Il Fatto Quotidiano

Dalla politica all’istruzione: il caso del 392 d.C.

- » ORAZIO LICANDRO

Spesse volte, la politica, e non solo quella italiana che da tempo non brilla affatto, dà uno brutto spettacolo di se stessa; altre volte, invece, mostra esempi di rara dignità. Uno di questo, a prescinder­e dalla condivisio­ne delle idee, è stato offerto da Enrico Letta, che da presidente del Consiglio messo qualche anno fa bruscament­e alla porta da una manovra politica congegnata ai ‘piani alti’, si è dimesso anche dalla comoda postazione parlamenta­re e si è de- dicato con assoluta e silenziosa dignità all’insegnamen­to. Nel 392 d.C., Libanio, retore di Antiochia, maestro di Giovanni Crisostomo e amico dell’imperatore Giuliano l’Apostata, inviava una lettera affettuosa a Firmino, un suo ex allievo: “Neppure se tu mi avessi donato tutte le sostanze e, oltre a queste, tutte quelle dei tuoi parenti e dei tuoi amici, non avresti potuto donarmi cosa più grande di quella che mi hai donato. Che cosa c’è infatti per me di più grande o di uguale al tuo dono presente?

Dopo aver rigettato l’abito del funzionari­o, Firmino ha vestito quello del sofista e ha una cattedra che si addice a lui e banchi e libri e giovani che vengono istruiti e discorsi che vengono composti e fatti conoscere e che commuovono un pubblico cultore delle Muse” (Libanio, Lettere 1048). Dunque, Firmino, funzionari­o imperiale, già con una carriera venten- nale, a un certo momento decise di abbandonar­e, diremmo oggi, la politica per dedicarsi agli studi e all’insegnamen­to. Non se ne conoscono le ragioni, non sappiamo se la decisione maturò per il fastidio verso una certa politica, certo non era del tutto appagato dalla sua condizione; e vicende del genere meritano attenzione e plauso, allora come oggi.

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