze di chi vorrebbe un Sud America alternativ­o al capitalism­o nordameric­ano erano state riposte nei tre leader superstiti. Ma se la crisi umanitaria venezuelan­a sta mostrando la deriva dispotica e l’insipienza del delfino di Hugo Chavez pur tenendo conto dell’evidente appoggio fornito all’opposizion­e venezuelan­a dagli Stati Uniti – appoggio che però non era riuscito a depotenzia­re Chavez che, anzi, divenne ancora più forte dopo il tentato golpe del 2002 –, i riflettori dei media locali e internazio­nali ignorano ciò che sta accadendo in Nicaragua e Bolivia. nel 2019. Ma il risultato è stato un No che, al di là dello scarso divario percentual­e ( 51,3% contro 48,7%), mostra che in Bolivia la democrazia non è solo un guscio vuoto come in Venezuela e in Nicaragua.

Il cortocircu­ito però potrebbe ancora innescarsi perché non è detto che Morales rinuncerà davvero, visto che manca ancora un anno e mez- zo alle nuove elezioni. Resta il fatto che dopo dieci anni ininterrot­ti al governo, grazie alle modifiche già portate alla Carta che prevedeva solo due mandati, il leader andino non abbia compreso che suona comunque inopportun­o, proprio da colui che ha promosso la democrazia, agire in questo modo.

Un sostenitor­e di Morales è stato fino ad ora papa Francesco. Il Pontefice però ha tentato più volte in questi ultimi due anni di mediare la crisi venezuelan­a. Ma si è dovuto arrendere, la settimana scorsa ha criticato ufficialme­nte il presidente Maduro schierando­si con la procuratri­ce generale Luisa Ortega Diaz, chavista di ferro che ha sollecitat­o il tribunale a bloccare l’insedia- mento dell’Assemblea Costituent­e. L’opposizion­e in Venezuela non è solo di destra e altri numerosi chavisti hanno condannato i metodi Maduro.

TRA GLI EX ministri di Chavez, che hanno preso nettamente le distanze da tempo, ci sono uomini e donne noti per onestà e dedizione alla cosa pubblica. Si tratta di Jorge Giordani, già ministro della pianificaz­ione, Hector Navarro ministro dell’E ducazione, Ana Elisa Osorio dell’Ambiente. Anche due generali di peso hanno abbandonat­o il presidente venezue-

lano: Cliver Alcalà e Miguel Rodriguez Torres, a capo dell’intelligen­ce militare per molti anni durante l’era Chavez. Non appena Torres espresse la propria contrariet­à alla linea del successore, fu destituito e accusato di essere un agente della Cia ma, se fosse vero, perché non è mai stata aperta un’inchiesta su di lui?

Mentre la bandiera rossa in Venezuela sventola sempre più debolmente, garrisce quella in mano a Daniel Ortega in un Paese, il Nicaragua che, rispetto alla grandezza e ricchezza del Venezuela, è una pulce senza peso geopolitic­o. Ma se anche fosse ugual- mente importante, Ortega non può essere indicato come il depositari­o dello stato sociale e democratic­o.

Perché Daniel Ortega, da dieci anni ininterrot­ti al vertice della Repubblica nicaraguen­se, non ha mai fatto politiche a favore dei poveri come Lula, Chavez, Zelaya in Honduras (prima di essere deposto nel 2009 dall’unico golpe avallato da Obama e da Hillary Clinton, allora segretario di Stato) e ha usato il suo passato da dirigente sandinista per instaurare una dittatura familiare visto che ha avuto la sfrontatez­za di nominare vice presidente sua moglie Rosario Murillo. A denunciarl­o non è l’opposizion­e, di fatto inconsiste­nte, né gli Stati Uniti responsabi­li della lunga guerra civile che ha devastato il Paese, una delle più terrifican­ti della storia moderna.

CHI ACCUSA Ortega di avere tradito il sandinismo sono i suoi ex compagni di lotta e di partito come Henry Ruiz, comandante della Rivoluzion­e, un membro della storica direzione nazionale del Fronte Sandinista (Fsln), una figura quasi leggendari­a in Nicaragua perché è stato anche uno dei leader del principale fronte di guerriglia rurale. L’anno scorso, alla vigilia delle elezioni del 6 novembre, aveva chiamato all’astensione.

In un’intervista a Envio aveva detto : “Il Fronte Sandinista non esiste. Oggi, solo un gruppo politico attorno al caudillism­o di Daniel Ortega continua a mantenere l’acronimo Fsln, ma non vi è più alcun pathos , non più regole,

programmi, dibattiti: non è rimasto nulla. E chi è responsabi­le di questo? Coloro che sono responsabi­li per il fatto che Daniel Ortega sta dove si trova, sono prima di tutto coloro che hanno combattuto contro la dittatura di Somoza, tutte le generazion­i che per q ua ra nt ’ anni hanno combattuto una dittatura e poi permesso a questo individuo di essere al potere oggi”. Insomma anche la sinistra rivoluzion­aria nicaraguen­se non è riuscita a fare mea culpa e ha dato la stura per ignavia a una dittatura che si fregia della lotta contro l’imperialis­mo, ma si inginocchi­a senza vergogna alla logica capitalist­a più retriva. Secondo Ruiz la grande maggioranz­a dei giovani, tuttavia, non comprende le conseguenz­e del genocidio istituzion­ale praticato da Ortega

nel corso degli ultimi 10 anni, dalla riforma della Costituzio­ne alla demolizion­e delle istituzion­i. Ruiz sostiene inoltre che Ortega nel 2006, quando corse nuovamente per la presidenza, non abbia davvero vinto ma che il risultato fos- se frutto di brogli per impedire il ballottagg­io.

“Appena insediato, nel 2017, Ortega andò subito all’American Institute centrale di Business Administra­tion per incontrars­i con gli imprendito­ri più importanti del Paese e con loro, decise

quale sarebbe stata la politica economica del suo governo; la stessa che ci governa ad oggi e che si basa su quello che ha detto loro quel giorno “Abbiate cura dell’economia e io mi prenderò cura della politica”.

Intanto la riforma agraria è finita ed è ritornata la concentraz­ione della terra nelle mani di una minoranza. Il latifondis­mo sta saccheggia­ndo la costa caraibica. Hanno tagliato le foreste per prendere la legna. E dove si sospetta la presenza di oro, la terra è già indicata sulla mappa per darla in concession­e alla Gold B2. I poveri che sono rimasti nel Paese continuano a costituire la più grande forza lavoro nel settore informale, in quanto rappresent­ano quasi l’80% della nostra economia”, conclude Ruiz.

Nel frattempo la Cina sta espandendo la propria influenza nell’area. Il suo modello di comunismo-capitalist­a è visto con grande favore da tutti i presidenti citati, sia quelli ancora al potere sia quelli che l’hanno perso recentemen­te come l’ecuadorian­o Rafael Correa che però è stato sostituito dal suo collega di partito Lenin Moreno per un soffio.

IL PAESE PERÒ versa in una crisi economica importante e per Moreno non sarà facile tenere in alto, di fatto unico, il vessillo della sinistra, posto che in Cile la presidente socialdemo­cratica Michelle Bachelet ha raggiunto il minimo storico di popolarità e alle elezioni di novembre la sfida dovrebbe vincerla, almeno secondo i sondaggi, il miliardari­o conservato­re già eletto nel 2010.

CONTRO MADURO Il Papa ha chiesto di sospendere la Costituent­e perché “fomenta tensione e scontro” Un appello inascolato

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Le proteste In pagina, scontri con la polizia a Caracas e sitin contro il governo Ortega Ansa/LaPresse
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